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Nietzsche in un ritratto di Munch

Friedrich
NIETZSCHE

(1844-1900)

"Piena è la terra di superflui, corrotta la vita dai troppi."



Nietzsche nasce a Roecken, un paese nei pressi di Lipsia. Presto rimasto orfano di padre, si trasferisce con la famiglia a Naumburg dove comincia gli studi. Nel 1868 conobbe Wagner e in seguito si interessò ai testi di Shopenhauer (Niezsche romperà poi i rapporti con Wagner, al quale aveva dedicato il suo primo grande libro, La nascita della tragedia in Grecia).

A soli 24 anni, laureato in filosofia classica a Bonn, ottiene la cattedra all'Università di Basilea.
Nel 1879 abbandona la carriera accademica per problemi di salute, soggiorna allora in varie località compiendo viaggi in Italia, Francia e Svizzera. Conosce Lou Von Salomé, alla quale propone il matrimonio, ma lei rifiuta.

Nel 1888, con già molte pubblicazioni alle spalle, si trasferisce a Torino, città che sembra apprezzare particolarmente: qui scrive, tra gli altri, Il crepuscolo degli idoli ed Ecce homo.

Il 3 gennaio 1889, in Piazza Carlo Alberto, viene colto da una crisi di follia dovuta probabilmente all'acuirsi di una malattia venerea contratta in gioventù (anche se vi è discordanza su questo punto, alcuni pensano infatti che non vi sia alcuna componente organica nella pazzia di Nietzsche, ma solo e necessariamente psichica). Dalla crisi non si riprenderà più. Ricoverato prima in una clinica a Basilea, viene trasferito a Naumburg, dove verrà curato dalla madre e poi dalla sorella.

Opere principali: La nascita della tragedia in Grecia (1872); Considerazioni inattuali (1876); Umano, troppo umano (1878); Aurora (1882); La gaia scienza (1882); Così parlò Zarathustra (1883); Aldilà del bene e del male (1886); Sulla genealogia della morale (1887); Il caso Wagner (1888); Il crepuscolo degli idoli (1888); L'Anticristo (1888); Ecce homo (1888).

si veda anche www.friedrich-nietzsche.it


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Sommario

1. Preambolo

2. "Il rimedio è peggiore del male"

2b. Il senso del divenire

3. Oltre-uomo, spirito dionisiaco e decadenza

4. La morale è dominio dei deboli sui forti

5. L'eterno ritorno

6. La volontà di potenza, il pensiero aristocratico

7. La critica al Cristianesimo

8. Genealogia della morale


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1. Preambolo

Nietzsche è stato e sarà una delle figure più controverse della filosofia: il suo pensiero è stato arbitrariamente utilizzato per giustificare le violenze del nazi-fascismo, la sua ostilità al cristianesimo e ad ogni forma di dogmatismo strutturato produssero uno strappo senza precedenti nella cultura occidentale, la sua prosa poco scientifica e fortemente simbolica, quasi apocalittica, lo hanno reso una sorta di distruttore spietato e viscerale di ogni forma di verità acquisita.

Nietzsche stesso era consapevole della sua forza dirompente, anzi, essere dirompente era lo scopo principale del suo pensiero, una dirompenza necessaria ad accettare la fine del cristianesimo e di qualsiasi altra struttura consolatoria in nome di una piena accettazione della vita per ciò che è: volontà di potenza. Nietzsche ebbe a dire infatti: "Io conosco la mia sorte, si legherà al mio nome il ricordo di una crisi, come non c'è ne fu un'altra sulla Terra... Io non sono un uomo, sono dinamite, io contraddico come mai è stato contraddetto."

Bisogna premettere che quello di Nietzsche è un modo di filosofare fortemente lirico, Nietzsche stesso utilizza abbondantemente il pensiero poetante, la sua prosa vuole essere essa stessa arte, disquisizione profonda e raffinata, letteraria, sopra ogni aspetto dell'uomo e del suo spirito, nonché finissima indagine psicologica attorno ai reali motivi delle azioni umane.

