Nella seconda metà degli anni ’20 in gran parte dell’Europa si
concretizza una radicale riforma circa la politica della mobilità
collettiva. L’evoluzione tecnologica aveva portato gli autobus a tutta
una serie di prestazioni per l’epoca più che ottimali, e di ciò si
approfittò per liberare le strade del centro storico di Roma (ancora
non interessato dai nefasti sventramenti del decennio successivo),
dall’ingombrante presenza delle sedi tranviarie. E che di presenza
ingombrante si trattasse lo si può evincere pensando che fino ad
allora era operazione comune la posa del doppio binario in strade come
via dei Serpenti, laddove la rotaie esterne rasentavano di pochi
centimetri il bordo dei marciapiedi (cosicché la sagoma della vettura
arrivava a sporgere oltre gli stessi), e che non poche linee come il
25 e il 25 barrato (che collegavano Via Piemonte con Monteverde
passando da Porta San Pancrazio e da Via N. Fabrizi), presentavano
tratte in fortissima pendenza e a binario unico. La riforma
tranviaria, entrata in vigore il 1 gennaio del 1930, determinò la
totale eliminazione del tram dal centro storico, delimitato da una
circolare tranviaria a grande traffico (storicamente conosciuta come
“la nera”), alla quale si affiancò l’anno successivo una seconda
circolare esterna che fu detta “la rossa”. Negli anni immediatamente
successivi analoga tendenza si registra sui servizi ferrotranviari
extraurbani, dove si rinuncia ai tronchi a minor traffico in favore di
autoservizi più flessibili e certo meno costosi (sulla Roma-Frosinone,
ad esempio, si chiude il tronco Fiuggi-Frosinone e le diramazioni
Vico-Guarcino e Frosinone Città-Frosinone Scalo), ma
in entrambi i casi i risultati furono deludenti. Gli autobus
introdotti a forza al centro di Roma e sui percorsi extraurbani erano
piccoli e scomodi, e la velocità commerciale delle linee fu
addirittura inferiore a quella delle linee ferroviarie e tranviarie
chiuse all’esercizio. |
All’interno della città furono successivamente introdotti autobus più
moderni e, soprattutto, capaci di contenere un numero sempre più
alto di passeggeri come gli Alfa Romeo 80N della indovinata serie
3101-3151 del 1935 e, soprattutto, i 110A del 1937 a tre assi, e la
situazione migliorò notevolmente con l’introduzione del filobus,
iniziata nel 1936 con due linee (una delle quali è l’attuale 32), che
prese ben presto il sopravvento su quasi tutte le linee centrali di
autobus, ma nel frattempo l’allora ATAG si trovò ad affrontare il
problema dei collegamenti extraurbani tra Roma e Tivoli, dopo aver
ottenuto la concessione dell'autolinea sostitutiva della tranvia a
vapore chiusa nel 1931 al servizio viaggiatori. |
|
|
|
Agli inconvenienti già accennati sulla Roma-Tivoli si
aggiunse il problema della totale inadeguatezza dell’autobus di
allora (i Lancia Omicron), ai percorsi extraurbani, specie lungo
l’andamento tormentato della via Tiburtina, per giunta aggravato
dalla lunga salita finale verso Tivoli, dopo la curva del
regresso. Il problema principale, comunque, era sempre quello
della scarsa capienza delle vetture, cui si cercò di porre rimedio
inizialmente con un curioso autobus formato da motrice e rimorchio
perennemente collegati da un intercomunicante di tipo ferroviario,
antenato dei moderni articolati progettati sul principio della
giostra Urbinati, brevettata nel 1938. Negli anni immediatamente
successivi, tuttavia, si cominciarono a sperimentare tutta una
serie di autobus cui si attribuirono sigle folli almeno quanto la
fantasia dei progettisti, dalle forme più strampalate che si
possano immaginare ma tutti accomunati dall’unico intento di
trasportare più passeggeri che fosse possibile. La chiusura della
tranvia a vapore era un provvedimento improcrastinabile, stante le
condizioni di irrecu perabilità della linea conseguenti a decenni
di totale disinteresse della società concessionaria, ma anche qui
si registrarono quegli stessi problemi che davano al vettore su
ferro ancora una predominanza che avrebbe dovuto consentire un
ripensamento tecnologico cui non si arrivò. |
|
|
|
|
|
(Archivio Storico ATAC) |
|
|
|
In questa foto si può vedere l’esempio del Torpedone
Osservatorio Lancia (T.O.L.), un curioso autobus senza sedili,
scoperto, che somiglia più ad una barca con le ruote (se non fosse
per la classica forma del radiatore e dei copriruote sormontati
dai fanaloni tipici dell’epoca), dal quale non è mai stato ben
precisato cos’è che si potesse - o si dovesse - osservare.
