La nuova STEFER era dunque ben determinata a rinnovare completamente la
vecchia rete dei tram in un moderno sistema di linee ferroviarie
adeguate al progresso, e la nuova imprenditorialità pubblica aveva
fatto passare in secondo piano il problema dell'esercizio sociale dal
momento che il ripianamento dei disavanzi di bilancio, ancora
contenutissimi, sarebbe più ol- tre andato a carico del contribuente.
Ulteriori interventi sulla rete non avrebbero quindi incontrato il
problema degli utili prevedibili che aveva condizionato il
completamento nei primi anni '10, e proprio da questa copertura totale
dello Stato, che nel 1928 aveva bloccato la concessione di ulteriori
contributi per nuove tranvie e il ridimensionamento degli esistenti,
nacque la tendenza a quei progetti in parte faraonici che siamo
proprio soliti attribuire al Fascismo, pochi dei quali poterono
effettivamente realizzarsi. |
Nel 1930 viene reiterato con adeguamenti il progetto del 1925, relativo
ad una nuova stazione sotterranea stavolta anche per il servizio
urbano di Roma: nei progetti della STEFER troviamo una grande stazione
sotterranea al fianco della porta San Giovanni, ad otto binari, alla
quale avrebbero fatto capo tutte le linee future ex tranviarie dei
Castelli e le ferrovie per Frascati, Albano e Velletri da rilevarsi
dalla gestione delle FS: il nuovo attestamento foraneo dei
collegamento tra Roma e i Colli Albani rientrava, stavolta, nel più
ambizioso progetto delle tre linee di metropolitana che il Regime,
nella persona del Duce, voleva realizzare per la Capitale d'Italia e
dell'Impero, e infatti troviamo che la linea C delle tre che avrebbero dovuto vedere la luce entro il decennio si sarebbe collegata -
non sappiamo se a livello inferiore o superiore - con la stazione STEFER nel tratto da Termini a P.za dei Re di Roma. Le linee dei
Castelli, in questa nuova sistemazione, avrebbero sottopassato via
Taranto fino alla stazione Tuscolana, indi si sarebbero innestate
sulla Tuscolana per tornare alla luce al momento di procedere sul
tracciato esistente della ferrovia per Albano fino a Ciampino, da dove
si sarebbero irradiate le linee dirette alle varie destinazioni. |
Il progetto di realizzazione delle "Ferrovie Metropolitane di Roma",
tuttavia,
comportava un impegno economico valutato nel 1930 in circa 700 milioni
di lire, comprensivi di una previsione in difetto degli interessi
passivi, dovuti ai ritardi inevitabili che questo tipo di costruzioni avrebbero
incontrato, e in questo preventivo era compresa la sola stazione
terminale di San Giovanni: la trasformazione delle linee tranviarie
dei Castelli risulta da un documento dell'epoca soltanto stimato in
una previsione, che pare sottodimensionata, di circa 70 milioni di
lire (forse non si prevedeva il costo del materiale ferroviario, posto
che pare assurdo ipotizzare una ricostruzione dei tram esistenti).
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Il Governo Fascista non si era certamente mai tirato indietro di fronte a
complesse e costose operazioni urbanistiche, dal momento che gran
parte dell'attuale aspetto della città è dovuto alle sistemazioni a
suo tempo apportate attraverso gli sventramenti che hanno raso al
suolo gran parte del suo tessuto ottocentesco, ma nel caso delle
metropolitane non si andò oltre la progettazione e l'avvio dei lavori
del tratto Termini-Eur dell'attuale linea B, concepita per servire
l'Esposizione del '42 che non si tenne e completata soltanto nel 1955.
