Friedrich
"Piena è la terra di superflui, corrotta la vita dai troppi."
Nietzsche
nasce a Roecken, un paese nei pressi di Lipsia. Presto rimasto orfano
di padre, si trasferisce con la famiglia a Naumburg dove comincia gli
studi. Nel 1868 conobbe Wagner e in seguito si interessò ai testi
di Shopenhauer (Niezsche romperà poi i rapporti con Wagner, al
quale aveva dedicato il suo primo grande libro, La
nascita della tragedia in Grecia). Nel 1888, con già molte pubblicazioni alle spalle, si trasferisce a Torino, città che sembra apprezzare particolarmente: qui scrive, tra gli altri, Il crepuscolo degli idoli ed Ecce homo. Il
3 gennaio 1889, in Piazza Carlo Alberto, viene colto da una crisi di
follia dovuta probabilmente all'acuirsi di una malattia venerea contratta
in gioventù (anche se vi è discordanza su questo punto,
alcuni pensano infatti che non vi sia alcuna componente organica nella
pazzia di Nietzsche, ma solo e necessariamente psichica). Dalla
crisi non si riprenderà più. Ricoverato prima in una clinica
a Basilea, viene trasferito a Naumburg,
dove verrà curato dalla madre e poi dalla sorella. Opere principali: La nascita della tragedia in Grecia (1872); Considerazioni inattuali (1876); Umano, troppo umano (1878); Aurora (1882); La gaia scienza (1882); Così parlò Zarathustra (1883); Aldilà del bene e del male (1886); Sulla genealogia della morale (1887); Il caso Wagner (1888); Il crepuscolo degli idoli (1888); L'Anticristo (1888); Ecce homo (1888). si veda anche www.friedrich-nietzsche.it
* Sommario 2. "Il rimedio è peggiore del male" 3. Oltre-uomo, spirito dionisiaco e decadenza 4. La morale è dominio dei deboli sui forti 6. La volontà di potenza, il pensiero aristocratico 7. La critica al Cristianesimo
Nietzsche è stato e sarà una delle figure più controverse della filosofia: il suo pensiero è stato arbitrariamente utilizzato per giustificare le violenze del nazi-fascismo, la sua ostilità al cristianesimo e ad ogni forma di dogmatismo strutturato produssero uno strappo senza precedenti nella cultura occidentale, la sua prosa poco scientifica e fortemente simbolica, quasi apocalittica, lo hanno reso una sorta di distruttore spietato e viscerale di ogni forma di verità acquisita. Nietzsche stesso era consapevole della sua forza dirompente, anzi, essere dirompente era lo scopo principale del suo pensiero, una dirompenza necessaria ad accettare la fine del cristianesimo e di qualsiasi altra struttura consolatoria in nome di una piena accettazione della vita per ciò che è: volontà di potenza. Nietzsche ebbe a dire infatti: "Io conosco la mia sorte, si legherà al mio nome il ricordo di una crisi, come non c'è ne fu un'altra sulla Terra... Io non sono un uomo, sono dinamite, io contraddico come mai è stato contraddetto." Bisogna premettere che quello di Nietzsche è un modo di filosofare fortemente lirico, Nietzsche stesso utilizza abbondantemente il pensiero poetante, la sua prosa vuole essere essa stessa arte, disquisizione profonda e raffinata, letteraria, sopra ogni aspetto dell'uomo e del suo spirito, nonché finissima indagine psicologica attorno ai reali motivi delle azioni umane. "Nietzsche è un lirico. E' l'esempio più tipico del lirico. E' l'uomo più liricamente completo che io conosca. Nonché la sua opera, la sua vita stessa è un fatto lirico. Il suo filologismo, il suo filosofismo, la sua filosofia del martello, la sua volontà di potenza, il suo politicismo, le sue idee sugli stati, sulla guerra sono altrettante forme di lirismo; e se non dico che la sua stessa poetica è una forma di lirismo, è perché non sarei seguito per vie così sottili. Ergo la filologia, la filosofia, la politica di Nietzsche vanno considerate more lyrici, sciolte da qualunque idea di fine, prese come un gioco. Perché Nietzsche è lirico." (Alberto Savinio, Nuova Enciclopedia).