Esistevano poi il T.D.L. (Torpedone Decappotabile Lancia), il
T.T.F. (Torpedone Trasformabile Fiat), il T.C.F. (Torpedone Coupè
Fiat, i cui interni erano di un eleganza e di una raffinatezza
degni della residenza di un Re). Il
massimo della follia, comunque, fu raggiunto con l’autoalveare, così
chiamato poiché i passeggeri dovevano sistemarsi all’interno
della vettura similmente alle api nelle celle di un alveare.
Esternamente si presentava come un mostro a due piani e mezzo e a tre
assi con ruote gemellari al secondo asse posteriore (che costituisce
comunque un primato mondiale mai eguagliato), ma era un tre piani sui
generis, non avendo all’interno un ambiente effetttivamente
suddiviso. I posti superiori (sulla seconda e terza fila), potevano
essere raggiunti solo a mezzo di scalette del tipo utilizzato per i
letti a castello, certo più adatte a degli equilibristi che non a chi
si recava alle terme delle Acque Albule per curare ogni sorta di
dolori. Secondo alcune cronache giornalistiche dell’epoca l’autoalveare
poteva trasportare fino a 250 passeggeri, ovvero quanto possono oggi
contenere un serpentone seguito da una normale 12 metri. La sua guida
era particolarmente faticosa in un presente storico in cui non
esistevano il servosterzo e il cambio a convertitore idraulico,
probabilmente a causa della incredibile pesantezza del mezzo a pieno
carico di passeggeri e bagagli, che rendeva problematiche le manovre
dello sterzo e, soprattutto, del cambio a quattro marce con riduttore,
ovvero ad otto rapporti, dove il passaggio dalla marcia più alta a
quella più bassa era una spettacolare manvora di due leve, e il fatto
non sorprende se si pensa che il filobus ha risolto lo stesso problema
della scarsa maneggevolezza che caratterizzava i pesanti autobus di
tipo urbano allora in circolazione (ma il filobus extraurbano sulla
Roma-Tivoli rimase soltanto un progetto).
|
|
|
Due immagini degli
autoalveari a due piani e mezzo che circolarono tra Roma e Tivoli
negli anni '30. |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
(Archivio Storico ATAC) |
|
|
|
Prodotto fortunatamente in soli due esemplari numerati B.3401 e B.3403
(fino al 1964 al materiale motore su gomma furono riservati i soli
numeri dispari: le lettere B., G., E. e D. indicavano il tipo di
propulsione, ovvero benzina, gasolio, elettrica o gasogeno),
entrarono in servizio nel 1932 e si presentavano tecnicamente come
dei normali Lancia Omicron del futuro tipo C urbano sempre a tre
assi, ma con motore a benzina, con velocità massima di 45 Km/h
(anche se poi, per motivi facilmente intuibili, non ultimo la già
citata pesantezza del mezzo, sulla salita finale verso Tivoli arrivavano a
malapena ai 30). Appare evidente che questo autobus non potè avere
fortuna, ed infatti se ne perdono le tracce parimenti a tutti gli altri
nel giro di pochissimi anni (peccato non averne conservato un esemplare), e non
meravigli il lettore questa lunga disgressione sulla relazione extraurbana per Tivoli e su questi esperimenti, dal momento che a giudizio di
chi scrive un legame con la storia delle tranvie dei Castelli che
stiamo raccontando c'è. |
Avevamo lasciato quest'ultima al progetto del 1925, che prevede una
nuova sistemazione dei servizi extraurbani in una nuova stazione
sotterranea sotto piazza Vittorio Emanuele, e il moltiplicarsi degli
studi circa il miglioramento della rete e la sua sempre maggiore
appetibilità furono condotti in modo più massiccio nel momento in
cui l'autobus inizia a porsi quale pericoloso concorrente dei
