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Sintesi elaborata da: scarica il testo completo Beverini Alessandra vai all'ipertesto Brussino
Chiara Ferrero
Grazia Giani Sara Oranges Francesca Simonetti Annalisa
IL
NUOVO GOLEM Come il computer cambia la nostra cultura 1998 “HOMO
TECHNOLOGICUS” 2001 0.
Introduzione Spiegazione dei
titoli
·
“Il nuovo Golem. Come il computer cambia la nostra cultura”
– 1998 Golem
è una parola ebraica che significa massa informe. Secondo la
leggenda, nel 1580, un rabbino foggiò con l’argilla una gigantesca figura
umana, che chiamò Golem. La creatura, che poteva essere animata dalla
parola emet (verità)
tracciata sulla fronte, doveva difendere gli Ebrei dalle persecuzioni. Se
minacciava di ribellarsi o di diventare troppo violento, il Golem veniva
riaddormentato cancellando la prima lettera di emet per trasformarla in met
(morte). L’uomo è sempre
stato affascinato dall’idea di poter imitare l’atto divino della
creazione e tale ambizione ha ispirato questa leggenda, come anche i noti
esperimenti volti alla creazione di macchine che rispecchiassero le facoltà
umane. Giunto
alla consapevolezza dell’impossibilità di una riproduzione perfetta
dell’essere umano l’uomo ha pensato di poter riprodurre solo uno dei suoi
aspetti principali: la mente. Ha così inventato il computer e ha
compiuto esperimenti riguardanti l’intelligenza artificiale. La leggenda del Golem rappresenta quello che è il rapporto attuale dell’uomo con il computer: quest’ultimo senza l’intervento dell’uomo non potrebbe esistere ma, nello stesso tempo, con le sue potenzialità, rischia di “soffocare” l’uomo stesso a meno che egli non ne acquisisca la consapevolezza e non abbia quindi la volontà di uscire dal “circolo vizioso” che il computer (Internet…) e l’informatica hanno creato. ·
“Homo
technologicus” -
2001
L’uomo
technologicus, che rappresenta il futuro, è un ibrido di uomo e
macchina e presuppone la formazione di una nuova unità evolutiva che
sarebbe più adatta all’ambiente ad alta tecnologia che non l’uomo attuale a
tecnologia limitata. La macchina non può esistere senza l’uomo e la vita
dell’uomo è condizionata in misura sempre maggiore della macchina (ne è un
esempio la coevoluzione creatura-ambiente o creatura-strumento-ambiente). 1.
L’influenza della tecnologia sulla società Il corpo è il
più importante strumento tecnologico e opera attraverso i suoi organi di senso,
di elaborazione e di attuazione. Esso è supportato da tecnologie, cioè estensioni
del corpo volte a potenziarne e moltiplicarne le possibilità di conoscenza
e interazione con noi stessi e l’ambiente. Tali tecnologie non
potenziano semplicemente i nostri sensi, ma agiscono a livello più profondo,
modificando la nostra epistemologia e, attraverso di essa la
nostra ontologia. Esse rappresentano un’interfaccia tra noi e il
mondo e tra noi e la nostra essenza: filtrano, distorcono, potenziano o
annullano la comunicazione (in particolare i segnali e i messaggi che concorrono
a formare il nostro sé). Nel momento in cui
subentra una nuova tecnologia, essa diviene irreversibile e modifica la
civiltà che l’ha creata radicandosi nella sua fisiologia. Essa non viene
necessariamente adottata per risolvere problemi e, dopo la sua introduzione, la
società cambia a tal punto da non essere più paragonabile con quelle
precedenti. Ad esempio, la scrittura non è stata introdotta per risolvere i
problemi della cultura orale (che sono tali solo per noi a posteriori!): non ha
senso chiedersi come faccia una società orale ad affrontare i problemi che noi
risolviamo con la scrittura, perché i due tipi di cultura non sono
confrontabili. Attualmente le
tecnologie progrediscono ad una velocità non più controllabile, come si
trattasse di piccoli Golem che ci inquietano per la loro autonomia ma
che, con la nostra volontà, possono ancora essere fermati. L’uomo, che si
trova ad essere contemporaneamente spettatore e attore di tale
sviluppo tecnologico, è diviso tra il desiderio di migliorare il
mondo in modo razionale e quello di conservare il patrimonio ereditario
di sentimenti, emozioni e capacità, che sente profondamente connaturato in sé. Conseguentemente, di
fronte a tale sviluppo, si hanno due possibili reazioni: -
da una parte l’entusiasmo e l’ottimismo acritico (che
accelera ulteriormente lo sviluppo delle tecnologie stesse) di chi ritiene che