"L'atteggiamento tradizionale dell'uomo moderno consiste, per Nietzsche, nel predisporre un rimedio e una difesa contro la minaccia e il terrore del divenire. E il sentimento di sicurezza è l'elemento decisivo dell'allestimento di tale riparo e difesa." (Emanuele Severino, La filosofia contemporanea). Una frase di Nietzsche racchiude il nocciolo del suo pensiero: "Il rimedio è stato peggiore del male". Cosa significa? In
sostanza Nietzsche
considera tutto il complesso della filosofia occidentale come un tentativo
di trovare il rimedio alle paure degli uomini, alla paura della morte,
del vuoto, del nulla, del caos.
Ma la vita, per Nietzsche, è caos, è paura,
è morte, è vuoto, ma non solo, è
anche pienezza di sé e della propria volontà, volontà
di potenza. "Diffido
di tutti i sistematici e li evito. La volontà di sistema è
una mancanza di onestà". Da Il crepuscolo degli idoli. In
sostanza per Nietzsche, ogni
forma di verità definitiva risente di una rigidità e di
una incompletezza tale che non potrà mai coincidere con la realtà
di una esistenza costantemente mutevole. La
realtà è caos e contraddizione, e in ciò è
talmente complessa che ogni tentativo di imporle un ordine fallisce,
diventa menzogna consolatoria. Ecco
allora che tutta la filosofia occidentale, ogni menzogna religiosa
e filosofica, ogni sistema morale e metafisico, non sono altro che rimedi,
apparati di pensiero che vogliono rendere la vita più sopportabile
ma che non rispecchiano la complessità della realtà. Il rimedio proposto dai vari edifici filosofici e religiosi finiscono per illudere l'uomo che non esiste caos e indeterminatezza: in realtà il rimedio al male è peggiore del male stesso in quanto illude e confina gli uomini in un mondo che risulta artificiale e illusorio, contronatura. Nietzsche fa suo l'assunto per cui il divenire è la verità del mondo: le cose hanno un carattere diveniente, mutabile, storico, temporale, contingente, ovvero ogni cosa non può e non potrà mai essere eterna e immutabile. Tale affermazione, oltre a costituire la principale critica ad ogni forma di dottrina immutabile, sia essa teologico-religiosa, filosofico-metafisica ed etico-morale, permette a Nietzsche di affermare implicitamente il carattere creativo dell'uomo e della sua stessa natura: ogni cosa risponde alla regola del divenire, ciò comporta che le cose possano essere create ex-novo, incessantemente, dal nulla (alcuni critici di Nietzsche fanno però osservare come tale regola sia, implicitamente, essa stessa una legge immutabile). Nietzsche dunque può ben affermare che l'uomo è volontà di potenza: la potenza dell'uomo è in questo volere creare le cose, è la caratteristica autentica e originaria dello spirito umano, ciò che l'uomo deve volere.
Se si vuole progredire veramente nello sviluppo umano, perché solo l'uomo è importante, solo l'uomo è il centro di tutto (l'uomo è una fine, è già compiuto in sé), occorre avere il coraggio di superare l'uomo stesso e volere l'oltre-uomo (uber-mensch, spesso tradotto con "superuomo"). L'uomo nuovo, l'oltre-uomo, è colui che accetta il divenire nella sua assurdità, nel suo paradosso di irrazionalità e di imprevidibilità, senza ricorrere all'apporto comodo e rassicurante delle certezze e dei rimedi approntati dalla cultura occidentale (cristianesimo e metafisiche consolatorie, morali e falsi ideali). Nietzsche
afferma che l'oltre-uomo deve vivere il ritorno allo spirito della tragedia
greca presocratica: nella tragedia greca l'uomo accettava fino in fondo
il divenire e l'irrazionale, senza pessimismo e aldilà di ogni
rimedio razionale. Lo spirito della tragedia greca era in sostanza lo spirito dionisiaco, l'impulso vitale, l'irrazionale, la volontà di guardare in faccia l'imprevedibile e non fuggire di fronte ad esso. "Socrate fu un equivoco, tutta la morale del miglioramento, anche quella cristiana, fu un equivoco...". Da Il crepuscolo degli idoli. Rifuggendo il caos e la realtà del divenire, Socrate e chi lo seguì, intendevano trovare il rimedio alla paura dell'indefinito e dell'imprevedibile attraverso l'interpretazione razionale del mondo, ma in questo modo spensero ogni pulsione vitale, poiché solo nella cruda realtà fluisce la vita, nella teoria e nell'interpretazione filosofica a priori, nell'uso imposto della ragione, vi è solo freddo distacco e paura della vita. Ecco perché Nietzsche considera tutta la filosofia occidentale una forma di decadenza dello spirito: Socrate fu un uomo malato, malato di filosofia che gli impose la rinuncia alla vita intesa come accettazione dell'irrazionale, e il suo suicidio, tutto sommato, prova la morte a causa della malattia filosofica. Spirito
dionisiaco = accettazione entusiasta
della vita in tutti i suoi aspetti imprevidibili, accettazione del divenire,
principio vitale privato del senso di colpa e di ogni immutabilità
artificiosa.
