John
John Locke nasce a Wrington, vicino a Boston (Inghilterra). Diventa professore di greco e di retorica ad Oxford, mentre come autodidatta si interessa di anatomia, fisiologia e fisica, tanto da essere chiamato dottore senza peraltro esserlo. Nel 1667 abbandona l'insegnamento ad Oxford (reputava l'insegnamento ricevuto parole oscure e inutili ricerche) per diventare il Segretario privato del conte Shaftesbury, Lord Ashley, esponente del partito liberale whig. Viaggia in Francia e conosce così gli ambienti cartesiani. Organizzò in Olanda l'avvento sul trono d'Inghilterra di Guglielmo d'Orange, suo massimo successo politico. La figura di Locke è legata poi all'instancabile opera di divulgazione delle idee democratiche e di tolleranza, della sua idea di netta divisione fra potere della Chiesa e potere statale. Opere principali: Lettera sulla tolleranza (1659); Saggio sull'intelletto umano (1690); Trattati sul governo civile (1690); Pensieri sull'educazione (1693); Ragionevolezza del Cristianesimo quale risulta dalle Scritture (1695). * Sommario 2. Percezioni semplici e percezioni complesse: ogni conoscenza è graduale e cumulativa 5.
La tolleranza e i suoi limiti: una visione estremante moderna della
politica * Analogamente
a Leibniz,
anche Locke muove una polemica nei confronti del pensiero cartesiano:
mentre Leibniz aveva attaccato il meccanicismo, Locke ne critica l'idea
di innatismo (l'innatismo sosteneva che fossero innate quelle verità
che avevano il carattere dell'evidenza, che fossero chiare e distinte,
immediatamente percebilili, per il fatto di essere evidenti per tutti
gli uomini, queste capacità innate dovevano essere universali). Altra considerazione a favore della tesi di Locke è l'evidente inesistenza di principi universalmente accettati e validi. Nulla è accettato universalmente giusto dagli uomini, vi sono al mondo differenze enormi di giudizio etico, legate ai diversi costumi appresi nelll'ambito delle diverse società, in campo accademico e scientifico nulla vi è di indiscusso: la scienza è lotta di tesi opposte, la stessa esperienza empirica dimostra che tutto deve essere scoperto e nulla di ciò che conosciamo è conosciuto a priori. Locke è cosiderato uno dei massimi esponenti dell'empirismo inglese, una corrente filosofica nata dal diffondersi del metodo sperimentale proposto dalla rivoluzione scientifica. Secondo l'empirismo i dati della certezza epistemica erano da ricavare dall'osservazione dei fenomeni reali: analogamente alla scienza fisica, anche la filosofia doveva attenersi alla critica dei fatti e delle sensazioni tratte dalla percezione immediata.
Da
buon empirista, Locke sostiene che tutto ciò
che la mente produce è una elaborazione di percezioni esterne,
non esistono quindi idee direttamente prodotte dalla mente ma solamente
la rielaborazione di esperienze percettive. Nulla
vi è nell'intelletto che prima non vi sia stato nella percezione. "Anzitutto,
i sensi fanno entrare idee particolari, cominciando ad arredare quel
locale vuoto; e la mente, familiarizzandosi poco a poco con alcune idee,
le ripone nella memoria e dà loro dei nomi. In seguito vengono
a presentarsi nella mente altre idee, che essa astrae da quelle prime,
e apprende gradualmente l'uso dei nomi generali. In questa maniera la
mente si rifornisce di idee e di linguaggio, ossia dei materiali sui
quali eserciterà la sua facoltà discorsiva. E l'uso della
ragione diviene più evidente ogni giorno, via via che aumentano
questi materiali sui quali essa opera." Si delinea così una gerarchia delle percezioni: esse entrano nella mente dalle più semplici, e queste percezioni semplici servono poi da base alle percezioni più complesse, in un continuo e progressivo lavoro di accumulo e affinamento. Analogamente esistono qualità della percezione primarie e qualità secondarie. Le qualità primarie sono le percezioni oggettive che coincidono con la materia estesa cartesiana: la forma, il numero, l'estensione nello spazio. Quelle secondarie sono le impressioni soggettive che riceviamo da un oggetto: il gusto, il colore, la consistenza.
Fino all'epoca di Locke si accettava l'idea che le parole conservassero un certo collegamento diretto e "ontologico" con la natura del soggetto. Locke, come Hobbes, ritiene invece che le idee non abbiano alcun collegamento diretto con la natura delle idee espresse, ma costituiscano solamente i segni convenzionali attribuiti a determinate idee e stati d'animo. Il linguaggio è quindi un sistema di segni precedente allo sviluppo delle idee fatto di convenzioni condivise nell'ambito di una particolare lingua. Il pensiero esisteva anche prima che gli uomini imparassero a parlare, ciò dimostra che il linguaggio è nato dal bisogno di comunicare quelle idee che, rimanendo chiuse nella mente di ciascun uomo, non avrebbero potuto essere condivise con altri.
Diversamente da Hobbes e dalla sua idea di homo homini lupus, Locke ritiene che la transizione dell'uomo dal suo stato di natura primitivo a quello sociale è conseguenza di un suo bisogno a costituire una comunità. L'uomo quindi non nasce naturalmente in conflitto con gli altri uomini, ma ne ricerca l'aiuto e la compagnia. In particolare il primo nucleo sociale si sarebbe formato dall'unione tra un uomo e una donna, quindi, alla nascita del figlio: la società era la famiglia. Tra famiglia e Stato vi è poi una conseguente continuità. Gli uomini stringono un patto tra loro formando lo Stato, uno Stato che non è una restrizione arbitraria delle libertà individuali allo scopo di impedire la naturale anarchia, ma una condizione in cui anche lo Stato è garante nei confronti di tutti i cittadini. I
cittadini e lo Stato sono quindi legati da un mutuo contratto di assistenza,
lo Stato è naturalmente democratico e liberale, in quanto le
libertà dei singoli sono garantite da una maggioranza espressa
dal popolo. Locke fu un fervente sostenitore del sistema democratico, in quanto lo riteneva la naturale evoluzione del bisogno di aggregazione degli uomini. Una visione molto più ottimistica di quella completamente pessimista di Hobbes, il quale riteneva che lo Stato fosse un tiranno necessario a tenere unite le spinte disgreganti derivanti dall'egoismo di ciascun uomo. Queste due visione nascevano dunque da una diversa valutazione morale dell'uomo.
Sempre nell'ambito della sua visione democratica e liberale, Locke fu un sostenitore della divisione tra potere statale e potere della Chiesa, della garanzia delle diversità e della buona abitudine alla tolleranza. Lo Stato democratico garantisce e tollera naturalmente ogni diversità religiosa. Il compito dello Stato è infatti quello di garantire il rispetto dei diritti naturali di ciascun individuo: la vita, la libertà, l'integrità fisica e l'assenza di dolore, nonché la proprietà privata. Lo Stato ha però il dovere di proibire tutti quei comportamenti che danneggiano la società: le sette segrete, le Chiese che impongono giurisdizioni civili e spirituali in contrasto con il rispetto delle libertà individuali garantite, i comportamenti criminosi e pericolosi per la coesione sociale. Locke
sostiene poi che i cittadini non debbano comunque essere atei, in quanto
l'ateismo significherebbe la mancanza di ogni principio morale. Quest'ultima
osservazione risente un pò dei tempi se rapportata allo stato
di cose attuale, comunque sia la visione politica di Locke risulta essere
una tra le più moderne del suo tempo.
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di Synt - Ultimo aggiornamento Giugno 2004
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