Vi fu forse una diffidenza per queste ferrovie sotterranee, già allora
accusate di attentare alla stabilità degli edifici, ma chi scrive
ritiene che l'impegno economico dello Stato non fu considerato
produttivo sulla base di previsioni di traffico del tutto teoriche: si
pensava che i cittadini avrebbero avuto diffidenza di questo mezzo, e
la preoccupazione di ricongiungere gli obiettivi scollegati dallo
smantellamento dei tram nella zona centrale fece i conti con tutta una
serie di esigenze palesemente diverse nella città che stava crescendo
e allargandosi a macchia d'olio. Si registra già allora, tra l'altro,
un infatuazione per l'automobilismo privato che avrebbe - si diceva -
risolto i problemi della circolazione nella zona centrale seguiti alla
riforma "autotranviaria" (cosi la chiamavano), del 1930. |
Con la metropolitana andò progressivamente a perdersi anche il
progetto della stazione foranea di San Giovanni, ma non per questo - e
forse con l'intenzione di rilanciarlo in un secondo tempo - la
STEFER rinunciò ad alcuni interventi migliorativi sulla rete. Vecchi e
nuovi progetti furono unificati in un unico piano di interventi che
tra le altre cose prevedeva: |
- costruzione di una diramazione tranviaria Genzano-Nemi; |
- prolungamento della tranvia da Valle Oscura a Rocca di Papa con
conseguente soppressione della funicolare; |
- realizzazione di un anello d'inversione al capolinea romano di via
G. Amendola, più che altro in previsione dell'utilizzo di materiale
urbano monodirezionale, con parziale utilizzo degli impianti ATAG di
via Cavour e istradamento delle vetture per via M. D'Azeglio; |
- raddoppio
delle penetrazioni tranviarie urbane fino agli
stabilimenti di Cinecittà (allora ancora in costruzione), e all'Ippodromo delle Capannelle. |
Per quanto riguarda il potenziamento del servizio urbano lungo la linea di
Albano, fino all'Ippodromo delle Capannelle, un primo
parere favorevole al raddoppio del binario era stata dato dal
Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici già nel 1925, compreso
com'era nel progetto della prima stazione sotterranea di Piazza
Vittorio Emanuele, e già allora si pensava di far arrivare il
doppio binario fino a Ciampino: fu abbandonata l'idea di armare
quattro binari, in modo da distinguere la circolazione di convogli
urbani ed extraurbani, prevedendo per contro tale possibilità di
fronte al deposito dell'Alberone, dove sarebbero poi stati
effettuati i cambi turno, più che altro per poter disporre di un
binario di servizio per la sosta volante delle vetture.
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L'idea di raddoppiare il binario fino a Ciampino affondava in un
progetto del 1927, quindi della STFER, relativo ad una linea
tranviaria che da quest'ultima località avrebbe dovuto raggiungere
Monte Sacro: l'itinerario avrebbe sfruttato gli impianti potenziati
lungo la via Appia Nuova fino a P.za San Giovanni, da dove i tram
avrebbero successivamente impegnato le tranvie urbane dell'ATAG, ma
non ebbe seguito probabilmente per la decisione di quest'ultima di
chiudere all'esercizio la lunga linea che da Porta Pia raggiungeva
P.za Sempione, seguendo la via Nomentana.
I lavori del raddoppio iniziano nel marzo del 1933, infatti, ma all'attivazione della linea Termini-Capannelle (15 settembre 1935), la
tranvia della Nomentana era già stata chiusa da sette mesi (1 febbraio
1935). Tra l'altro l'itinerario fino a Ciampino avrebbe sfruttato,
come poi si è fatto tra le Capannelle e il Tavolato, la sede abbandonata
della tranvia Roma-Portonaccio-Marino, utilizzata - come è stato detto
- dalla prima ferrovia per Anzio e Nettuno, prima dello spostamento
sul tracciato ancor oggi seguito della direttissima per Napoli via
Formia. |
All'attivazione della Termini-Capannelle fece seguito l'acquisto
dei primi rotabili espressamente costruiti per servizio urbano: si
trattò di un gruppo di 12 motrici tipo MRS (Moto Rimorchiata
Saglio), direttamente derivate
dalle analoghe vetture di terza serie dell'ATAG (2205-2263), con
cassa interamente metallica, porte automatiche ad entrambi gli
accessi e sedili disposti su due file frontemarcia, inizialmente dotate anche dell'archetto 1923, che
dell'azienda municipale rimase tipico fino al 1943. Con queste
vetture si passa dall'equipaggiamento elettrico della CGE
(Compagnia Generale di Elettricità), che aveva sostituito quelli
della T&H, a quello fornito dal TIBB (Tecnomasio Italiano Brown
Boweri), preferito anche per le successive serie di rotabili
urbani. I tram furono numerati da 301 a 312, costituendo il