"Nietzsche è un lirico. E' l'esempio più tipico del lirico. E' l'uomo più liricamente completo che io conosca. Nonché la sua opera, la sua vita stessa è un fatto lirico. Il suo filologismo, il suo filosofismo, la sua filosofia del martello, la sua volontà di potenza, il suo politicismo, le sue idee sugli stati, sulla guerra sono altrettante forme di lirismo; e se non dico che la sua stessa poetica è una forma di lirismo, è perché non sarei seguito per vie così sottili. Ergo la filologia, la filosofia, la politica di Nietzsche vanno considerate more lyrici, sciolte da qualunque idea di fine, prese come un gioco. Perché Nietzsche è lirico." (Alberto Savinio, Nuova Enciclopedia).


2. "Il rimedio è peggiore del male"

"L'atteggiamento tradizionale dell'uomo moderno consiste, per Nietzsche, nel predisporre un rimedio e una difesa contro la minaccia e il terrore del divenire. E il sentimento di sicurezza è l'elemento decisivo dell'allestimento di tale riparo e difesa." (Emanuele Severino, La filosofia contemporanea).

Una frase di Nietzsche racchiude il nocciolo del suo pensiero: "Il rimedio è stato peggiore del male". Cosa significa?

In sostanza Nietzsche considera tutto il complesso della filosofia occidentale come un tentativo di trovare il rimedio alle paure degli uomini, alla paura della morte, del vuoto, del nulla, del caos. Ma la vita, per Nietzsche, è caos, è paura, è morte, è vuoto, ma non solo, è anche pienezza di sé e della propria volontà, volontà di potenza.
Ciò che la filosofia occidentale vuole negare, a partire da Socrate,
è proprio questo caos, questa indeterminatezza vitale, e così facendo va contro la natura dell'uomo, lo irrigidisce entro schemi artificiosi privandolo della possibilità di essere realmente ciò che è, ovvero slancio vitale e irrazionale.

"Diffido di tutti i sistematici e li evito. La volontà di sistema è una mancanza di onestà". Da Il crepuscolo degli idoli.

In sostanza per Nietzsche, ogni forma di verità definitiva risente di una rigidità e di una incompletezza tale che non potrà mai coincidere con la realtà di una esistenza costantemente mutevole. La realtà è caos e contraddizione, e in ciò è talmente complessa che ogni tentativo di imporle un ordine fallisce, diventa menzogna consolatoria.

Ecco allora che tutta la filosofia occidentale, ogni menzogna religiosa e filosofica, ogni sistema morale e metafisico, non sono altro che rimedi, apparati di pensiero che vogliono rendere la vita più sopportabile ma che non rispecchiano la complessità della realtà.

Il rimedio proposto dai vari edifici filosofici e religiosi finiscono per illudere l'uomo che non esiste caos e indeterminatezza: in realtà il rimedio al male è peggiore del male stesso in quanto illude e confina gli uomini in un mondo che risulta artificiale e illusorio, contronatura.


2b. Il senso del divenire

Nietzsche fa suo l'assunto per cui il divenire è la verità del mondo: le cose hanno un carattere diveniente, mutabile, storico, temporale, contingente, ovvero ogni cosa non può e non potrà mai essere eterna e immutabile.

Tale affermazione, oltre a costituire la principale critica ad ogni forma di dottrina immutabile, sia essa teologico-religiosa, filosofico-metafisica ed etico-morale, permette a Nietzsche di affermare implicitamente il carattere creativo dell'uomo e della sua stessa natura: ogni cosa risponde alla regola del divenire, ciò comporta che le cose possano essere create ex-novo, incessantemente, dal nulla (alcuni critici di Nietzsche fanno però osservare come tale regola sia, implicitamente, essa stessa una legge immutabile).

Nietzsche dunque può ben affermare che l'uomo è volontà di potenza: la potenza dell'uomo è in questo volere creare le cose, è la caratteristica autentica e originaria dello spirito umano, ciò che l'uomo deve volere.


3. Oltre-uomo, spirito dionisiaco e decadenza

Se si vuole progredire veramente nello sviluppo umano, perché solo l'uomo è importante, solo l'uomo è il centro di tutto (l'uomo è una fine, è già compiuto in sé), occorre avere il coraggio di superare l'uomo stesso e volere l'oltre-uomo (uber-mensch, spesso tradotto con "superuomo").

L'uomo nuovo, l'oltre-uomo, è colui che accetta il divenire nella sua assurdità, nel suo paradosso di irrazionalità e di imprevidibilità, senza ricorrere all'apporto comodo e rassicurante delle certezze e dei rimedi approntati dalla cultura occidentale (cristianesimo e metafisiche consolatorie, morali e falsi ideali).

