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Giuseppe Caradonna ritratto in una vignetta satirica del tempo



Giuseppe Caradonna


Giuseppe Caradonna rappresenta uno dei due volti del fascismo di Capitanata. La sua discussa figura viene spesso contrapposta dagli storici del Regime all'altro personaggio carismatico dell'esperienza foggiana del Ventennio: Gaetano Postiglione.
Al contrario del suo "rivale", intellettuale illuminato e rappresentante della borghesia illuminata di Foggia, Peppino - era questo il suo nome di battaglia -  si contraddistingue come persona poco propensa alla riflessione e al dialogo. Un vero e proprio ras della provincia, legato agli ambienti rurali più reazionari, fermamente deciso a sopprimere ogni minaccia di sovversivismo. La sua protervia lo conduce a distinguersi per i suoi metodi rissosi; metodi che lo porteranno ad assumere ben presto un ruolo da protagonista nel panorama dello squadrismo locale e nazionale.
L’aspro dissidio con
Postiglione pur non traducendosi mai in forme di aperto scontro, portò nel 1923 allo scioglimento della federazione provinciale.
Certamente “iniziato” alla Massoneria al pari di altri importanti esponenti del Partito Fascista ( Acerbo, Farinacci, Bottai, Starace) Caradonna si rende protagonista di episodi delittuosi che caratterizzano il preoccupante clima di quegli anni.  A tal proposito si ricorda la denuncia di Giuseppe Di Vittorio che lo accusa di responsabilità diretta  dell'agguato mortale che colpì il 25 settembre del 1921 il sindacalista pugliese Giuseppe Di Vagno. Responsabilità sempre negata da Caradonna ma mai smentita nei suoi atteggiamenti nei confronti della vittima e dei suoi congiunti.
testo.

 
 
 
 
 
       

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