gruppo delle "300". |
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La nuova funicolare
elettrica di Rocca di Papa e una motrice a due piani sull'anello
capolinea di Valle Vergine. |
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Sul fronte extraurbano, intanto, il 28 luglio del 1932 la STEFER,
abbandonando ogni altro progetto,
attiva la nuova funicolare elettrica da Valle Vergine a Rocca di Papa
(quella tuttora esistente e abbandonata), raggiunta dal prolungamento della tranvia
da Valle Oscura: ai piedi della funicolare viene costruito un
capolinea ad anello per poter utilizzare anche i convogli non
reversibili. Si da l'addio ad un suggestivo sistema di trazione per
un nuovo tracciato che in soli due minuti e mezzo supera un dislivello
di 152 metri su una lunghezza totale di 233, contro i circa 4 minuti
che occorrevano sulla "vecchia" linea lunga quasi 400, peraltro
soggetta a non rari inconvenienti e non più adatta a soddisfare una
domanda di trasporto sempre più crescente con i suoi piccoli vagoncini
rudimentali. Può apparire superfluo ricordarlo ma la scelta fu
dettata anche dalla necessità di trasportare un maggior numero di
persone a mezzo di un impianto capace di esercitare un maggiore sforzo
di trazione, cosa che il vecchio impianto a contrappeso d'acqua mai avrebbe potuto fare pur adattando vagoncini più capienti. |
Il 16 agosto del 1937 si attiva il doppio binario da via delle
Cave agli stabilimenti cinematografici di Cinecittà, orgoglio e
vanto del regime fascista, davanti ai quali si attrezza il
capolinea con un anello d'inversione e due binari di sosta, oltre
ai due binari di corsa che vengono utilizzati per l'incrocio dei
convogli da e per i Castelli. Per questa linea entra in servizio
un secondo gruppo di motrici del tipo MRS che si potrebbe definire
una quarta serie dopo la terza dell'ATAG e le "300" del 1935 in
servizio sulla linea di Capannelle, di concezione ben più moderna,
che tra le altre novità si presentano col pantografo e coi dispositivi di
accoppiamento in multiplo di due motrici, costituendo il gruppo delle
"320" (321-328) |
Prima di andare più oltre vale la pena di soffermarsi su questa perlomeno
curiosa scelta di prevedere la possibilità di accoppiamento, cosa peraltro
mai avvenuta se non in sede di presentazione del nuovo
gruppo alla stampa e al pubblico. Le "320" della STEFER furono dotate di un comando ad accelerazione automatica analogo a quello
sperimentato pochi anni prima sulla MRS "2203" dell'ATAG; quest'ultima
in tali condizioni rimase fino al 1970, ma il comando aveva da subito
dimostrato di mal conciliarsi con la cronica scarsità di aderenza di
questo tipo di motrice, concepita progettualmente con uno schema ad
aderenza parziale che prevedeva il carrello anteriore motore e il
carrello posteriore portante, determinando interminabili pattinamenti
in sede di avviamento, che non di rado richiedeva l'uso delle sabbiere per aumentare l'attrito tra le ruote e le rotaie. Il comando ad
accelerazione automatica, ovviamente, aumentava oltremodo lo
slittamento dell'asse motore sulla rotaia, a volte immobilizzando la
vettura quando il binario - specie con la caduta autunnale delle
foglie - diventava particolarmente viscido, ed appare fin troppo
ovvio che l'accoppiamento di due motrici, ovviamente entrambe in
trazione al momento di partire, non poteva che aggravare l'inconveniente. |
Premesso che nessun documento è in grado di darci una risposta esauriente
possiamo ipotizzare che tale scelta tragga origine dalle ultime motrici
della serie precedente, le MRS "311" e
"312", le quali avevano all'origine il carrello motore
sistemato anteriormente. La modifica dello schema tradizionale
della vettura (non si sa se operata direttamente dal
costruttore o d'iniziativa autonoma della società), appare
come un esperimento teso ad aumentare l'aderenza della motrice
che diede forse all'inizio qualche timido risultato, dal
momento che in sede di sostituzione dello archetto col
pantografo, nel dopoguerra, quest'ultimo fu sistemato
inizialmente in posizione arretrata, all'altezza dell'asse
motore e con lo scopo evidente di aumentare il peso gravante
sullo stesso. La presenza dei dispositivi di accoppiamento
sulle "320" potrebbe spiegarsi proprio con l'iniziale
ottimismo con cui furono accolti i primi risultati di un
esperimento che andò invero avanti per svariati anni, fin
quando le due MRS modificate tornarono alo schema tradizionale
ed anche le "320" furono private di ogni dispositivo interno ed esterno,
