I
MILESI
Aristotele,
nella Metafisica, primo grande compendio storico della filosofia,
indica come primi filosofi tre pensatori di Mileto, oggi città
turca e allora importante centro commerciale e culturale dell'Egeo. Che cos'è l''Arché'. L'arché è quel principio eterno dal quale le cose si generano e in cui si corrompono. Tenendo presente che ogni cosa si differenzia, si genera e si distrugge (il mondo è composto da molteplici e diverse sostanze che si creano e mutano, distruggendosi a vicenda), la filosofia greca delle origini già si domanda quale sia quel principio che determina la diversità delle cose pur rimanendo sempre identico a se stesso. Talete
(624-545 a.C. circa). Per Talete, il quale
gode degli onori di essere considerato il primo filosofo occidentale,
questo arché è l'acqua. Tutto è
composto d'acqua, le molteplici forme della materia (fuoco, terra, aria,
e la stessa acqua, ad esempio) sono composte di acqua. Tuttavia quest'acqua
non è da intendersi come il solo e semplice elemento che genera
e compone il mare, i fiumi e la pioggia, l'acqua di Talete è un
principio superiore ai semplici elementi sensibili: l'acqua
di Talete è appunto il principio, l'arché, la forza
sempre identica a se stessa che genera la molteplicità delle sostanze
e lo stesso continuo mutare di tali sostanze (il divenire). Anassimandro (610-547 a.C. circa). Anassimandro, forse discepolo di Talete, riflette sempre sulla medesima tematica, ovvero la ricerca dell'arché, ed amplia di molto l'orizzonte e la complessità della risposta: per Anassimandro l'archè è l'àpeiron (=ciò che non ha forma, l'indefinito, il non particolare). Se Talete individua il principio che genera le diversità in qualcosa che comunque è definito (l'acqua di Talete è un per sempre una qualcosa di definito e preciso), Anassimandro replica affermando che il principio e la forza che genera il molteplice e le diversità tra le cose non può essere qualcosa di definito, ma in realtà è il 'tutto indefinito', il 'tutto molteplice', ovvero il 'brodo primordiale' in cui tutti gli elementi esistenti non hanno ancora trovato la loro forma: appunto, l'àpeiron. Nell'àpeiron il Tutto esistente si trova in una situazione eterna, nell'àpeiron ogni cosa si trova nella condizione della coincidenza degli opposti: ovvero, Il Tutto racchiude in se anche le cose contrarie tra loro, come, ad esempio, il giorno e la notte. Mentre nel mondo sensibile il giorno, subentrando alla notte, dissolve e distrugge la notte stessa, e così, in un eterno gioco di distruzioni conseguenti, la notte subentrando al giorno dissolve il giorno, l'àpeiron è la dimensione eterna entro la quale tutti i contrari sono custoditi in attesa di essere richiamati nel mondo degli uomini, soggetti alla legge del tempo (solo dove c'è tempo c'è mutamento, e quindi diversità e molteplicità). Ecco come l'àpeiron è il principio di tutte le cose, secondo Anassimandro. Da notare che per Anassimandro, l'àpeiron non genera le cose casualmente, egli parla infatti di governo dell'àpeiron, esso non è un qualcosa di cieco e insensibile, ma conoscente e vivo, intenzionale. Anassimene (596-525 a.C. circa). Tuttavia, Anassimandro lascia in sospeso (necessariamente) la domanda attorno alla vera natura dell'àpeiron: che cos'è che permette all'àpeiron di generare e mettere in moto le diversità del molteplice? Per Anassimene, amico di Anassimandro, ciò che permette all'àpeiron di mettere in moto la diversità è la 'condensazione e la rarefazione dell'aria'. L'aria
è quella sostanza infinita che costituisce tutte le cose. Le sostanze
differiscono tra loro per il diverso grado di condensazione dell'aria:
