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Leibniz

Gottfried
LEIBNIZ

(1646-1716)

 


Gottfried Leibniz nacque a Lipsia. Si formò come autodidatta sopra i testi della biblioteca del padre, professore universitario di diritto. Lo studio da autodidatta non gli impedì di laurearsi in giurisprudenza, interessandosi poi di matematica (in particolare di calcolo infinitesimale), filosofia, teologia e storiografia.

L'idea di promuovere la fondazione di una scienza universale enciplopedica lo fece viaggiare molto da una capitale europea all'altra. Nel 1670 ottenne un posto di consigliere presso la cancelleria dell'elettore di Magonza, nel 1676 divenne bibliotecario del duca di Hannover. In Olanda conobbe Spinoza, mentre dai contatti con lo zar di Russia, Pietro il Grande, prese vita l'Accademia di Pietroburgo. Nel 1700 fonda l'Accademia scientifica di Berlino.

Negli ultimi anni abbandona il duca di Hannover (diventato nel 1714 re d'Inghilterra) e avvia una disputa con Newton, che gli contendeva la paternità degli studi sul calcolo infinitesimale.

Opere principali: L'arte combinatoria (1666); Sistema nuovo della natura (1695); Saggi di teodicea (1710).

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Sommario

1. Contro i meccanicisti, la riscoperta del finalismo

2. La materia non spiega la vita

3. Le monadi: gli atomi spirituali

4. Le piccole percezioni

5. La monade dominante, ovvero l'anima come Entelechia

6. L'armonia prestabilita

7. Il migliore dei mondi possibili

8. L'esistenza di Dio nel principio di ragione sufficiente


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1. Contro i meccanicisti, la riscoperta del finalismo

Leibniz polemizzò da subito con Cartesio e i meccanicisti, i quali, euforicamente, credevano che le sole cause funzionali bastassero a spiegare la natura dei fenomeni. In sostanza, il significato delle cose era da cercare nel modo in cui funzionavano. Il mondo, per i meccanicisti, era un grande meccanismo, scoprire il suo funzionamento ne avrebbe portato alla luce il significato ultimo. Anche la vita era il prodotto di effetti meccanici, tanto che gli animali erano considerati alla stregua di veri e propri oggetti, niente più che macchine, non essendo dotati di anima, diversamente dagli uomini.

Leibniz affermava invece che le cause funzionali delle cose mettono in evidenza più che altro i come, ma non i perché. Se il mondo fosse quello proposto dai meccanicisti, la natura sarebbe un'entità funzionante in sé e che non necessita di un Dio creatore. Lo stesso Cartesio aveva dimostrato l'esistenza di Dio, ponendolo però irragionevolmente al di fuori delle leggi della natura.
Leibniz invita invece a tornare a considerare le cause finali, ovvero i motivi perché le cose funzionano in un certo modo e non in un altro.

Nel Discorso di Metafisica, Leibniz riassume la polemica con una celebre battuta: "[...] io consiglio di allontanarsi dalle frasi di certi spiriti forti [i meccanicisti], secondo cui vediamo perché abbiamo occhi, senza che gli occhi siano stati fatti per vedere". Secondo i meccanicisti, vediamo perché abbiamo occhi. Questo senz'altro è vero, ma altrettanto vero è che gli occhi sono fatti per vedere.
Un altro esempio portato da Leibniz afferma che non basta spiegare il funzionamento di un cannone per spiegare i motivi di una vittoria in battaglia.

Da tutto ciò ne deriva che per spiegare al meglio il mondo e la natura delle cose occorre utilizzare entrambi i punti di vista, quello funzionale e quello finalista: il primo descrive il funzionamento meccanico di un determinato fenomeno (il come), il secondo attribuisce un significato alla mera descrizione meccanica dello stesso fenomeno (il perché).


2. La materia non spiega la vita

Le ragioni del meccanicismo non forniscono poi nessuna spiegazione in merito alla vita e alle sue ragioni d'essere. Descrivendo il funzionamento del corpo umano, ad esempio, non riusciamo comunque a trovare risposte riguardo la provenienza del principio vitale. Questo impedisce, ad esempio, che la scintilla della vita "accenda" un automa meccanico costruito dall'uomo.

