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STORIA
DI ROMA
LA
REPUBBLICA
L'espansione
romana in Oriente:
La terza guerra macedone
(171 - 168 a.C.)
Nuove
politiche macedoni
-
La
guerra: la battaglia di Pidna
Nuove
politiche macedoni
Malgrado
la Macedonia avesse combattuto validamente al fianco dei romani nella
guerra siriaca, nuove nubi si addensavano all'orizzonte. La Macedonia
aveva tratto molti vantaggi dalla vittoria sui siriani, il suo territorio
si era allargato a scapito della lega Etolica e della Tracia, dove aveva
occupato le città della costa precedentemente in mano alla Siria.
Filippo V già pensava di cambiare nuovamente
linea politica, aspirando all'egemonia sulla Grecia, che già
tornava a lamentarsi del giogo romano e vedeva la Macedonia come possibile
liberatrice di turno.
Filippo
aveva due figli, Perseo, il primogenito, e Demetrio. I romani puntarono
sul secondo in quanto aveva già abitato Roma in qualità
di ostaggio, e lo vedevano già alla guida della Macedonia, tuttavia,
i contrasti e le tensioni che ne derivarono all'interno della famiglia
macedone ebbero come unico risultato la condanna a morte di Demetrio
nel 181 a.C.
I romani avevano già tentato per via diplomatica di far desistere
la Macedonia: le ordinarono di abbandonare immediatamente le coste della
Tracia e alcune zone della Grecia. Filippo sembrò abbandonare
i propositi bellicosi diretti e si concentrò sulla conquista
delle zone interne della Tracia. Egli aveva il progetto di formare una
coalizione con gli stati barbari in grado di sfidare i romani.
Nel 179 Filippo morì e il regno passò
nelle mani del figlio Perseo. Questi era nemico di Roma, anche se apparentemente
manteneva la pace in modo da tessere la tela delle alleanze anti-romane.
Perseo puntava alla Grecia, lanciando una campagna demagogica imponente
per spingere sul malconento popolare e il desiderio di liberazione dei
greci.
La
guerra: la battaglia di Pidna
Nemico
di Perseo era Eumene, re di Pergamo e alleato dei romani. Nel 172 a.C.
andò a Roma per presentare di persona le sue lagnanze: era preoccupato
dalla politica macedone in Grecia e in Tracia. I romani, che non erano
ancora pronti alla guerra, tergiversarono, in modo da organizzare meglio
il conflitto, Perseo non osò attaccare per primo, e quindi si
arrivò a rinviare l'inizio del conflitto
nel 171.
La
Grecia non era passata al fianco di Perseo, forse intimorita dalla potenza
romana e comunque non propriamente convinta della forza della Macedonia.
Gli Etoli si schierarono con Roma nella speranza di contrastare il troppo
potente regno ai suoi confini. Anche la lega Achea si schierava come
sempre con i romani, come Pergamo e Rodi. Perseo si trovò così
isolato.
Le prime battaglie furono favorevoli a Perseo. I romani combattevano
in modo disorganizzato, abbandonandosi alle violenze verso le popolazioni
locali. Questo favorì un nuovo cambiamento negli umori dei greci,
che sembrarono tornare dalla parte della Macedonia. Tuttavia Perseo
tendeva a non sfruttare lo slancio delle vittorie, per timore di perdere
poi rovinosamente (si dice fosse molto avaro e quindi ossesionato dalla
possibilità di perdere ciò che aveva conquistato).
Nel
170 e nel 169, la Macedonia ebbe però importanti conferme dalle
battaglie navali nell'Egeo. Rodi, credendo che i romani non fossero
in grado di concludere il conflitto, chiese loro di intavolare trattative
di pace col nemico per salvaguardare gli interessi commerciali della
sua flotta. Dicerie di palazzo volevano persino Eumene di Pergamo in
trattative segrete con Perseo.
Roma ruppe gli indugi. Nel 168 a.C. Lucio Emilio
Paolo prese il controllo delle operazioni, restituendo la displina perduta
all'esercito. Egli riuscì con il suo esercito a confinare Perseo
nelle vicinanze di Pidna, in Tessaglia.
La battaglia vide in un primo momento il successo schiacciante della
falange macedone. La fanteria romana venne ricacciata quasi sulle alture
che attorniavano il campo di battaglia e paradossalmente fu proprio
l'enorme forza d'urto della falange a segnarne le sorti. L'attacco macedone
era stato così rapido che presto le falangi si ritrovarono disunite
e vennero attaccate alle spalle e ai fianchi dalla seconda linea romana,
che la sbaragliò. La cavalleria macedone, vista la sorte della
falange, invece di attaccare si ritirò. A Perseo non restò
che fuggire a Samotrace con i suoi tesori. Sul campo restarono 20.000
macedoni, altri 11.000 vennero fatti prigionieri.
La battaglia di Pidna, oltre a segnare la definitiva
scomparsa della monarchia macedone, fu decisiva e importante in quanto
segnò l'abbandono della linea diplomatica romana a favore di
una più energica politica di "annullamento" degli sconfitti.
Da Pidna in poi i romani avrebbero sistemato le faccende orientali
con mano decisamente più energica.