tale fenomeno apra nuove possibilità comunicative e culturali; - dall’altra la diffidenza (se non la paura) verso uno sviluppo non più controllabile, che rischia di farci egemonizzare dalle economie di mercato e dalle anonime tecnologie che la sostengono (paura che, secondo Jonas, rappresenta l’unica reazione capace di bloccare una spirale di sviluppo trascendente le nostre capacità di riflessione ponderate). 2. La società
dell’informazione
Il
catalizzatore di tale massa di informazioni è il calcolatore elettronico,
che ha lo scopo di elaborare l’informazione e innesca una spirale
comunicativa in virtù della quale le attività che riguardano
l’informazione hanno assunto proporzioni impressionanti e ampiezza
internazionale. Ci
si chiede quale possa essere l’esito finale di questo aumento quantitativo:
potrebbe infatti manifestarsi una saturazione, se non una regressione,
(qualitativa o quantitativa) che potrebbe portare ad una superciviltà
informazionale. Le
banche dati, permettono di conservare tale enorme quantità di informazioni
impedendo l’applicazione dei filtri dell’oblio. Viene così meno il
tradizionale significato del termine “memoria”: non si ha più una
selezione naturale delle informazioni da ricordare, ma una selezione volontaria
di ciò che si vuole caricare o meno in memoria. La
perdita del concetto di “memoria” e “oblio” porta ad una perdita
del senso della storia: chi ricorda tutto vive in una sorta di passato
attuale, continuamente dilatato ma privo di prospettiva cronologica e
storica. In questa sorta di cultura enciclopedica e universale che si viene a creare (soprattutto con l’avvento della rete e di Internet), cambia radicalmente il modo di intendere la conoscenza e la cultura stessa: ci si illude di onniscienza (e quindi di onnipotenza) e non ci si basa più sull’apprendimento ma sulla documentazione, non più sullo studiare ma sul consultare, non più sull’organizzazione del sapere intorno a concetti di fondo ma sull’accumulazione di dati relativi a parole chiave. 3.
Internet L’avvento
della rete e di Internet (Interconnected network), avvenuto
negli Stati Uniti alla fine degli anni ’60, ha portato alla sovversione
delle categorie fondamentali del mondo reale: il tempo, lo spazio,
la casualità. Nel
1989 nasce la WWW (World Wid Web), cioè un’enciclopedia
costruita come un immenso ipertesto multimediale per ricavare
informazioni da banche date. Da
allora la rete svolge le funzione di svariati media (archivio, enciclopedia,
mercato, televisione, testo, ricercatore, arena di discussione, ecc.) e ha così
acquisito la caratteristica di autoreferenzialità, cioè contiene tutto
ciò di cui ha bisogno e non fa riferimento a nulla di esterno. Il
navigante della rete è eterodiretto: nonostante abbia l’illusione di
essere autonomo, di fatto è costretto a muoversi in percorsi prestabiliti. La
rete è fatta di testi collegati fra loro (ipertesti) attivabili dal
visitatore che può scegliere strade diverse (sensazione di libertà) ma
limitate e predefinite. In tale interazione la cultura diviene frammentaria
e si tende a una società conformata in cui tutti hanno la possibilità
teorica di comunicare e di poter essere ascoltati ma solo per tempi
brevissimi e scopi transitori, senza che vi siano grandi istanze
intersoggettive. Attualmente
la rete ha avuto importanti sviluppi in campo scientifico causando una crisi
dell’editoria scientifica tradizionale: gli scienziati hanno la
possibilità di comunicare collegialmente e istantaneamente pur
essendo fisicamente lontani gli uni dagli altri e non necessariamente aderenti
alla comunità scientifica internazionale. La comunicazione scientifica in rete, pur avendo aspetti indubbiamente positivi (aumenta la velocità di consultazione e scambio grazie all’annullamento della distanza spaziale), comporta anche aspetti negativi: impedisce l’assimilazione e la sedimentazione delle conoscenze (per il continuo flusso di idee che si susseguono e si sovrappongono) e non vi è un filtro di qualità per giudicare i prodotti (chiunque può scrivere in rete). E’ importante però chiarire quest’ultimo aspetto: esso non può essere considerato del tutto negativo in quanto la presenza di un filtro rallenterebbe a tal punto il passaggio di informazioni da compromettere quello che è il carattere peculiare della comunicazione in rete (la circolazione libera, istantanea e continua di informazioni). 4.