Leibniz si domanda qual è quel principio vitale che da forza ed energia all'esistenza. Che la vita provenga dagli atomi non è plausibile, in quanto gli atomi sono soltanto estensione di materia nello spazio (nel senso cartesiano di res extensa). Com'è possibile allora che la vita si generi tragga forza, energia e consapevolezza solamente grazie all'apporto meccanico di principi materiali ?

In sostanza la domanda posta da Leibniz invita a ricercare "il luogo di provenienza" della forza vitale, che è poi quella che permette alla materia di prendere vita e "funzionare" autonomamente e coscientemente.


3. Le monadi

A questo punto, per rispondere alla domanda, Leibniz introduce il concetto di monade. Analogamente agli atomi, i quali sono le frazioni indivisibili della materia, le monadi sono atomi spirituali, ovvero le frazioni indivisibili dello spirito e della percezione. Le monadi sono indivisibili, come gli atomi, ma al contrario di questi sono inestese, sono ovvero composte di sostanza spirituale e non di sostanza materiale. Tutta la realtà è composta da un numero infinito di monadi, una monade per ciascuna manifestazione minima della realtà.
L'analogia con l'atomo materiale è solo funzionale all'esempio, in realtà, per Leibniz, la realtà materiale dell'atomo indivisibile è contraddittoria, in quanto è impossibile che la materia possa poggiare sul concetto di qualcosa che non è ulteriormente divisibile (Leibniz, assieme a
Newton, è il fondatore del calcolo infinitesimale). In forza di questo, per Leibniz, tutta la realtà è composta da un numero infinito di percezioni (le monadi), alcune delle quali costituiscono la percezione della materia concreta (e non la materia concreta stessa, contraddittoria per concetto).

In questo modo lo spiritualismo di Leibniz giunge al culmine: le unità semplici dello spirito, entro il quale tutto si manifesta, compresa la "sensazione" che permette di percepire la materia come consistenza, sono monadi, in quanto contengono una vis repraesentativa ("forza rappresentativa") non riducibile ad altre unità minime. Proprio perché unità minime, le monadi non ricevono dall'asterno alcuna percezione, ogni monade è chiusa in sé stessa e perfettamente compiuta in sé, ogni monade costituisce la visione della realtà limitatamente a ciò che percepisce (la monade che consiste nella percezione della felicità, ad esempio, percepisce il mondo come felicità, quella della tristezza concepisce il mondo come pura e infinita tristezza).
Le monadi sono quindi finite limitatamente all'oggetto del loro percepire (ogni monade vive il mondo percependo solo un aspetto di esso) ma sono infinite in rapporto al modo in cui percepiscono il loro limite. La monade che rappresenta la felicità, ad esempio, percepisce illimitatamente la felicità escludendo però ogni aspetto della realtà che non rappresenta la felicità.

La realtà è un'insieme infinito di monadi, le quali non sono unità materiali, ma spirituali. Il mondo si configura così come "un fatto" composto da percezioni spirituali, e non da materia concreta.

"Ma il concetto di un corpo non divisibile è per Leibniz contraddittorio. La divisione, allora, è infinita; ma il suo risultato non è lo zero, il niente, solo si abbandona il presupposto materialistico e si ammette che i "veri" atomi della realtà non sono realtà materiali, ma quella realtà immateriale che è costituita dalle "forze rappresentative", cioè dalle monadi. La monade è quindi il "limite" (nel senso che questo termine possiede all'interno del calcolo infinitesimale, che ha appunto Leibniz, assieme a Newton, il suo scopritore) della divisione infinita dell'esteso" (E. Severino, La filosofia moderna).


4. Le piccole percezioni

L'ammettere che le monadi avessero coscienza di sé, una coscienza autonoma rispetto a quella degli uomini, comportava il fatto di negare l'unità del pensiero umano, cosa fino ad allora mai teorizzata. All'uomo dunque sfuggivano tutta una parte di pensieri che avevano vita propria (le monadi rappresentano aspetti del mondo indipendentemente dalla volontà umana), come ribattere allora a coloro che sostenevano fosse impossibile che nulla di ciò che accade può sfuggire alla coscienza degli uomini?

