Nel particolare
Il tessuto miocardico per sua natura è un conduttore, ed in molte zone le cellule sono organizzate in microcircuiti. Queste  riconoscono in un gruppo di cellule del NS la proprietà di circuito primario.      La funzione contrattile si esplica quando il segnale elettrico dal circuito primario abbia attraversato per induzione tutti i microcircuiti e da questi in tutte le cellule, giungendo alla periferia.                                                                Quando i circuiti secondari, per una delle tante cause, e fra queste l'influenza di una corrente esterna non riconoscono il circuito primario perdono la capacità di una depolarizzazione sincronizzata.
L'invasione di un flusso di corrente elettrica esterna avente un valore di induzione elettromagnetica notevolmente elevato, che per la sua durata colpisce anche nel periodo di vulnerabilità, distrugge il delicato equilibrio dove i microcircuiti vengono attivati e sottratti alla dipendenza del circuito primario, con conseguenti depolarizzazioni autonome, perdita del sincronismo, contrazione di tipo vermicolare, maggior consumo di molecole di adenosintrifosfato.           
Qualora questo fenomeno fosse di breve durata (un tempo inferiore al ciclo cardiaco), e i valori della intensità non fossero elevati, è possibile che possa verificarsi solo l'azzeramento dei potenziali elettrici, lasciando la facoltà alle cellule del circuito primario di riprendere la sua normale funzione come in una defibrillazione.
Proprio questo risultato viene  raggiunto impiegando il defibrillatore, un'apparecchiatura medicale che applica un impulso elettrico al torace dell'infortunato tramite due elettrodi. I fattori che possono rendere probabile l'innesco della fibrillazione ventricolare sono diversi. Tra i  più significativi c'è
l'intensità della corrente che attraversa il corpo nell'unità di tempo, di cui una piccola parte passa attraverso il cuore e causa la fibrillazione. Questa quantità è molto difficile da determinare in modo certo, nonostante i numerosi studi che sono stati realizzati per valutare il minimo valore di corrente che può dare inizio a questo fenomeno, l'impossibilità di realizzare esperimenti diretti con l'uomo rendono molto difficoltosa una raccolta di dati sufficientemente attendibili.
La defibrillazione
È una pratica terapeutica che utilizza una scarica controllata di corrente elettrica allo scopo di correggere anomalie funzionali su basi elettriche del cuore. Essa è largamente usata nella cardioversione di molte turbe del ritmo. In un arresto cardiaco, dovuto a fibrillazione ventricolare o a tachicardia ventricolare senza polso, al momento della scarica, la corrente che riesce a colpire il cuore non supera il 4% del totale, tutto il resto si disperde ramificandosi in altri tessuti. La quantità di elettroni che sono messi in campo sono tra i 30 e i 40 Ampere per una corrente monofasica  scaricati tutti in 3-5 msec. L'effetto che si ottiene è una simultanea depolarizzazione di tutte le fibre del miocardio. Dopo il silenzio elettrico le cellule del NS sono in condizioni di iniziare le depolarizzazioni guida.
Le prime esperienze di defibrillazione le fecero i Russi nel 1952 utilizzando corrente alternata di rete per correggere turbe del ritmo cardiaco, ma il primo che si occupò della defibrillazione elettrica moderna fu l'americano Paul Maurice Zoll, nel 1953 egli dimostrò che entro i primi minuti un cuore in arresto se opportunamente stimolato con una corrente elettrica può riprendere la sua attività. In seguito egli si occupò della costruzione dei primi defibrillatori.                                                                                                                                        La corrente che è in uso nel cuore è di natura elettrochimica e quindi di tipo continua, di conseguenza i primi defibrillatori, che ancora oggi resistono, erano dei monofasici. Erano costruiti in modo semplice perché utilizzavano una corrente continua da un pacco batterie o da un trasformatore, avevano un regolatore di tensione e un condensatore le cui armature erano gli elettrodi entro i quali doveva trovarsi il cuore al momento della scarica.                                                       La seconda generazione fu quella dei defibrillatori semiautomatici, che consentivano a laici di eseguire una defibrillazione in quanto la macchina era in grado di stabilire se il ritmo era defibrillabile esonerando l'operatore dal fare una diagnosi. Oggi i nuovi defibrillatori bifasici hanno tempi di ricarica ridotti (4 secondi) e tempi di scarica da 5 a 10 msec con un'energia di lavoro standard a 150J ed il tempo di scarica fermato quando un processore rileva l'avvenuta efficacia riducendo ulteriormente i danni collaterali relativi all'effetto Joule sulle cellule colpite.          L'AHA, che per prima ha applicato un algoritmo della defibrillazione, stabiliva range utili di energia da utilizzare che andavano da 200J a 360J per gli adulti e nei bambini da 2 a 4 J/Kg per i   monofasici, tenuto conto che la soglia minima efficace è stata calcolata tra i 175J e 320J.                  Per i defibrillatori bifasici i livelli partivano da 120J e arrivavano fino a 170J.                                                                                                                                   Altro genere di defibrillatori sono quelli automatici impiantabili, sono in grado di riconoscere ed automaticamente convertire una fibrillazione ventricolare, le loro minuscole dimensioni consentono anche un impianto sottocute in quelle persone soggette a ricorrenti fenomeni di questa aritmia.
In conclusione il successo di una defibrillazione, per quanto brillanti possano essere le nuove macchine resta legata al tempo d'intervento, alla possibilità di trovare un cuore non in acidosi metabolica, non in ipossia e che ancora resiste una certa scorta di molecole di ATP senza le quali le teste dei miofilamenti di miosina non agganceranno l'actina con impossibilità alla contrazione muscolare.


                                                                (Francesco Saverio Laudani)

 

BIBLIOGRAFIA

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 FISIOLOGIA UMANA-Rindi & Manni  2004 (UTET) 
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