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STORIA DI ROMA



LA REPUBBLICA

L'espansione romana in Oriente:
La seconda guerra macedone, la liberazione della Grecia
(203 - 196 a.C.)


La guerra in Oriente - Roma scende in campo - La seconda guerra macedone -
La liberazione della Grecia



Guerra in Oriente

Mentre Cartagine e Roma erano intente a darsi battaglia nel Mediterraneo, altri vicende avevano creato diversi rapporti di forza tra le potenze orientali.

Le tre grandi potenze orientali attorno al 200 a.C. erano la Macedonia di Filippo V, già intromessasi nelle vicende della guerra tra Roma e Cartagine con azioni di disturbo nell'Adriatico (si veda la
II° guerra punica), la Siria di Antioco III e l'Egitto Tolemaico.

Mentre la Macedonia manteneva la sua influenza sull'Illiria e sulla Grecia, la Siria era riuscita a reasturare la monarchia dei Seleucidi e occupava un territorio che andava dal medio-oriente fino alla Persia, attraverso la Mesopotamia. Per l'Egitto Tolemaico invece, si avviava una lenta e inesorabile decadenza, il suo territorio era ambito sia dalla Macedonia che, soprattutto, dalla confinante Siria.

Nel 203-202 a.C. Macedonia e Siria strinsero un accordo segreto contro l'Egitto. Nel 201 Antioco invase la Siria meridionale e sconfisse l'esercito egiziano, conquistando Gaza. Filippo V, invece, forse per doppio gioco (si dice volesse risparmiare l'Egitto per ricavarne una futura alleanza contro la Siria) attaccò le città indipendenti dell'Egeo, e dell'Ellesponto, allendosi con Prusia, re di Bitinia (Turchia settentrionale).

Le città greche, indignate dall'efferatezza degli attacchi (distruzioni e schiavismo), cominciarono ad allearsi tra loro: Rodi, Bisanzio, Chio e il regno di Pergamo si unirono contro gli aggressori.

Filippo V fu validamente tenuto a bada dalle agguerrite flotte greche, e fu costretto a ripararsi nella Caria meridionale (Turchia) per qualche tempo, prima di fare ritorno in Macedonia, non sconfitto, ma nemmeno vincitore e dopo avere inutilmente tentato di invadere Pergamo.


Roma scende in campo

Le città greche assalite non potevano certo sperare di resistere a lungo, fu così che decisero di mandare un'ambasciata a Roma per cercarne l'appoggio.

In quel momento Roma era appena uscita dalla seconda guerra punica: l'economia italica era in ginocchio, la popolazione diminuita drasticamente e i tributi chiesti alla popolazione avevano raggiunto cifre esorbitanti. Non sembrava quindi possibile che l'Urbe decidesse per un intervento militare, si trattatava pur sempre di una nuova campagna fuori dai confini.

Tuttavia Roma accettò di aiutare le città greche. Fu una decisione lungamente ponderata. A favore dell'intervento aveva giocato il timore che la Macedonia e la Siria, allenadosi, avessero potuto conquistare agevolmente gli stati medio-orientali, nettamente più deboli e dar vita a un regno fin troppo potente e potenzialmente pericoloso per gli interessi romani nel mediterraneo.


La seconda guerra macedone

La diplomazia romana si mosse in due direzioni. Nella prima si faceva pressione su Filippo per constringelo ad ingaggiare lotta, nella seconda si cercava di mantenere la Siria neutrale, cosa che di fatto riuscì, vista l'antica diffidenza di Antioco verso la Macedonia. Pur avendo stretto un alleanza, Macedonia e Siria mai ebbero una politica comune, ognuno temeva che le vittorie avrebbero rafforzato eccessivamente una parte a scapito dell'altra. Questo rese debole da subito l'alleanza tra i due stati.

Nel 199 a.C. Publio Sulpicio penetrò in Macedonia attraverso l'Illiria. Filippo si ritirò, temendo la superiorità numerica dei romani, mentre questi, impossibilitati a ingaggiare battaglia, ritornarono ai loro accampamenti in Illiria. Filippo ebbe il tempo di fortificarsi e rafforzare le difese ai valichi fra l'Epiro e la Tessaglia, mentre respingeva gli attacchi di invasori Etoli e Dardani.