l'aria, attenuandosi, diventava fuoco, condensandosi, diventava vento,
nuvola, acqua, terra e così via, verso una 'durezza' sempre
maggiore. ***
Eraclito
visse ad Efeso, colonia ateniese sulle coste della Lidia, discendente
di una famiglia di stirpe reale. Pare che conducesse vita appartata e
che nutrisse un profondo disprezzo per le masse e per le istituzioni democratiche
del tempo, disprezzo riassumibile nella sua frase "un uomo solo
ne vale diecimila, ammesso che sia il migliore". Il divenire. Il divenire è il continuo mutare di tutte le cose da uno stato all'altro. Tutta il cosmo è un continuo mutare, niente permane nella stessa forma. Lo stesso vivere è un continuo mutare da una condizione all'altra. Pànta Rhei, tutto scorre e tutto va, incessantemente, ed è questo continuo mutare che costituisce il senso stesso del cosmo, il suo principio fondamentale, il suo significato ultimo. Per dirla come Eraclito "non ci si bagna mai nello stesso fiume e non si può toccare due volte una sostanza sensibile nello stesso stato". Il divenire, per Eraclito, costituisce il principio sul quale poggia il mondo, è l'arché. Ciò che vi è di identico e non muta, nell'ambito del mutare di tutte le cose, è lo stesso mutamento. Ogni cosa, infatti, si trova, ad un certo punto della sua esistenza, in una situazione per la quale essa è opposta a tutte le altre, ogni cosa è tutto quello che non è altro. Per essere qualcosa ogni cosa ha quindi bisogno del molteplice per ricavare la sua specificità dal confronto con le altre cose. Il divenire, il mutamento, è nell'evidenza stessa del tempo: ogni cosa è soggetta alla temporalità, ogni aspetto del mondo muta perché e il tempo che necessita questo stesso mutamento: il tempo si esprime nel passaggio delle cose da uno stato all'altro, e questo passare (questo diventare altro), costituisce l'essenza stessa del cosmo (il cosmo è ciò che è perché in esso si assiste ai molteplici spettacoli del mutamento delle cose). Ma ancora prima di interpretarla come riflessione sul tempo, la testimonianza di Eraclito produce un senso del divenire ben preciso: il divenire, il mutare delle cose, è determinato dalla stessa contrapposizione tra le cose, il mutare è connaturato (necessariamente legato) alla contrapporsi delle cose contrarie. L'opposizione tra i contrari ('polemos'). Dunque, ogni cosa è ciò che è proprio perché ha delle altre cose che ne delimitano l'essenza (ad esempio sappiamo che è giorno perché conosciamo la notte: quindi definiamo il giorno come ciò che si oppone alla notte, se non ci fosse la notte, non potremmo sapere cosa è il giorno). Eraclito afferma che non esisterebbe luce senza buio, salute senza malattia, sazietà senza fame, ogni cosa raggiunge la sua definizione dal confronto con le altre. Ogni cosa per esistere e per definirsi ha bisogno delle altre cose in modo da esprimere la propria identità rapportandosi alle altre. Questo concetto è definito da Eraclito come polemos ("contesa", "guerra", "opposizione"), o contrasto tra i contrari. Le cose esistono e continuamente subentrano alle altre (ad esempio il giorno subentra alla notte, il freddo al caldo, l'umido al secco), ed è proprio questa contesa a creare quell'equilibrio necessario a perpetuare l'esistenza di ogni cosa. "La
strada in salita e in discesa è una sola e la medesima".
Con questa metafora Eraclito testimonia che il molteplice mutare delle
cose divenienti (rappresentate dalla discesa e dalla salita) è
pur sempre soggetto allo stesso principio (la strada, ovvero l'esistenza
stessa):
cose opposte e contrarie fra loro sono indissolubilmente legate le une
alle altre (se non esistesse la salita, non esisterebbe nemmeno la discesa).
