"E'
l'animo che devi cambiare,
Seneca
nasce a Cordova (Spagna) da famiglia di intellettuali (il padre è
conosciuto come Seneca Il Vecchio). Nel 41 cade in disgrazia in seguito ad un complotto ordito da Messalina. Resta in esilio in Corsica fino al 49 d.C., quando Agrippina, salita al trono, lo richiama a Roma per fare da precettore a Nerone. Dopo un primo periodo in cui è di fatto il primo consigliere dell'Imperatore (è il periodo del buon governo), nel 62, in seguito all'ennesimo complotto, Seneca capisce di non essere più nelle grazie del bizzoso regnante e si ritira a vita privata, dedicandosi allo studio. Nel
65 d.C. Nerone, col pretesto di coinvolgerlo in una cospirazione ai suoi
danni, gli ordina il suicidio. Seneca affronta stoicamente la morte per
dissanguamento, entrando così nella storia della filosofia come
martire, al pari di Socrate. Opere principali : Epistolae ad Lucilium, De brevitate vitae, De Providentia, De Consolatione, De Constantia, De Otio, De Tranquillitate animi, De vita beata, De Ira, De Clementia, Apocolocyntosis; Medea, Phaedra, Hercules, Agamemnon, Oedipus (e molte altre tragedie); Proverbi. * Sommario 1. Uno stoico contro le passioni 2. Meccanica della frustrazione 3. La 'premeditatio' senechiana *
Seneca,
da buon stoico dell'età imperiale, concentra i suoi sforzi su una
filosofia dal forte valore pratico. L'uomo deve inseguire la virtù,
ovvero, secondo gli stoici, deve accettare il proprio destino ed agire
secondo la legge naturale del mondo, la ragione.
La
frustrazione è una condizione molto diffusa: essa nasce dall'inevitabile
scontro tra desiderio e realtà ostile. La realtà non è mai ciò che vorremmo, la realtà è nostra antagonista. Essa ci tiene continuamente in scacco, siamo esseri mortali in balia del destino. Quello che la realtà ci riserva dietro l'angolo non ci è dato sapere. Secondo Seneca, tutto è in mano alla Dea Fortuna. In sostanza Seneca predicava di frapporre uno spazio mentale tra sé e la realtà, uno spazio cuscinetto dettato dalla ragione. La delusioni forse non saranno inevitabili, ma in questo modo saranno meno cocenti (l'idea è di evitare l'impatto frontale contro il muro della realtà e di attutirlo, sebbene l'impatto sia inevitabile).
Dunque i destini dell'uomo sono in mano a una forza superiore che decide autonomamente e secondo leggi insondabili a quali eventi deve sottostare l'individuo: per Seneca e per i romani questa entità si impersona nella Dea fortuna. In sostanza, gli uomini devono capire che per quanto essi credono di poter scansare i colpi del destino, tale destino potrà colpirci comunque e in qualsiasi momento. L'abitudine ai periodi favorevoli o comunque ricolmi di serenità, non ci autorizza a pensare che tutto andrà sempre bene, visto che "niente è inosabile per la fortuna", come afferma lo stesso Seneca. Proprio
per evitare sorprese e rimanere così imperturbabili di fronte ai
colpi della sorte, è salutare, secondo Seneca, tener ben presente
in qualsiasi momento la possibilità di una catastrofe. L'idea è che e non dobbiamo attribuirci eccessive colpe se all'improvviso qualcosa ci va storto: adirarci credendo che il destino ci è avverso è sbagliato, perché il destino non porta in sé alcuna valutazione morale, casomai sono gli uomini ad attribuire valori morali al destino: in realtà gli eventi sono indifferenti alle nostre valutazioni. Tutte
le civiltà complesse ed avanzate hanno un nemico da combattere:
l'ansia. Secondo questa visione si può ben dire che Seneca applicava il proverbio "il medico pietoso fa la piaga cancerosa". La consolazione non sempre è efficace, soprattutto quando l'evento che si vuole evitare è in realtà inevitabile. Meglio quindi affrontare quietamente ciò che ci aspetta, arrovellarci per qualcosa che non si può evitare è un inutile dispendio di forze, oltre che fonte di dolore. Dunque l'uomo è totalmente in balia del destino? E se lo è totalmente, perché agire se non può servire a nulla? In realtà l'uomo ha un certo margine di azione. Già i padri dello stoicismo, Zenone di Cizio e Crisippo, ripresi poi da Seneca, avevano usato una metafora per spiegare la condizione in cui si viene a trovare l'uomo. La
metafora e questa: l'uomo è come un cane
legato con il guinzaglio ad un carretto, il cane ha pur sempre una certa
capacità di azione, ma dovrà comunque seguire il carretto
nei suoi spostamenti se non vuole morire strozzato. |
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di Synt - Ultimo aggiornamento Maggio 2004
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