Leibniz affermò che esistono percezioni talmente piccole da sfuggire alla piena consapevolezza dell'uomo: lo dimostra l'assuefazione a certi suoni, percepiti ma non considerati, il fatto che anche nel sonno un suono venga percepito e ci faccia svegliare indicherebbe che i sensi sono sempre attivi ma che non sempre sono attenti per accorgersi di ciò che accade.

La percezione consapevole è chiamata da Leibniz appercezione, mentre sotto il nome di piccole percezioni rientrano tutti quelli stati di coscienza inconsapevoli ma ugualmente presenti. Queste piccoli percezioni inconsapevoli sarebbero più importanti di quanto sembri (una prima teorizzazione dei condizionamenti subliminali). Sono le piccole percezioni che permettono di creare gli stati d'animo, chiari nel loro insieme, ma confusi nelle loro parti. Sono le piccole percezioni prodotte dalle singole monadi che danno significato all'insieme della percezione cosciente.

"Ogni percepire, che non percepisce con chiarezza e distinzione tutta la realtà, è una tendenza - Leibniz la chiama "appetizione" - a uscire dall'oscurità e confusione del percepire." (E. Severino, La filosofia moderna).
Se alcune percezioni connesse alla realtà non sono del tutto chiare, significa che alcune monadi sono caratterizzate dal fatto di non percepire chiaramente un certo stato. Le monadi che percepiscono chiaramente lo stato di cose esistente sono caratteristiche dall'appercezione, quelle che rimangono nell'oscurità dell'oggetto percepito sono piccole percezioni.


5. La monade dominante, ovvero l'anima come Entelechia

Se Cartesio aveva ipotizzato che la vita fosse solamente la conseguenza di fattori meccanici, che la meccanica stessa avrebbe potuto, con le dovute conoscenze, riprodurre un corpo umano in tutta la sua integrità vitale, Leibniz sostiene che la struttura degli esseri biologici è di gran lunga più complessa di quella di una macchina. Mentre le singole parti di una macchina sono prive di vita, gli organismi biologici hanno in sé altri mondi viventi, composti da strutture viventi sempre più piccole ("in una goccia d'acqua vi è un giardino di piante", affermazione suggerita dalle prime osservazioni al microscopio).

Tutto, nel mondo biologico, è vivo, tutte le entità biologiche hanno in sé dei microcosmi di vita che replicano in miniatura altri mondi di vita. Ogni essere vivente possiede però un principio vitale (una monade) dominante, questo principio dominante è l'anima. L'anima, costituendo la realizzazione del fine ultimo, può essere considerata come un'entelechia (dal greco entelecheia, composto da eichein, "avere", en-, "in" telos, "compimento"; ovvero, la compiuta realizzazione del proprio fine, tutto ciò che trae giustificazione in modo autonomo e indipendente, senza alcun apporto esterno). Entelechie sono anche le sostanze semplici, le quali traggono autonomamente la forza di esistere, non abbisognano di altri fattori se non la loro propria esistenza (l'entelechia implica così una forma di perfezione autosufficiente).

L'anima è la monade suprema in quanto insieme di tutte le forze rappresentative che costituiscono la coscienza del mondo (e quindi il mondo stesso), l'anima è infatti un nucleo spirituale che permette di raccogliere in sé tutte le monadi che vanno a formare il pensiero cosciente.


6. L'armonia prestabilita

Una volta compreso che la realtà si configura come un insieme infinito di monadi, ci si domanda come può questo insieme infinito di forze rappresentative diverse avere un certo ordine. E' infatti innegabile che la realtà non è caos, ma è manifestazioni di accadimenti che hanno pur sempre un ordine (al giorno succede la notte, al ricordo del passato succede la comprensione del presente, e così via).