Nel 198 il comando dell'esercito romano fu affidato a Tito Quinzio Flaminino, valente generale dell'ambiente degli Scipioni. Egli era un abile diplomatico e sognava di liberare la Grecia, della quale era un ammiratore, dal gioco macedone.

Flaminino cominciò subito a tessere una rete di alleanze anti-macedoni. Diede un ultimatum a Filippo: egli doveva liberare immediatamente le città greche dall'assedio. Filippo, che si sentiva forte delle posizioni, non accettò. Flaminino, con l'aiuto di guide locali, fu però talmente abile da aggirare le fortificazioni macedoni e costrinse Filippo ad indietreggiare ancora di più verso l'interno.
Intanto dalle parti di Roma si erano schierate anche le città dell'Achea, fino ad allora alleate della Macedonia. Successivamente anche Sparta e la Beozia cambiarono l'alleanza in favore dei romani. Filippo era sempre più isolato. Contemporaneamente, la flotta alleata si era intanto avvicinata a Corinto, importante centro sotto inluenza macedone.

Nel 197 a.C. la situazione era ormai matura per lo scontro diretto. Filippo non poteva attendere oltre con il rischio di rimanere sempre più solo, Flaminino temeva di essere sostituito alla guida dell'esercito.
Lo scontro avvenne in Tessaglia, sulle colline dette Cinocefale ("teste di cane"). Filippo aveva assoldato le riserve, tra loro anche ragazzi di sedici anni, entrambi gli eserciti disponevano di circa 26.000 uomini. I romani vinsero infliggendo pesanti perdite ai macedoni, che non avevano potuto sfruttare le qualità della falange sul terreno collinare e scosceso.

I romani, temendo l'intervento siriano, si affrettarono a trattare l'armisitizio. Si decise una tregua di quattro mesi e il pagamento di 400 talenti. Filippo doveva inoltre interrompere gli assedi alle città greche ed evaquare quelle conquistate, oltre a consegnare la flotta militare.
Le clausole non furono troppo severe perché già si pensava di guadagnarsi l'appoggio di Filippo nella futura e ormai inevitabile guerra contro la Siria.


La liberazione della Grecia

Sempre nell'ottica diplomatica di crearsi un largo consenso nelle regione orientali, Roma e Flaminino dichiararono solennemente la libertà della Grecia. Il testo del trattato recitava: "In generale, tutti gli Elleni, sia asiatici che europei, saranno liberi e sottoposti a proprie leggi".

Polibio scrisse della dichiarazione in occasione dei giochi istmici dell'estate del 196 a.C., riportando l'araldo: "Il senato romano e il comandante con potere consolare, Tito Quinzio, che hanno vinto il guerra Filippo e i Macedoni, donano la libertà ai Corinzi, ai Focesi, agli Egei, agli Achei Ftioti, ai Magneti, ai Tessalici, ai Perrebi, permettendo loro di non mantenere guarnigioni, di non pagare imposte e di vivere secondo la legge dei loro padri".

Le città greche da sole non potevano ormai contrastare né i Macedoni, né Roma, né tantomeno la Siria. Roma decise allora di stringere un accordo che in termini moderni si definirebbe di "partnerariato", ben sapendo di essere il soggetto più forte. Roma avrebbe quindi aiutato la Grecia, frammentata come sempre in un'innumerevole sciame di città indipendenti e piccoli stati, proteggendola con il suo prestigio politico e la sua forza militare.

In sostanza fu un'abile mossa diplomatica per garantirsi il favore di una antica e onorata civiltà, se Roma non avesse dichiarato la libertà dei greci, lo avrebbe fatto Antioco di Siria, con grave danno politico e strategico.

In realtà Flaminino mantenne a lungo guarnigioni romane in Grecia, che ritirò solo sotto la pressione della popolazione, che già lamentava l'occupazione romana e il tradimento dell'annuncio. I romani intendevano ridisegnare la carta geo-politica di una regione ritenuta ancora instabile. In vista di una invasione siriana, Flaminino e il consiglio dei dieci, incaricati di vegliare sulla regione, cercarono di attirare a sé più alleati possibili.

 

 

 

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