Nietzsche afferma che l'oltre-uomo deve vivere il ritorno allo spirito della tragedia greca presocratica: nella tragedia greca l'uomo accettava fino in fondo il divenire e l'irrazionale, senza pessimismo e aldilà di ogni rimedio razionale.

L'uomo greco presocratico non era stato ancora corrotto dall'idea socratica che il bene va raggiunto per mezzo della ragione: questa idea apollinea, questo artificio della morale (il bene come disciplina dello spirito) non permette all'uomo di manifestare la sua natura, la sua volontà di potenza (l'uomo greco presocratico trovava dignità nella tragedia, sentiva la vita e non né provava paura).

Lo spirito della tragedia greca era in sostanza lo spirito dionisiaco, l'impulso vitale, l'irrazionale, la volontà di guardare in faccia l'imprevedibile e non fuggire di fronte ad esso.

"Socrate fu un equivoco, tutta la morale del miglioramento, anche quella cristiana, fu un equivoco...". Da Il crepuscolo degli idoli.

Rifuggendo il caos e la realtà del divenire, Socrate e chi lo seguì, intendevano trovare il rimedio alla paura dell'indefinito e dell'imprevedibile attraverso l'interpretazione razionale del mondo, ma in questo modo spensero ogni pulsione vitale, poiché solo nella cruda realtà fluisce la vita, nella teoria e nell'interpretazione filosofica a priori, nell'uso imposto della ragione, vi è solo freddo distacco e paura della vita.

Ecco perché Nietzsche considera tutta la filosofia occidentale una forma di decadenza dello spirito: Socrate fu un uomo malato, malato di filosofia che gli impose la rinuncia alla vita intesa come accettazione dell'irrazionale, e il suo suicidio, tutto sommato, prova la morte a causa della malattia filosofica.

Spirito dionisiaco = accettazione entusiasta della vita in tutti i suoi aspetti imprevidibili, accettazione del divenire, principio vitale privato del senso di colpa e di ogni immutabilità artificiosa.

Spirito apollineo = irrigidirsi dell'entusiasmo vitale nella paura di affrontare l'irrazionale, conseguente edificazione di una legge razionale che tenda ad anticipare le passioni, ingabbiandole.


4. La morale è dominio dei deboli sui forti

Ogni morale che pretende di essere vera e assoluta in realtà nasconde una falsità: i sentimenti morali nascono in forza di una dimenticanza, l'uomo ha scordato che originariamente la morale era l'insieme delle norme fondate sulla sola utilità comune. La morale si è poi affinata nei secoli trovando il proprio fondamento su altri motivi (sulla paura, per ossequio, per debolezza), dimenticando le sue origini strettamente utilitaristiche.

Ecco allora che "Non esistono fenomeni morali, esiste solo un'interpretazione morale dei fenomeni." La morale non proviene da verità assolute al di sopra degli uomini, non proviene da Dio, la morale è opera dell'uomo, che di volta in volta, all'interno delle singole società, decide a quale verità sacrificarsi.

La morale rappresenta una scissione dell'uomo: egli finisce per credere e all'occorenza morire in nome di idee che non gli appartengono e sono fuori di sé, egli contempla le diverse qualità morali dall'esterno, come entità indipendenti, e finisce per vivere assoggetandosi a dei fantasmi.

In sostanza un uomo che tenga in considerazione il senso dell'onore più di sé stesso può decidere di morire per esso sacrificandosi in nome di qualcosa che non è in lui, ma è al di fuori di lui.

La morale entra quindi in conflitto con la piena realizzazione di sé propria dell'oltre-uomo, ne impedisce la libera volontà di potenza, lo spirito creatore. Ogni morale è una forma di risentimento dei deboli verso i più forti, dove i deboli sono coloro che semplificano e costringono la realtà in gabbie ideologiche, coloro che si abbandonano al rimedio religioso del mondo oltre la vita, spegnendo in sé ogni pulsione vitale in nome della paura stessa di vivere.

Debole è quindi ogni individuo che si abbandona al rimedio
, forte ogni individuo che ha il coraggio di dire no al rimedio e sì all'accettazione dell'imprevisto, dell'irrazionale, del divenire stesso
.
Deboli sono coloro che si nascondono dietro una morale o dietro un idolo (ideale), forti coloro che agiscono in nome della propria forza, del proprio coraggio di fronte al divenire.

