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STORIA DI ROMA



LA REPUBBLICA

La III° guerra punica:
la distruzione di Cartagine
(149 - 146 a.C.)


Delenda Carthago - Il casus belli - L'assedio di Cartagine - Caduta e distruzione

 


"Delenda Carthago"

Dopo la sconfitta di Zama, sebbene pesantemente ridimensionata nel territorio e nelle capacità militari, Cartagine si era risollevata dal punto di vista economico. L'economia era ritornata a fiorire, soprattutto via mare, e la classe dirigente, una volta scacciato Annibale e i seguaci della sua politica aggressiva, cercava di mantenere rapporti di pace sia con la Numidia che con Roma.

Tuttavia l'esistenza stessa della città che fino a poco tempo prima era stata una bellicosa nemica, non riusciva a tranquillizzare certi ambienti del senato, che ormai aveva inaugurato una politica estera piuttosto aggressiva.

E' importante ricordare il famoso episodio che vide protagonista Catone, celebre senatore conservatore, paladino della rigidità dei costumi.
Nel 153 a.C. egli fu ambasciatore a Cartagine, e questo gli permise di osservare da vicino la rinascita economica della città. Tornato a Roma si dice che, al termine di ogni discorso, qualunque argomento trattasse, pronunciasse le parole "ceterum censeo Carthaginem esse delendam", ovvero "d'altronde penso che sia necessario distruggere Cartagine".

Tale mantra non passò certo inosservato negli ambienti senatori, l'espansione in oriente aveva fatto capire a Roma che la supremazia nel Mediterraneo, anche economica, era a un passo dal compiersi, e l'unico ostacolo era Cartagine.


Il casus belli

Malgrado le intenzioni, i romani non se la sentivano di attaccare Cartagine senza addurre un casus belli. L'occasione la fornì la Numidia.

Il confine tra Cartagine e la Numidia non era stato definito in modo preciso dagli accordi di Scipione. Massinissa continuava ad attaccare i confini, e ogni volta, aprofittando del divieto cartaginese di attaccare senza il consenso romano, portava via una parte di territorio ai vicini. Malgrado le frequenti intercessioni romane per appianare le dispute, alla fine a Cartagine prevalse il partito dell'intervento.

Nel 150 a.C. un esercito cartaginese al comando dell'ennesimo Asdrubale attaccò Massinissa. Nonostante la sconfitta di Asdrubale, i romani approfittarono dell'incidente e si preparono ad intervenire, visto la violazione dei trattati stipulati nel 201.

Spaventati, i Cartaginesi si affrettarono a fare marcia indietro e ad addossare la colpa dell'agressione sul solo Asdrubale, che venne anche condannato a morte (ma riuscì a fuggire e organizzare un proprio esercito). Due ambascerie furono mandate a Roma per risolvere la questione, ma i romani avevano già deciso per la guerra, era il 149 a.C.


L'assedio di Cartagine

Sbarcati presso Utica, come nella precedente guerra, i romani intimarono la resa alla città, che non aveva, d'altronde, nessuna intenzione di sacrificarsi. Essi promisero poi la libertà e la conservazione del territorio cartaginese solo dietro consegna di 300 ostaggi, tutti bambini appartenenti alle famiglie diridenti, e anche questa condizione fu soddisfatta. Quando però i romani posero la terza condizione, i cartaginesi rifiutarono. Roma pretendeva che gli abitanti di Cartagine lasciassero la città per sempre, e che andassero ad abitare a non meno di 80 stadi (15 chilometri) dal mare, la stessa città sarebbe stata distrutta.

La città si preparò a resistere, mentre gli italici e gli ambasciatori che si trovavano a Cartagine vennero uccisi dalla folla inferocita.
Roma non attaccò subito Cartagine, sicura del successo di un eventuale assedio e impegnata, in quel periodo, su più fronti. La città potè riorganizzarsi. Asdrubale venne graziato e il suo esrcito chiamato a far parte della guardia cittadina, vennero forgiate armi, rinforzate le mura e fatta scorta di provviste.

Quando l'esercito romano si decise a muovere l'esercito, si trovò davanti ad una città arroccata. Dopo due anni di assedio, ancora non si era giunti a nessun risultato. Nel 149 a.C. era morto Massinissa, che non potè dare così alcun aiuto.
Nel 148 a.C., a capo dell'esercito, fu chiamato il capace Publio Cornelio Scipione Emiliano, figlio di Lucio Emilio Paolo, il vincitore di Pidna, e figlio adottivo di Scipione l'Africano.

Come sempre nei casi di lungo assedio, Emiliano epurò l'esercito dalle prostitute e diede una scossa all'eccessivo rilassamento che si era creato nelle sue file. Nel 147 riuscì a sconfiggere definitivamente gli eserciti campali cartaginesi e isolare così la città, impedendone i rifornimenti. La sua caduta era ormai vicina.


Caduta e distruzione

Nella primavera del 146, la città era ormai allo stremo, i suoi abitanti morivano di fame. I romani penetrarono oltre le mura senza quasi incontrare resistenza, e cominciarono a condurre una dura battaglia casa per casa, settore per settore, abbattendo muri e entrando dai tetti.

Dopo 6 giorni e 6 notti di combattimenti, i romani isolarono 50.000 abitanti sull'altura di Byrsa. Invocando pietà, essi si arresero e vennero fatti schiavi, tranne 300, in gran parte disertori romani, che vennero bruciati assieme alle costruzioni.

Malgrado Emiliano volesse risparmiare la città, il senato ne ordinò la distruzione dalle fondamenta, sulla terra vennero tracciati solchi con l'aratro e venne dichiarato il luogo maledetto. Era il 146 a.C.

Stessa sorte toccò alle città che avevano sostenuto la ribellione, Utica venne risparmiata perchè arresasi fin dall'inizio. Il territorio Cartaginese divenne la nuova provincia dell'Africa, mentre agli eredi di Massinissa vennero fatte concessioni territoriali.

Si chiudeva così definitivamente uno scontro iniziato quasi 120 anni prima. Cartagine era stata annientata, l'Egeo era sotto controllo romano (si vedano
gli eventi in Grecia dello stesso anno e la ditruzione di Corinto), il Mediterraneo era ormai libero da concorrenti.

 

 

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