L’IA (intelligenza artificiale) L’intelligenza
artificiale (IA) nasce nel
1956 a seguito della fine dell’illusoria ambizione di poter imitare
l’atto divino della creazione (vedi leggenda del Golem). Constatato
che i prodotti restavano sempre lontani dai modelli nella struttura e
nelle funzioni, si tentò di riprodurre solo uno degli aspetti peculiari
dell’uomo: la mente (l’intelligenza computante). Alcuni
fautori dell’IA tentarono di trovare le unità minime della conoscenza
(dotate di un significato
indipendente da ogni contesto e che operano su regole immutabili e
indipendenti da esso), partendo dalla convinzione che siano importanti le teorie
e non la base fisica e corporea del contesto quotidiano. Proprio
quello che è stato il principio fondamentale dell’IA non trova oggi alcun
riscontro, data l’importanza che attualmente viene data al contesto e
alla relazione (in cui il corpo ha una funzione essenziale). Oggi,
contrariamente a quanto si pensava un tempo, si ritiene che la maggior parte
delle conoscenze, specie quelle vitali, siano espresse
nella struttura stessa del corpo e nella sua interazione
con l’ambiente (sono immerse in un contesto storico e culturale che
dà loro significato). Ci
si è resi conto del fatto che la conoscenza corporea e l’immersione
del corpo nel mondo sono condizioni necessarie e sufficienti
per avere una semantica ricca e articolata, poiché senza la connessione
mente-corpo essa rischia di ridursi a vuota sintassi. Un computer non è in
grado di scrivere o tradurre un romanzo poiché ogni elemento linguistico
implica un “alone semantico” (cioè una gamma di
significati da selezionare in base al contesto), che rende
difficoltosa una scrittura o una traduzione automatica (se non nel
caso di testi scientifici in cui “l’alone semantico” è molto ridotto per
la specificità del linguaggio adottato). Inoltre
l’IA è stata criticata poiché essa era volta a imitare gli atti dei principianti
e non degli esperti: le abilità di base sono per la maggior parte inconsce
per non compromettere l’efficacia dell’azione-cognizione (esperti),
mentre le capacità che intervengono durante gli intervalli sono consapevoli
(principianti). E’ curioso come l’IA sia impostata in modo da
riprodurre solo azioni consapevoli e mai automatiche: esse sono sempre
svolte come fosse la prima volta. Si è quindi giunti alla conclusione che per replicare compiutamente l’intelligenza umana, anche le macchine intelligenti non possono fare a meno dell’equivalente di un corpo con tutta la sua attività cognitiva profonda e, in parte, non algoritmica: l’intelligenza disincarnata è troppo fragile e limitata. 5.
Comunicazione e scuola La
comunicazione umana, contrariamente a quanto ipotizzato dalle teorie che
prevedono una concezione disincarnata e astratta (es. Shannon), è un fenomeno
non solo biologico ma anche storico e culturale che si
articola in codici più o meno flessibili. Essa dipende soprattutto dalla volontà
di collaborazione dei parlanti, che ne costituiscono l’aspetto più
significativo e che compiono un continuo aggiustamento dell’interazione e una
continua definizione e reinterpretazione dei dati e delle relazioni. La
fondamentale differenza tra comunicazione reale e teorie astratte della
comunicazione è paragonabile a quella intercorrente tra comunicazione umana e comunicazione
informatica:
quest’ultima è un mero scambio di informazioni attuato con codici semplici e
non flessibili, mentre la lingua è un fenomeno globale, mentale e corporeo
insieme. Ogni atto linguistico
è un atto sistemico del mondo, cioè è scritto dal mondo su se stesso: ogni
testo è radicato nel mondo e tradurre un testo significa tradurre il mondo. Tale
problematica comunicativa trova riscontro nella realtà scolastica,
divisa tra la necessità di innovazione per adeguarsi a un mondo in
rapida evoluzione e la volontà di conservazione, determinata dalla sua
natura di organo riproduttore della società, volto alla trasmissione della
cultura. Quindi,
se da una parte si tende ad inserire l’informatica all’interno della realtà
scolastica, dall’altra si teme che un’interazione precoce e assidua
dell’alunno con il computer possa provocare un inaridimento delle sue
potenzialità linguistiche, dato da un sostanziale ritorno all’immagine,
ai suoi codici e alle sue convenzioni di rapidità e immediatezza. Si rischia,
infatti, di non esercitare quelle abilità, perseguibili solo attraverso
un’interazione con i coetanei, gli insegnanti e gli altri esseri umani, che
consentono di pervenire ad una comunicazione intersoggettiva costruttiva. A
questo punto il dilemma didattico che si pone è il seguente: visto che il tempo
a disposizione è limitato, conviene dedicarlo maggiormente al calcolatore o
al teatro (considerato l’esercizio più completo, divertente e profondo
per affinare gli strumenti comunicativi)? La prevalenza delle modalità comunicative tipiche del calcolatore sarebbe auspicabile se i bambini dovessero prepararsi necessariamente a vivere in una società artificiale, cioè se l’uomo stesse effettivamente diventando homo technologicus. Poiché si dubita di una trasformazione veloce e radicale in questo senso, si ritiene utile che i bambini si dedichino alla comunicazione con gli esseri umani piuttosto che a quella con il computer. 6.