servizi su ferro: la situazione economica della società era allora buona, con utili d'esercizio soddisfacenti, e la minaccia incombente di
una concorrenza al lungo periodo letale spinse la STFER a prodigarsi
in senso contrario in quelli che erano i suoi ultimissimi anni di
imprenditoria privata. Tali studi, seppure non impedirono il rilevamento
della società da parte del Governatorato di Roma, furono
alla base dei tentativi di potenziamento del decennio che va dal 1930
allo scoppio del secondo conflitto mondiale, posto che al contrario
di quanto accadeva altrove la produttività economica delle linee
rimase buona almeno fino al 1942, l'ultimo anno in cui si registra un
discreto utile nella chiusura dell'esercizio sociale. L'evidente
impossibilità dell'autobus ad assicurare una capacità di trasporto
pari almeno alla metà della tranvia, oltre che una velocità
commerciale accettabile, determinò la scelta di orientarsi verso il
potenziamento del servizio su rotaia. |
L'acquisto da parte del Governatorato dell'intero pacchetto azionario
della società (Deliberazione 145 del 21 gennaio 1928), costituito da
33.000 azioni, fu promosso con lo scopo di unificare sotto un unica
gestione i servizi extraurbani in partenza da Roma dal momento che
pochi mesi dopo si arrivò all'acquisto della tranvia a vapore
Roma-Tivoli per la somma di 5.500.000 lire (2 marzo 1928 -
Deliberazione 1018), e nei primi anni di guerra della ferrovia
Roma-Ostia dalla S.E.F.I. (Società Elettro Ferroviaria Italiana), e
Roma-Fiuggi (ex Roma-Frosinone), dalla S.F.V. (Società Anonima per le
Ferrovie Vicinali), cosicchè le tre reti passa rono sotto l'unica
gestione di una nuova azienda pubblica che nel 1928 cambiò la propria
ragione sociale da STFER a STEFER, e sotto il controllo diretto del
Governatore, che aveva negli anni precedenti operato analogamente sulla
rete urbana sotto l'unica gestione della ATAG (la sola Roma P.le
Flaminio-Viterbo, quella inaugurata nel 1932 nella posizione attuale,
rimase della SRFN (Società Romana per le Ferrovie del Nord), fino al 1976
(costituzione del consorzio A.CO.TRA.L.). |
Messi da parte gli interessi relativi al solo profitto (tipico di una
gestione privata), la nuova STEFER si mise immediatamente al lavoro
lungo l'obiettivo di adeguare l'intera rete secondo un progetto che
prevedeva il miglioramento del servizio tranviario urbano e la
trasformazione delle linee extraurbane in linee di tipo ferroviario,
con nuovi tracciati in sede propria e materiale rotabile adeguato alla
bisogna, cercando di migliorare le prestazioni di queste ultime al
breve periodo attraverso l'acquisto di nuovo e più moderno materiale
rotabile. Dei primissimi anni '30, infatti, è l'acquisto di ulteriori
e più moderni
tram per il servizio extraurbano. |
Del 1927, e quindi della STFER, è lo acquisto delle motrici del
gruppo 7-14 e dei rimorchi 113-120, che furono gli ultimi rotabili
con rivestimento in doghe di legno. Le motrici furono soprannominate le Napoletane in quanto furono costruite dalle Officine
Ferroviarie Meridionali e rimasero in servizio regolare di linea
fino alla guerra: la 10 e la 11 furono utilizzate come motrici di
servizio fino agli anni '60, mentre dei rimorchi sono giunti agli
anni '70 i 117, 118, 119 e 120 (gli ultimi due ancora esistenti),
trasformati in materiale ausiliario. |
|
|
Convoglio con motrice gruppo 7-14 e
rimorchio gruppo 113-120 |
|
|
|
|
|
|
Nel 1931, per contro, a quest'ultimo gruppo di motrici a due assi la
STEFER contrappone i primi rotabili di nuova concezione, che
imprimeranno quel carattere dei tram bianchi e azzurri col