per tornare ad una normalità che tale rimase fino alla fine. |
Che l'esperimento delle motrici "300" sia un iniziativa autonoma della STEFER, però, lo si può dedurre dal fatto che Direttore Generale della
società in quella seconda metà degli anni '30 era l'ingegnere Mario
Urbinati (1882-1968), l'inventore del tram di tipo articolato quale
oggi lo conosciamo. Contemporaneamente alle sperimentazioni in corso
sulle MRS, infatti, l'Ing. Urbinati stava progettando una
rivoluzionaria vettura articolata, a due casse su tre carrelli, di
concezione completamente innovativa rispetto ai tram articolati fino
ad allora costruiti sulle grandi reti di Roma, Milano e Torino. Questi
ultimi entrarono in servizio a Roma tra il 1936 e il 1938, ottenuti
dall'unificazione di motrici e rimorchi a otto finestrini a mezzo di
un elemento intermedio costruito ex novo, più che altro per poter
disporre di una vettura che potendo trasportare un maggior numero di
passeggeri rispetto alle MRS e ai convogli motrice+rimorchio
consentisse, allo stesso tempo, di impiegare un solo fattorino invece che due. Il risultato, tecnicamente parlando, non fu un granché dal
momento che il materiale utilizzato risaliva al 1923 (motrici serie
"497-1047" - rimorchi serie "450-568"), e che la già vetusta struttura
poco o nulla riuscì a reggere il peso dell'elemento intermedio, determinando un caratteristico inclinamento della vettura in corrispondenza
dell'asse anteriore del rimorchio. L'operazione fu giustificata dal
solo punto di vista economico. |
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La nuova vettura progettata dall'ing. Urbinati si fondava sullo schema
delle due casse che poggiano su tre carrelli, ma l'articolazione delle due
semicasse perfettamente simmetriche, a parte la disposizione delle porte,
si otteneva tenendo unite queste ultime a mezzo di un elemento
intermedio che poggiava sul carrello a questo ultimo sottostante:
l'originalità del sistema consisteva nel fatto che l'articolazione
si poneva sempre secondo la bisettrice dell'angolo nella curva
seguendo il movimento della semicassa anteriore, e questo prima
ancora che il carrello avesse impegnato la curva stessa,
consentendo nel contempo tutti i possibili movimenti in
orizzontale o in verticale delle semicasse. Il fatto che queste
ultime fossero praticamente identiche, quasi a voler prevedere una
vettura bidirezionale, deriva da un analogo progetto, destinato a
rimanere tale, di una vettura destinata al servizio sulla rete dei
Castelli, sempre a due casse ma con sei motori e bidirezionale (le
"400" avevano invece quattro motori ai carrelli di estremità), e
al prototipo "401" seguirono altre 11 vetture ("402-412"), su di
un brevetto STEFER Officine STANGA ancor oggi diffuso in tutto il
mondo, ancor oggi visibile, a Roma, sui tram serie "7000" e sui
bus articolati della Breda. |
Questi tram si caratterizzarono, tra l'altro, per avere un controller
di avviamento dotato non della solita manovella, bensì di un comando a
pedale tipo automobile, secondo una disposizione che si andava sempre
più affermando all'estero: il conducente doveva quindi stare
permanentemente seduto, e per di più non al centro della cabina di
guida ma a sinistra della stessa, rimanendo dotato della solita
manovella soltanto il comando di frenatura. Tale disposizione fu
imitata, a Roma, soltanto dalla prima articolata Stanga dell'ATAG, la
"7001", poi distrutta dai bombardamenti del 1943, ma le "Urbinati"
tali rimasero fino alla fine. |
Gli studi relativi alle varie possibilità di ammodernare la rete
tranviaria extraurbana si erano all'epoca orientati, invece, sulla
trasformazione in ferrovie rapide, in questo seguendo l'esempio della
Roma P.le Flaminio-Viterbo, inaugurata nel 1932 sulle ceneri della
preesistente ferrotranvia in partenza da P.za della Libertà,
sistemazione dovuta al genio dell'ing. Besenzanica, ma anche
guardando alla ferrovia Roma-Ostia, nata nel 1924 con quelle caratteristiche della metropolitana (doppio binario, assenza di passaggi a
livello, marciapiedi a livello del piano di calpestìo delle
vetture), curiosamente mai imitate negli anni successivi. |
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(1)
Il tracciato che si sarebbe dovuto seguire è quello originario della linea
Roma-Albano-Nettuno (che da Portonaccio seguiva la via omonima e il
rettilineo via Acqua Bullicante, via di Torpignattara), per innestarsi
sulla via Appia provenendo dall'attuale via Arco di Travertino. |
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