Nella polemos si esprime un'armonia, una forma di giustizia universale: la contrapposizione permanente di ogni aspetto della realtà genera un equilibrio che non permette ad alcun elemento di prevaricare sugli altri (ciò sarebbe ingiustizia). Nessun elemento può quindi prevaricare sugli altri in quanto non può essere tolto dal suo contesto di relazioni senza perdere il suo stesso significato. Il
'Logos'.
La legge suprema che governa il mondo, ciò
che esprime l'equilibrio tra i contrari permettendo l'armonia del cosmo,
viene identificato con parola "logos". A
questa parola possono essere attribuiti diversi significati: "discorso"",
"ragione", "intelligenza", "legge", "pensiero",
"logica", "regola fondamentale del tutto", tutti significati
accomunabili nel senso di ragione che rispecchia il funzionamento del
cosmo in tutti i suoi aspetti. Il
logos rispecchia e rende evidente la struttura di tutte quelle
opposizioni tra le cose che rendono possibile il divenire e la vita stessa
dell'universo, il logos è la stessa struttura, la legge
che esprime la totalità delle relazioni. Il
rapporto degli uomini con il logos esprime il rapporto con la verità.
"La legge e l'ordine del Tutto sono una sempiterna 'Parola' (logos)
che si offre all'ascolto di tutti. I più la sentono, ma non sanno
ascoltarla. Ogni giorno vi si imbattono e tuttavia non la intendono. Vivono
quindi con in sogno, separati come sono da ciò che è 'comune',
ossia dalla divina legge del Tutto". (E. Severino, La filosofia
antica). Il
fuoco come 'stoichèion'.
Se il principio unitario che accomuna tutte
le cose del mondo è il divenire, per Eraclito l'elemento fisico
del quale tutti gli altri elementi sono composti (lo stoichèion),
è il fuoco. Questo perché il fuoco è visto come elemento
destabilizzante, in grado di provocare quel cambiamento che permette alle
cose di mutare da uno stato all'altro.
Pitagora
stesso, più che a un filosofo, si atteggiava a despota bizzoso:
gli allievi che volevano accedere alla sua scuola dovevano seguire alcune
rigide regole non sempre fondate sulla logica, tra le quali il divieto
di mangiare fave e di toccare galli bianchi. La matematica di Pitagora pare non fosse identica a quella odierna: più che alla pratica, essa si rivolgeva alla teoria e alla ricerca dell'armonia nascosta delle cose (numerologia esoterica). Il numero, la numerologia. L'arché, per Pitagora, era il numero. Il numero non era un concetto astratto come lo intendiamo oggi (un simbolo che si riferisce alla quantificazione delle cose), il numero possedeva una propria dimensione geometrica (per cui esistevano numeri triangolari, quadrati, rettangolari, cubici). In
Particolare, Pitagora sosteneva che tutte le cose sono oggetti geometrici
e, come tali, sono composti da numeri, i quali ne costituiscono la struttura.
I numeri erano comunque entità materiali (dotati di estensione),
simili agli atomi formulati più tardi da Democrito. La
triplicità esprimeva sin dall'antichità il divino. Esso
non è solo un simbolo riscontrabile nella Trinità cristiana,
ma anche nella Trimurti orientale. Il 7 godeva invece della stima del numero perfetto. L'armonia
celeste. Anche la musica, come del resto tutta la realtà,
era una combinazione di numeri. Pitagora basava la sua tesi sull'osservazione
di alcune stringhe di uguale spessore e tensione ma di diversa lunghezza
che faceva vibrare. La
metempsicosi. Forse conseguenza dei suoi viaggi in oriente, Pitagora
sosteneva la trasmigrazione delle anime.
L'anima era immortale ed era condannata da una colpa originaria a trasferirsi
da una sostanza corporea all'altra (compresi gli animali) finché
non si fosse purificata. Le regole per interrompere il ciclo di reincarnazioni
erano quelle esclusivamente matematiche dell'armonia e della proporzione. |
Scheda
di Synt - Ultima revisione 26-09-2004
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