pantografo, simili ma non uguali a quelli dell'ATAC, che rimase
caratteristico della rete fino alla fine. I primi rotabili a cassa
metallica, colorati in bianco e azzurro ma ancora col trolley a
rotella, furono due gruppi di convogli motrice-rimorchio dei
gruppi "80+280" e "90+290", entrambi costituiti da 4 convogli
accoppiati secondo il sistema "80+280", "92+292", etc (il primo numero
è la motrice): assieme alle napoletane furono i primi tram a
presentare l'equipaggiamento elettrico della CGE (Compagnia Generale
di Elettricità), che già dagli anni '20 aveva sostituito l'originario
e inaffidabile Thomson & Huston sul rimanente materiale. I
convogli "80" erano treni composti da motrice e rimorchio semplice,
mentre i "90" costituirono un interessante gruppo di 4 treni
reversibili, composti da motrice e rimorchio pilota permanentemente
accoppiati, entrambi bidirezionali (ovvero coi comandi alle due
estremità del rotabile). |
Nei mesi successivi alla loro immissione in servizio, tuttavia, i
quattro convogli "90" furono equipaggiati col pantografo non solo
sulla motrice, ma anche sul rimorchio pilota, dal momento che la
presenza di una sola presa di corrente determinò l'impossibilità di
condurre il convoglio dalla rimorchiata nel merito dello azionamento
del segnalamento "Nachod" ed anche degli scambi
elettrici a comando diretto dal filo di contatto lungo le tratte
in comune con le linee tranviarie dell'ATAG: il secondo pantografo
fu sistemato all'estremità di marcia del rimorchio, come
testimonia la foto sotto, scattata ad Ariccia negli anni '50. |
|
|
|
All'immissione in servizio dei treni reversibili fece seguito la
ristrutturazione del materiale esistente ancora ritenuto in grado di
operare. Furono avviati alle demolizione le "giallette" del primo
servizio urbano (del resto da tempo inutilizzate), le due assi della
serie "30" - salvo la "37" e la "38" che furono utilizzate fino agli
anni '50 come motrici di servizio - i rimorchi "105-112" : per quanto
riguarda il rimanente materiale rotabile tutti i tram vennero
ricostruiti con cassa metallica nei colori bianco e azzurro e dotati
di pantografo. Queste trasformazioni fecero seguito ad una
trasformazione delle casse che previde la soppressione degli accessi
centrali e la generalizzazione dei due accessi per lato, aggiungendolo
dove mancava, Queste trasformazioni interessarono alcune motrici e
rimorchi del gruppo "60", coi quali si ottennero i convogli da 61+161
a 64+164 (treni non reversibili, con rimorchio semplice), e quelle del
gruppo "70", alle quali si riservò il traino (raro peraltro), dei
rimorchi a due assi serie "200" e dei rimorchi a carrelli, oltre che
alle 12 motrici a due piani che, con tali trasformazioni, perdono
nelle immagini fotografiche parecchio del loro fascino. |
Doveva trattarsi, come si è detto, di una ristrutturazione destinata a
migliorare le prestazioni di un semplice sistema tranviario che
cominciava ad apparire ingombrante ed antiquato, destinato - nelle
intenzioni che rimasero tali - a lasciare il posto ad un moderno
sistema di ferrovie rapide con qualche raccordo da mantenersi per i
piccoli collegamenti a carattere locale lungo strade dove non si
riteneva pratico l'utilizzo dell'autobus di allora. I treni reversibili furono, per contro, gli ultimi tram extraurbani entrati in
servizio sulla rete dal momento che ulteriori acquisti riguarderanno
soltanto il materiale urbano che arrivò fino alla definitiva scomparsa
della rete nel 1980, assieme a tre motrici extraurbane e ad un rotabile
di servizio di cui diremo meglio in seguito. |
|