Ogni
morale che pretende di essere vera e assoluta in realtà nasconde
una falsità:
i sentimenti morali nascono in forza di una dimenticanza, l'uomo ha
scordato che originariamente la morale era l'insieme delle norme fondate
sulla sola utilità comune. La morale si è poi affinata
nei secoli trovando il proprio fondamento su altri motivi (sulla paura,
per ossequio, per debolezza), dimenticando le sue origini strettamente
utilitaristiche. In
sostanza un uomo che tenga in considerazione il senso dell'onore più
di sé stesso può decidere di morire per esso sacrificandosi
in nome di qualcosa che non è in lui, ma è al di fuori
di lui. La
morale entra quindi in conflitto con la piena realizzazione di sé
propria dell'oltre-uomo, ne impedisce la libera volontà di potenza,
lo spirito creatore. Ogni morale è una
forma di risentimento dei deboli verso i più forti,
dove i deboli sono coloro che semplificano
e costringono la realtà in gabbie ideologiche, coloro che si
abbandonano al rimedio religioso del mondo oltre la vita, spegnendo
in sé ogni pulsione vitale in nome della paura stessa di vivere.
Alla luce di questo, la filosofia occidentale, il Cristianesimo, i sistemi democratici, ogni struttura politica, religiosa e ideologica che voglia convogliare e sconfiggere l'irrazionale entro una gabbia, sono sintomi di decandenza dello spirito. "Non dobbiamo volere una sola condizione, bensì dobbiamo voler diventare esseri periodici: diventare cioè uguali all'esistenza." Questo
frammento postumo di Nietzsche
chiarifica l'essenza dell'eterno ritorno. In
sostanza la vita non ha alcun fine, non vi è alcuno scopo o alcun
senso, non esiste Dio, il rimedio filosofico e religioso ha fallito:
l'oltre-uomo accetta questa mancanza di senso, questa irrazionalità
senza alcuna logica, vive e vuole vivere come se tutto dovesse ritornare
e ripetersi per ciò che è, un flusso di realtà
incontrollabile.
Ma come può Nietzsche affermare l'eterno ritorno dell'uguale se si professa nemico di ogni immutabile? Il tempo non soggiace al volere del divenire: se il divenire può specchiarsi nel presente e nel futuro, il passato, ciò che è stato, appare come eterno e immutabile, non modificabile. Ecco che l'oltre-uomo deve volere l'eterno ritorno, ovvero deve fare in modo che il passato ritorni nella sua vita per rientrare nel flusso del divenire. L'oltre-uomo, munito della sua arma più potente, la volontà di potenza, deve creare da sé l'eterno ritorno delle cose.