Riflessioni conclusive In una società come
la nostra, caratterizzata dalle tecnologie, sarebbe opportuno che tutti le
padroneggiassero. Ci si è illusi di fare questo estendendone l’accesso a
strati sempre più ampi di popolazione, attraverso una semplificazione
dell’impiego dei dispositivi. In realtà tale semplificazione e diffusione
di strumenti sempre più sofisticati e potenti è volta solo ad un uso più
rapido, esteso e irriflesso. La condizione che si viene quindi a creare,
non consente un impiego sorvegliato e socialmente positivo
dell’informatica. Nella
sua illusione di essere superiore per la quantità di informazioni e conoscenze
che possiede, l’uomo paradossalmente si viene a trovare in situazione di
debolezza, in quanto non sa padroneggiarla: “E’
dal volume di dati di cui l’uomo dispone che la nostra epoca trae un
sentimento immeritato di superiorità, mentre il vero criterio poggia sulla
misura in cui l’uomo sa plasmare e padroneggiare le informazioni che possiede.”
(Goethe). Per
padroneggiare effettivamente tale massa di informazioni, che comunque
contribuisce a uno sviluppo ulteriore di scienza, economia e tecnica, non è
necessario eliminarla ma si auspicherebbe di andare oltre la razionalità e di
fermarsi per guardarsi intorno e riflettere. In
opposizione a una cultura enciclopedica e globale, governata dall’economia di
mercato, si pongono i sabotatori informatici che, attraverso una serie di
aggressioni informatiche, potrebbero sovvertire il sistema data la
sua fragilità, l’assenza di motivazioni ideologiche forti
e l’interdipendenza che caratterizza le sue componenti. Da quanto
rimasto di tale sistema potrebbero sorgere nuove forme comunitarie volte
a padroneggiare le tecnologie e a dissociarle dalla loro intrinseca tendenza a
favorire lo sviluppo di realtà sociali globali, acefale e
indifferenziate. Al
di là di supposizioni infondate sugli sviluppi futuri dell’umanità, si può
comunque affermare che ci stiamo muovendo verso un suo cambiamento radicale, le
cui conseguenze ci sono ancora oscure: “Esistono
molti sistemi uomo-macchina, ma attualmente non esiste nessuna simbiosi
uomo-computer. La speranza è che, in un futuro non troppo lontano i cervelli
umani e calcolatori elettronici possano accoppiarsi in un legame molto stretto e
che l’associazione che risulterà da questo legame sia capace di pensare come
nessun essere umano ha mai pensato.” (Licklider). “E’
dal volume di dati di cui l’uomo dispone che la nostra epoca trae un
sentimento immeritato di superiorità, mentre il vero criterio poggia sulla
misura in cui l’uomo sa plasmare e padroneggiare le informazioni che
possiede.”
Goethe sistono
molti sistemi uomo-macchina, ma attualmente non esiste nessuna simbiosi
uomo-computer. La speranza è che, in un futuro non troppo lontano i cervelli
umani e calcolatori elettronici possano accoppiarsi in un legame molto stretto e
che l’associazione che risulterà da questo legame sia capace di pensare come
nessun essere umano ha mai pensato.” Licklider |