Alla luce di questo, la filosofia occidentale, il Cristianesimo, i sistemi democratici, ogni struttura politica, religiosa e ideologica che voglia convogliare e sconfiggere l'irrazionale entro una gabbia, sono sintomi di decandenza dello spirito.


5. L'eterno ritorno

"Non dobbiamo volere una sola condizione, bensì dobbiamo voler diventare esseri periodici: diventare cioè uguali all'esistenza."

Questo frammento postumo di Nietzsche chiarifica l'essenza dell'eterno ritorno.
Mentre la filosofia razionale e la scienza vogliono ingabbiare tutti i diversi aspetti della realtà caotica in un progetto di leggi,
Nietzsche afferma che l'oltre-uomo, liberato dalle gabbie del rimedio razionale, deve accostarsi alla vita come se ogni attimo, ogni secondo, ogni minuto, dovesse ritornare e ritornare, in eterno, in modo da godere dell'infinita gioia di ogni istante imprevedibile.

In sostanza la vita non ha alcun fine, non vi è alcuno scopo o alcun senso, non esiste Dio, il rimedio filosofico e religioso ha fallito: l'oltre-uomo accetta questa mancanza di senso, questa irrazionalità senza alcuna logica, vive e vuole vivere come se tutto dovesse ritornare e ripetersi per ciò che è, un flusso di realtà incontrollabile.

Il fatto che tutto si ripeta in modo uguale non è per Nietzsche una verità razionale (come lo era per gli antichi, si veda il concetto di apocatastasi), ma è una volontà di rappresentazione, una scelta dell'otre-uomo.

Ma come può Nietzsche affermare l'eterno ritorno dell'uguale se si professa nemico di ogni immutabile? Il tempo non soggiace al volere del divenire: se il divenire può specchiarsi nel presente e nel futuro, il passato, ciò che è stato, appare come eterno e immutabile, non modificabile. Ecco che l'oltre-uomo deve volere l'eterno ritorno, ovvero deve fare in modo che il passato ritorni nella sua vita per rientrare nel flusso del divenire. L'oltre-uomo, munito della sua arma più potente, la volontà di potenza, deve creare da sé l'eterno ritorno delle cose.


6. La volontà di potenza, il pensiero aristocratico

L'oltre-uomo ha il compito e il dovere di liberarsi dalle gabbie dei vecchi valori e fondare un nuova morale: è la volontà di potenza, ovvero la volontà di creare e rinnovare in continuazione i valori da seguire concedendosi ad una pulsione creatrice infinita, secondo la logica dell'eterno ritorno (vedi capitolo precedente).

L'uomo nuovo, intellettualmente elitario per necessità, si erge al di sopra del gregge delle menti mediocri e desidera nient'altro che il pieno manifestarsi delle proprie qualità superiori. L'oltre-uomo non può essere democratico, l'oltre-uomo è aristocratico, appartiene ad una élite, non è certo il comune aristocratico del diritto nobiliare; nobile e aristocratico, per Nietzsche sono da intendere come nobiltà di spirito e di intelletto.

L'uomo deve poi vivere per la terra. Come già si è detto, l'uomo debole si assoggetta ad una morale fuori di sé, una morale ultraterrena, non umana; l'oltre-uomo, colui che è forte, sa che deve legare il suo destino alla terra perché nulla che non sia umano, nulla che non parta dall'uomo e sia fatto per l'uomo, è vero.

La volontà di potenza è vincere le resistenze della morale comune, il rifiuto conseguente di assoggettarsi agli idoli, un'affermazione di sé e della propria superiorità.


7. La critica al Cristianesimo

Il superuomo, come si scrive in Zarathustra, può ben annunciare la morte di Dio: Dio è morto perché in lui venivano rappresentati i valori che andavano contro la vita degli uomini e non per la vita degli uomini.

Per Nietzsche non è tanto Cristo a proporre una religione nefasta, anzi, Cristo fu in qualche modo un oltre-uomo, un fondatore di nuove leggi, un creatore; è la degenerazione del pensiero di Cristo ad opera di Paolo di Tarso, il suo strutturarsi in sistema, che rendono il cristiansimo la menzogna delle menzogne (In sostanza ciò Nietzsche vede di buono in Cristo è la sua volontà di potenza, ovvero la forza di interrompere una tradizione in nome di una novità che si preannuncia vitale, deplora invece l'irrigidimento in dogma del suo insegnamento).

