25 Febbraio
2003 - EDITORIALE SPECIALE ALBERTO SORDI (1920-2003)
Stanotte
se n'è andato, dopo una malattia lunga sei mesi, l'Albertone nazionale.
E oggi il nostro Paese è triste e piange, pochi giorni dopo l'Avvocato,
un altro grande, grandissimo Italiano del Dopoguerra. Un attore, ma anche
un gentiluomo, un regista, ma anche un osservatore attento "dei vizi e
delle virtù" dell'italiano medio, dagli anni Cinquanta fino ai giorni
nostri, dai "Vitelloni" fino agli anziani malinconici degli ultimissimi
film.
Nella sua
villa di piazza Numa Pompilio a Roma, immaginiamo oggi un via vai di amici,
parenti e tanta, tantissima gente comune che vuole stringersi attorno alla
sorella Amelia per ricordare e salutare per l'ultima volta il loro "mattatore"
di tante risate e di tanti film veri, amari, ma così indimenticabili
e irripetibili.
Alberto
Sordi aveva 82 anni ed era un romano d.o.c., tanto che poco tempo fa
fu sindaco per un giorno della sua città natale. Oggi il sindaco
Veltroni l'ha ricordato come "un artista che meglio di ogni altro
ha saputo interpretare, con intelligenza, con amore e partecipazione la
pienezza della vita e le contraddizioni della società".
Ripercorrere
la sua carriera sarebbe lunghissimo e allora speriamo che il suo patrimonio
artistico venga ben conservato nel tempo e che i suoi film possano vivere
in eterno, in televisione, come anche nei cinema, perché in fondo
la magia del grande schermo è che gli attori non muoiono mai, e
che le loro opere sopravvivono al tempo, all'oblio e alla morte.
Lo vogliamo
ricordare così, allora, il Nostro Albertone, coi suoi film e con
le sue celebri battute, il giovane infingardo,
vigliacchetto,
indolente e furbesco de "I vitelloni", o il medico della mutua o ancora
il Professor Tersilli attaccato al portafoglio; l'americano a Roma davanti
al piatto di pasta, o il "tassinaro" inviperito dal telefilm Dallas. L'emigrato
in cerca di moglie illibata nel paese australiano di Bunbunga, fino al
Peppino mago delle carte nello "Scopone scientifico". Il padre drammatico
di "Un borghese piccolo piccolo", o il marito geloso di "Io so che tu sai
che io so".
Fino alle
ultime interpretazioni di "Nestore l'ultima corsa", in cui era un anziano
e stanco vetturino romano preoccupato della malattia del proprio cavallo
o quell'ultimissimo "Incontri proibiti" accanto a Valeria Marini,
dove interpretava un anziano gentiluomo ancora attratto dalle donne, tanto
da iscriversi ad una scuola di tango.
Sordi ha interpretato
mille ruoli, dal vigile al medico, dal presidente di calcio al tassista,
dal poveraccio al nobile.
E' stato,
insieme a Totò, il più grande comico nostrano di tutti
i tempi. Tutti i suoi colleghi lo amavano e tutti lo piangono. In particolare
uno, che l'Albertone aveva più volte dichiaratamente adottato come
proprio erede, Carlo Verdone oggi lo ricorda così: "Non lo
vedevo da un anno e avevo capito che c'era qualcosa che non andava. È
chiaramente un dolore enorme per me perché era un amico vero. Un
grandissimo attore che ha scandito 40 anni della vita del nostro Paese.
Scompare un attore enorme, immenso e soprattutto una grande maschera. Sul
piano umano poi sono molto triste perché era una persona che mi
voleva molto bene e penso che anche lui sentisse che gli volevo un bene
dell'anima". Così come il comico Max Tortora, così
bravo ad imitarlo recentemente al Costanzo show, ha dichiarato che "La
mia imitazione muore con lui".
Infine il
regista Pupi Avati, che gli aveva proposto la parte in "Il cuore
altrove" che poi è toccata a Giancarlo Giannini: Sordi non se l'è
sentita ma poi gli aveva raccomandato: "Scrivi il ruolo di un grande protagonista
per me, per il mio ultimo grande film. Io non l'ho fatto e il dolore e
il rimpianto ora sono ancora più forti".
L'elenco delle
persone che lo hanno amato e lo hanno seguito è lunghissimo e per
parlare di Alberto Sordi ci sarà sicuramente ancora tempo. Immaginiamo
che in un futuro neppure lontano si potrà anche
studiarlo,
l'Albertone nazionale. Per ora ci basti ricordare le sue innumerevoli gag
e battute dei suoi film; ne scegliamo una su tutte.
«Ho
sognato che ero rimasto vedovo. Un sogno completo: morte, camera ardente,
funerale. Io camminavo dietro al feretro. Mentre tutti piangevano, io ridevo.
Poi, mentre calavano la bara giù, nella fossa,
ho sentito
come un colpetto qui dietro alla nuca. Tac! Anche abbastanza forte. Mi
sono risvegliato nel mio letto: era mia moglie che mi diceva, cos'hai cretinetti,
ridi nel sonno?». (da «Il vedovo») |