Le monadi sono quindi in rapporto tra di loro, solo così la monade che percepisce il giorno può percepire la notte come "sua conseguenza". Leibniz presenta tre ipotesi sul reale meccanismo che permette alle monadi di percepirsi e rapportarsi tra loro:

1.
Prima ipotesi: le monadi sono soggette a una legge di necessità deterministica, cosicché all'apparire di una monade (il giorno) succede l'apparire necessario di un'altra (la notte). Questa ipotesi non può essere valida, visto che le monadi sono compiute in sé, e questo non le sottopone ad alcun obbligo che quello della loro pura esistenza;

2. Seconda ipotesi: Il compito di rendere necessari i rapporti tra le monadi spetta a Dio, il quale decide caso per caso la possibilità di far apparire una certa monade dopo un'altra. Tale ipotesi è da scartare perché equivale a dire che l'onnipotenza divina ha lasciato che le monadi fossero in balia della possibilità di non sincronizzarsi tra loro, qualora Dio decidesse di non intervenire;

3. Terza ipotesi: la corrispondenza reale tra tutte le monadi è determinata fin dall'inizio da Dio, il quale ha creato con la realtà anche ogni corrispondenza passata, presente e futura. Tale ipotesi è quella più giusta, in quanto rende giustizia all'onnipotenza divina.


7. Il migliore dei mondi possibili

Posto che Dio sia l'Assoluto e abbia creato volontariamente tutte le cose, Egli non può aver creato un mondo imperfetto. L'ammettere che Dio abbia creato volontariamente un mondo imperfetto contrasta con il buon senso e la bontà del Creatore: se Dio ha creato il mondo lo ha creato come il migliore dei mondi possibili, ovvero ha creato ogni cosa al massimo delle sue possibilità.

Questa visione, detta dell'ottimismo metafisico, ha come conseguenza che anche ciò che di male accade ha comunque una sua necessità e giustificazione nel grande disegno dell'esistenza. Dunque il mondo creato da Dio è il migliore tra quelli possibili, il corpo e l'anima sono sincronizzati al meglio in un progetto tanto complesso quanto perfetto, e tutto ciò dimostra che la perfezione divina permea tutto il cosmo nella sua necessità. Questa visione ottimistica verrà poi criticata ironicamente da Voltaire nel Candido, dove la figura del professor Pangloss è la parodia di Leibniz stesso.


8. L'esistenza di Dio nel principio di ragione sufficiente

Se da un lato Leibniz avverte l'esistenza di Dio sulla base della prova "a-priori" di Anselmo (a priori perché prova l'esistenza di Dio indipendentemente dai dati dell'esperienza), dall'altro, Leibniz è in grado di fornire un'ulteriore prova "a-posteriori" della sua esistenza, ovvero basata sull'esperienza concreta.

Leibniz formula il principio di ragione sufficiente: nessuna cosa può essere vera o esistente senza che vi sia una ragione sufficiente del perché sia così e non altrimenti. Tale principio si applica sia alle "verità di ragione" che alle "verità di fatto". Le prime sono le verità in cui l'opposto è impossibile, perché contravverebbe alle regole del principio di non contraddizione (verità di ragione sono, ad esempio, i teoremi della geometria euclidea). Le seconde sono le verità concrete e contingenti (ovvero i fatti concreti che si realizzano), il cui opposto è possibile (è possibile, infatti, che io, da seduto, mi alzi in piedi).

Applicando il principio di ragione sufficiente, Leibniz arriva ad affermare che la ragione ultima perché le cose sono fatte in un modo e non altrimenti è Dio, ovvero quell'essere che garantisce che le cose accadono in un certo modo e non in un altro. Proprio perché a fondamento delle verità di fatto, la realtà non è quindi regolata da un principio immanente e necessario, ma è creata volontariamente e liberamente da Dio, il quale avrebbe potuto creare infiniti altri mondi oltre a questo ("infiniti universi sono possibili nelle idee di Dio").

Ecco come tutta la realtà, la quale sarebbe contraddittoriamente vuota seguendo una logica rigorosamente meccanicistica, acquista pienezza e significato in forza della ragione ultima per cui le cose sono vive e animate, ovvero, Dio.



 

Scheda di Synt - ultimo aggiornamento 20-10-2004

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