Il Cristianesimo rende l'uomo schiavo di una verità ultraterrena inesistente o quantomeno inutile a fini pratici, il Cristianesimo sminuisce l'uomo, gli toglie dignità, lo deresponabilizza. Solo l'uomo è il centro di tutto (non per nulla Nietzsche predilige tra tutte le epoche il Rinascimento italiano, e, tra i classici, il laico Epicuro), il Cristianesimo propugna un'inutile compassione nei confronti dell'uomo: "ma perché provare compassione per l'uomo, l'uomo non è forse degno della sua importanza? Non riescono forse gli uomini a rendersi felici da sé e a vivere pienamente la propria esistenza?".

Nella religione l'uomo debole trova più che altro un insano sfogo alle proprie pulsioni, pulsioni che si indirizzano così verso l'autopunizione e il sacrificio, verso la compassione immotivata, pulsioni trattenute dentro di sé e non lasciate libere di fluire.

Il Cristianesimo è una derivazione della metafisica platonica del mondo oltre il mondo, un altro rimedio, uno sminuirsi della vita di fronte ad altri mondi illusori ma ritenuti perfettissimi.
Nel Cristianesimo vi è tutto ciò che va contro la vita in quanto teorizzazione dell'appiattimento delle menti funzionale al controllo delle masse, nel Cristianesimo vi è la teorizzazione di uno stato di paura in modo da impedire all'uomo l'esercizio della conoscenza (si veda l'episodio biblico di Adamo ed Eva, la mela e l'albero della conoscenza).


8.
Genealogia della morale

Per Nietzsche, dunque, ogni atteggiamento morale è menzogna. E’ menzogna in quanto costituisce una tendenza umana acquisita e non naturale, per cui si vuole cercare “di proposito” una regola dove invece esiste solo caos. La vita, in sé, è caos, la morale interviene per porre un argine a questo caos e rendere tutto più prevedibile (l’uomo crede infatti che rendendo prevedibile un evento possa controllarlo e dominarlo).

La morale costituisce allora un fenomeno di superficie rispetto alla realtà dei nostri istinti: i nostri istinti costituiscono un fondo buio e caotico in cui sentimenti positivi lottano eternamente contrapposti a sentimenti negativi, la psiche dell’uomo è infatti solcata da questo eterno conflitto tra pulsioni contrastanti (quasi un’anticipazione dell’Es freudiano). La “morale di superficie”, allora, non è altro che lo specchio di tale complessità, la morale è semplificazione consolatoria del caos che ribolle sotto la superficie delle comuni azioni e dei comuni sentimenti.

L’uomo non è libero, è alla mercé di tali conflitti sotterranei. La stessa idea di cogito cartesiano, di “Io” fichtiano, di soggetto come autore delle scelte e dell’attività psichica, rientra pur sempre nell’insieme delle strutture consolatorie che intendono dare un senso strutturato anche alla coscienza.
La legge generale della conoscenza, secondo Nietzsche, si caratterizza per questa tendenza a riconoscere sostanze, che è poi un altro aspetto della tendenza ad edificare strutture consolatorie. Il realtà il mondo non è costituito di sostanze, nessuna delle filosofie consolatorie edificate dalla filosofia ha mai realmente affermato, come invece afferma Nietzsche, che al mondo non esiste altro che istinto primordiale, volontà di conservazione e di potenza, ovvero pura irrazionalità, scontro di forze naturali non razionali.

Quella proposta da Nietzsche è una vera Genealogia della morale, ovvero lo studio dell’autentica provenienza delle strutture morali, le quali, in realtà, rispecchiano profonde lotte psichiche assolutamente caotiche e non sono derivazione di sostanze perfettissime di origine divina.


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Contro le leggi

"Mi pende da oggi a un cordicino di crine,
Intorno al collo l'orologio delle ore;
Cessa da oggi il corso delle stelle,
Sole, canto del gallo e ombra,
E tutto quanto m'annunziava il tempo
Oggi è muto e sordo e cieco: -
Silente mi diventa ogni natura
Al tic tac della legge e dell'ora."

(da La gaia scienza)

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Scheda di Synt - Ultimo aggiornamento Giugno 2004

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