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Cusano

Niccolò
CUSANO

(1400-1464)




Niccolò Cusano nacque a Kues, in Germania, attorno al 1400. Studiò diritto e matematica a Padova e teologia a Colonia. A venticinque anni diventò prete, in seguito divenne vescovo di Bressanone e quindi cardinale.

Il Concilio di Basilea lo incaricò di rappresentare la Chiesa Cattolica in una missione riconciliatrice in Grecia, allo scopo di sanare la spaccatura con la Chiesa Ortodossa. Pur fallendo, Cusano tornò in occidente con i testi originali dei classici greci e una folta rappresentanza di sapienti, i quali insegnarono il greco (lingua da secoli dimenticata) ai dotti italiani, contribuendo così allo sviluppo dell'
umanesimo rinascimentale.

Opere: La dotta ignoranza (1440), sua opera principale, Le congetture (1445), L'Idiota (1450), Il gioco della palla (1463).

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Sommario

1. La dotta ignoranza: i limiti dell'intelletto umano

2. Conoscere è mettere in proporzione

3. La coincidenza degli opposti

4. Il ruolo dell'uomo e della teologia

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1. La dotta ignoranza: i limiti dell'intelletto umano

Ne La dotta ignoranza Cusano afferma, rispolverando una massima socratica, che "quanto meglio uno saprà che non si può sapere, tanto più sarà dotto."

Posto che Dio è la perfezione assoluta e infinita, niente di quello che l'uomo può sapere e imparare raggiungerà mai questa perfezione (la perfezione assoluta compete solo a Dio). L'intelletto umano è per natura finito e limitato in capacità conoscitive, ciò che conosce non potrà mai essere in realtà corrispondente ad una vera e profonda comprensione della totalità dell'esistente.
La conoscenza dell'uomo non sarà mai perfetta, potrà essere tutt'al più costantemente perfettibile. Se da un lato l'imperfetto intelletto umano arriverà a concepire Dio come assoluta perfezione, dall'altro, proprio a causa della sua imperfezione, non riuscirà mai a colmare il concetto di Dio con tutte le sue reali determinazioni.

La conoscenza che l'uomo si propone attraverso la ragione è un tentativo reiterato di cercare di misurare l'incommensurabile, è un tentativo di instaurare una proporzione fra il noto e l'ignoto. Questo tentativo è sempre graduale, del resto non si può conoscere direttamente l'intero ignoto senza una serie di tentativi successivi di avvicinamento.

La conoscenza si configura così come una caccia infinita alla verità, la "preda" che continuamente viene inseguita ma che resta sempre un passo avanti al cacciatore (ovvero all'intelletto e alla ragione umana).

Cusano porta l'esempio della misurazione di una circonferenza: l'uomo semplifica il problema ipotizzando la circonferenza come un poligono che ha infiniti lati, ma l'infinito non è proprietà della geometria, scienza finita, e la circonferenza risulterà allora da una semplificazione fuorviante.

Cusano usa intenzionalmente termini matematici e geometrici, i quali hanno la proprietà delle cose finite (e quindi umane), per mettere in luce l'impossibilità umana di conoscere e provare l'infinito attraverso la ragione, infinito che Cusano identifica in Dio. Centrale nella filosofia di Cusano è la convinzione che il sapere umano sia essenzialmente una rappresentazione limitata e "semplificata" della realtà indotta dai limiti dell'intelletto; la realtà autentica, quella divina, rimane chiusa alla conoscenza degli uomini.


2. Conoscere è mettere in proporzione

Cusano afferma che il processo di conoscenza tende a instaurare una proporzione tra ciò che già è saputo e ciò che si deve ancora sapere, una proporzione tra il noto e l'ignoto. Proprio per questo la conoscenza procede gradualmente nel sondare il buio dell'ignoto, grandi e improvvisi balzi in avanti non sono possibili, poiché non avremmo comunque basi solide per rapportare ciò che conosciamo all'enorme baratro nel non conosciuto: se non conosciamo quanto ancora ci è ignoto, impossibile conoscere quanto realmente conosciamo in un determinato momento, non abbiamo termini di paragone.

L'uomo può solo fare piccoli passi alla volta verso la verità, il suo modo di conoscere le cose è analogo al metodo della matematica: le cose vengono messe in proporzione tra loro, dalle basi certe derivano le conoscenze prime, via via che il cammino si allontana dalle basi, il percorso si fa più difficile e le formule più complesse. Questa tendenza della conoscenza di procedere dal semplice al più complesso comporta la gradualità del processo cognitivo.

Questo processo di evoluzione della conoscenza è infinito, la mente dell'uomo è come un poligono iscritto in un cerchio: anche aumentando indefinitivamente il numero dei lati, non coinciderà mai con la circonferenza (la verità ultima di Dio, unica, non interessata dalle proporzioni in quanto approdo ultimo che coincide con la totalità della conoscenza, è qualcosa che sfugge ai limiti concreti della mente umana. La verità di Dio non può essere ridotta in termini di conoscenza umana).


3. La coincidenza degli opposti

La conoscenza umana, come si è visto, si fonda su un principio di proporzione: l'uomo riconosce una cosa se è in grado di rapportarla a qualcosa di certo e di già conosciuto. Da questo si deduce che la conoscenza certa di Dio in tutte le sue qualità è impossibile proprio perché non ne possiamo comprendere il concetto finito e determinato.

Ma se l'infinito non è considerabile per mezzo della pura ragione, tuttavia è intuibile: l'infinito è l'unità di tutte le qualità, anche quelle opposte, in quanto la perfezione assoluta e completa implica la sintesi suprema di tutte le determinazioni, comprese quelle che si oppongono e si escludono. Questa coincidenza degli opposti fa si che in Dio siano presenti tutti i principi contrapposti che sono all'apparenza inconciliabili (in Dio il principio di non contraddizione trova la sua soluzione).

Dio è sia affermazione che negazione. In Dio convivono i contrari poiché Egli è l'assoluto. Ma visto che nell'uomo il principio di non contraddizione, che permette di riconoscere le cose secondo la loro differenza, è il principio primo della conoscenza, di fronte alla soluzione del principio nella totalità divina, la ragione umana si arresta perché non può comprendere.


4. Il ruolo dell'uomo e della teologia

Di fronte all'impossibilità di definire in modo certo la natura infinita di Dio, l'uomo diventa uno spettatore della Creazione, ma non uno spettatore passivo. L'uomo è il fine ultimo della Creazione, creato per riconoscere il valore divino della Creazione stessa (quasi una sorta di processo teofanico).

Dio si può riconoscere allora seguendo la strada della teologia negativa (definendo ciò che Dio non è) o seguendo la strada della teologia positiva (affermando che Dio è l'infinito), la terza via è la parola di Cristo.

Ma Cristo è anche Dio, quindi la sua "infinità" divina è per l'uomo motivo di imitazione terrena. In questo processo di imitazione l'uomo sperimenta le possibilità della sua perfettibilità, del suo continuo tendere al miglioramento. Questa tendenza deve necessariamente sfociare, sul piano civile, in una etica del dialogo tra gli uomini, sviluppo naturale delle capacità di miglioramento proprio dell'essere umano. Il dialogo, data la sua capacità di mediare tra le diverse istanze morali e politiche, è l'unica forma di riconciliazione dei dissidi che garantirebbe un'empirica e sostanziale coincidenza degli opposti.

 



Scheda di Synt - ultimo aggiornamento 07-10-2004

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