L'oltre-uomo ha il compito e il dovere di liberarsi dalle gabbie dei vecchi valori e fondare un nuova morale: è la volontà di potenza, ovvero la volontà di creare e rinnovare in continuazione i valori da seguire concedendosi ad una pulsione creatrice infinita, secondo la logica dell'eterno ritorno (vedi capitolo precedente). L'uomo
nuovo, intellettualmente elitario per necessità, si erge al di
sopra del gregge delle menti mediocri e desidera nient'altro che il
pieno manifestarsi delle proprie qualità superiori. L'oltre-uomo
non può essere democratico, l'oltre-uomo è aristocratico,
appartiene ad una élite, non è certo il comune
aristocratico del diritto nobiliare; nobile e aristocratico, per Nietzsche
sono da intendere come nobiltà di spirito e di intelletto. L'uomo deve poi vivere per la terra. Come già si è detto, l'uomo debole si assoggetta ad una morale fuori di sé, una morale ultraterrena, non umana; l'oltre-uomo, colui che è forte, sa che deve legare il suo destino alla terra perché nulla che non sia umano, nulla che non parta dall'uomo e sia fatto per l'uomo, è vero. La volontà di potenza è vincere le resistenze della morale comune, il rifiuto conseguente di assoggettarsi agli idoli, un'affermazione di sé e della propria superiorità.
Il superuomo, come si scrive in Zarathustra, può ben annunciare la morte di Dio: Dio è morto perché in lui venivano rappresentati i valori che andavano contro la vita degli uomini e non per la vita degli uomini. Per
Nietzsche
non è tanto Cristo a proporre una religione
nefasta, anzi, Cristo fu in qualche modo un oltre-uomo, un fondatore
di nuove leggi, un creatore; è la degenerazione del pensiero
di Cristo ad opera di Paolo di Tarso, il suo strutturarsi in
sistema, che rendono il cristiansimo la menzogna delle menzogne
(In sostanza ciò Nietzsche vede di buono in Cristo è
la sua volontà di potenza, ovvero la forza di interrompere
una tradizione in nome di una novità che si preannuncia vitale,
deplora invece l'irrigidimento in dogma del suo insegnamento). Il
Cristianesimo rende l'uomo schiavo di una verità ultraterrena
inesistente o quantomeno inutile a fini pratici, il Cristianesimo sminuisce
l'uomo, gli toglie dignità, lo deresponabilizza. Solo
l'uomo è il centro di tutto (non
per nulla Nietzsche predilige tra
tutte le epoche il Rinascimento italiano, e, tra i classici, il laico
Epicuro),
il Cristianesimo propugna un'inutile compassione
nei confronti dell'uomo: "ma perché provare compassione
per l'uomo, l'uomo non è forse degno della sua importanza?
Non riescono forse gli uomini a rendersi felici da sé e a vivere
pienamente la propria esistenza?". Il
Cristianesimo è una derivazione della metafisica platonica del
mondo oltre il mondo, un altro rimedio, uno sminuirsi della
vita di fronte ad altri mondi illusori ma ritenuti perfettissimi. Per Nietzsche, dunque, ogni atteggiamento morale è menzogna. E’ menzogna in quanto costituisce una tendenza umana acquisita e non naturale, per cui si vuole cercare “di proposito” una regola dove invece esiste solo caos. La vita, in sé, è caos, la morale interviene per porre un argine a questo caos e rendere tutto più prevedibile (l’uomo crede infatti che rendendo prevedibile un evento possa controllarlo e dominarlo). La morale costituisce allora un fenomeno di superficie rispetto alla realtà dei nostri istinti: i nostri istinti costituiscono un fondo buio e caotico in cui sentimenti positivi lottano eternamente contrapposti a sentimenti negativi, la psiche dell’uomo è infatti solcata da questo eterno conflitto tra pulsioni contrastanti (quasi un’anticipazione dell’Es freudiano). La “morale di superficie”, allora, non è altro che lo specchio di tale complessità, la morale è semplificazione consolatoria del caos che ribolle sotto la superficie delle comuni azioni e dei comuni sentimenti. L’uomo
non è libero, è alla mercé di tali conflitti sotterranei. La stessa
idea di cogito cartesiano, di “Io” fichtiano, di soggetto come
autore delle scelte e dell’attività psichica, rientra pur sempre nell’insieme
delle strutture consolatorie che intendono dare un senso strutturato
anche alla coscienza. Quella proposta da Nietzsche è una vera Genealogia della morale, ovvero lo studio dell’autentica provenienza delle strutture morali, le quali, in realtà, rispecchiano profonde lotte psichiche assolutamente caotiche e non sono derivazione di sostanze perfettissime di origine divina.
Contro le leggi "Mi
pende da oggi a un cordicino di crine, (da La gaia scienza) * |
Scheda
di Synt - Ultimo aggiornamento Giugno 2004
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