STORIA
DI ROMA
LA REPUBBLICA Le
leggi Licinie-Sestie, Le guerre sannitiche
Le
Leggi Licinie-Sestie
- La Prima
guerra sannitica -
La Seconda
guerra sannitica
-
Scacciati
gli invasori barbari, Roma venne ricostruita in fretta e furia. Si era
anche pensato di abbandonare definitivamente la città e di edificarne
un'altra in un luogo diverso, ma una volta superato lo spavento, ricominciò
lo scontro interno tra patrizi e plebei. Le questioni sul tavolo erano
la spartizione delle terre sotratte a Veio, che i plebei rivendicavano,
e la possibilità per i plebei di accedere al consolato. I tempi erano maturi perché due tribuni appartenenti ai ceti più abbienti, Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano, facessero approvare alcune leggi favorevoli al popolo. Con la prima si agevolava il pagamento dei debiti, con la seconda si ponevano limiti alla grandezza dei terreni acquistabili e alla dimensione delle greggi, in modo da lasciare spazio anche ai più poveri, e con la terza si decise che uno dei consoli fosse sempre un plebeo. Lo
scontro al Senato fu durissimo e si protrasse per dieci anni. Fu il
solito stallo dei veti incrociati, sia da parte dei patrizi che da parte
dei tribuni, per cui sembrava che non si potesse prendere nessuna decisione,
ma alla fine le leggi furono approvate. Risolta temporaneamente la questione interna, si presentò a Roma un nuovo problema esterno. Giunsero a Roma alcuni ambasciatori campani venuti dalla città di Capua, fiorente centro della Magna Grecia. Essi venivano ad invocare aiuto a causa della minaccia dei sanniti, i quali stringevano d'assedio la loro città per distruggerla. I sanniti erano una assai bellicosa popolazione della Campania centrale con la quale i romani avevano però stretto un patto di non belligeranza alcuni anni prima. Di fronte al rifiuto del Senato di venire in aiuto di Capua, gli ambasciatori, terrorizzati dalla sorte che li avrebbe attesi, non ci pensarono su due volte a consegnare nelle mani di Roma la loro città. A questo punto i romani saggiarono il terreno mandando un'ambasciata nel Sannio. Gli ambasciatori proposero ai sanniti di abbandonare l'assedio di Capua poiché era diventata di loro proprietà. I sanniti risero in faccia ai messi e Roma non potè che dichiarare loro guerra nel 343 a.C. Le sorti della guerra furono affidate a due consoli patrizi (contravvenedo alle leggi Licinie-Sestie da poco approvate). In Campania fu inviato marco Valerio Corvo, nel Sannio Aulo Cornelio Cosso. Le
sorti della guerra in Campania arrisero all'esercito di Valerio, che
sconfisse i sanniti abbastanza facilmente, mentre in aiuto di Cornelio
Cosso, impantanato tra le strette gole del Sannio e vittima della guerriglia
e delle imboscate, fu necessario il rinforzo di un tribuno militare
plebeo, Publio Decio Mure.
Ma
i conti con i sanniti non erano ancora chiusi. Inevitabile fu lo scoppio
di una nuova serie di guerre nel 327 a.C. I sanniti lasciarono passare l'esercito, ormai minacciato dalla fame, ma impose gravose condizioni di resa. Ogni soldato romano fu costretto a denudarsi e passare sotto un arco di lancie nemiche, schernito e deriso dal nemico. Inoltre, i romani furono costretti a lasciare in ostaggio ai sanniti la loro cavalleria. L'episodio fu ricordato col nome di Forche Caudine. Il ritorno a Roma dei due consoli fu mesto. Fu deciso di sostiuirli con il patrizio Lucio Papirio Cursore e il plebeo Quinto Publilio Filone. Le condizioni di resa non furono accettate e l'esercito romano, sotto la guida dei nuovi abili generali, riuscì a ricambiare l'onta delle Forche Caudine vincendo in Apulia (furono restituiti gli "onori" ai sanniti, ripetendo a parti inverse la farsa delle Forche). Malgrado
i sanniti si fossero alleati con gli etruschi e con i popoli latini
e sabini sempre in lotta con Roma, dovettero definitivamente capitolare
a Boviano. Il terzo ed ultimo episodio della guerra sannitica si consumò a partire dal 298 a.C. Questa volta i sanniti si erano alleati, oltre che con i sabini, umbri e lucani, anche con i galli senoni, gli stessi che avevano saccheggiato Roma. Nella pianura umbra di Sentino, nel 295, i romani vennero sorpresi da una trovata dei Galli. Essi si gettarono sull'esercito romano con carri trainati da cavalli, in ogni carro una legione barbara che scagliava freccie. Il fracasso dei carri spaventò i cavalli romani, i quali batterono in ritirata. Ma nemmeno questa trovata bastò. Publio Decio Mure, filgio dello stesso Mure che era corso in aiuto delle legioni nella prima guerra, si immolò abbattendosi contro i carri e perdendo la vita. Il suo sacrificio diede nuovo vigore ai romani che sbaragliarono i Galli per l'ennesima volta. Ad uno ad uno caddero anche gli alleati dei sanniti, e a questi indomabili guerrieri non restò altro che firmare, questa volta definitivamente, la resa. Questo accadde nel 290 a.C. Con
la vittoria sui sanniti i Romani conquistarono una posizione di dominio
in tutto il centro sud, conquista che inaugurò storicamente l'ascesa
militare romana sul suolo italico.
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