Un mezzo di trasporto semplice, snello, capace di rivoluzionare da un giorno all'altro le abitudini secolari di vita dei Castellani

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COME CAMBIA LA VITA DEI CASTELLI ROMANI

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   L'impianto delle tranvie all'interno di piccoli paesi ancora costruiti su di un tessuto spesso medioevale, lungo strade dalla sezione risalente all'epoca romana, e soltanto a piccoli tratti intaccate da aggiustamenti più o meno ben fatti di epoca medioevale o rinascimentale, fu effettuata con l'iniziale criterio di avere il più presto che fosse possibile il nuovo mezzo che il progresso aveva messo a disposizione; la fretta, l'iniziale impreparazione cui abbiamo più volte accennato, ma anche il non aver voluto prevedere piccoli o grandi progetti urbanistici, magari per quella cronica mancanza di fondi che ancora oggi attanaglia le amministrazioni locali, limitarono la loro azione ad uno spazio temporale che iniziò a renderle ingombranti, già anacronistiche ed antiquate, ad appena un ventennio dal definitivo completamento della rete. Nella progettazione delle linee mancarono metodologie adeguate, e questo nonostante fossero già numerose le esperienze negative in tal senso. All'apertura delle prime linee dei Castelli operava da poco più di vent'anni il tram a vapore per Tivoli, che forse per ragioni d'anzianità portava la bandiera del disservizio, e certo ci si sarebbe potuti basare sulle condizioni in cui materiale, mezzi e personale operavano per comprendere che quelle che stavano per nascere, alle condizioni cui rimasero fino alla fine, erano linee destinate ad una esistenza stentata, infarcita di contributi pubblici, destinate a sicura morte non appena un autobus ancora infante avrebbe potuto iniziare - come poi sarebbe accaduto di li a poco - ad attentare al monopolio della rotaia (anzi: di quel tipo di rotaia), in un confronto impari per prestazioni e comfort.

   L'esperienza della Roma-Tivoli, nata col difetto comune a tante altre linee, come la tranvia da Roma a Civitacastellana che precedette l'attuale ferrovia, o anche la ferrovia Roma-Fiuggi-Frosinone, con la consapevolezza che mai si sarebbe potuto ricavare alcunché dal traffico merci o viaggiatori, con un risparmio nei costi di costruzione ed esercizio che si sarebbe tradotto in guasti ed incidenti a non finire, se pure non avrebbe potuto intaccare l'intenzione di impiantare una rete di semplici e fragili tranvie, poteva nel contempo porre mano fin dalla primitiva progettazione a tanti piccoli e grandi difetti che la rete presentò già dai primi giorni, ben presto smorzando l'iniziale entusiasmo con cui furono accolte in sede di inaugurazione.

   Non si può certamente rimproverare la STFER di non essersi adoperata per mantenere al meglio le condizioni delle linee e del materiale rotabile: da questo punto di vista, anzi, si può senza tema di smentita affermare che sia stata la più premurosa tra le società concessionarie almeno fino all'acquisto dell'intero pacchetto azionario da parte del Governatorato di Roma nel 1928 (quando la ragione sociale da STFER divenne STEFER), e questo potrebbe apparire ovvio dal momento che la validità intrinseca delle sue linee si mantenne intatta almeno fino a tutto il secondo conflitto mondiale. La rete tranviaria dei Castelli arrivò alla dichiarazione di guerra del 1940 - caso unico tra le linee minori del Lazio - non soltanto intatta ma al pieno dell'efficienza e delle potenzialità che un sistema tanto limitato poteva garantire. Altra particolarità della rete fu quella di non aver effettuato, se non sporadicamente, alcun movimento di merci, quando altre linee dello stesso tipo forse riuscivano a ricavarci negli stessi anni anche più di quanto ricavavano dal movimento dei viaggiatori.

 
 

La motrice a due piani 10 nel deposito di Marino. Immagine ricordo per maestranze e dirigenti STFER

 
   
     
 

   La rete dei Castelli ha occupato, in altre parole, un posto del tutto particolare nella storia dei trasporti pubblici di Roma e del Lazio, entrando ben presto non soltanto nelle abitudini ma anche nella tradizione canora, letteraria e iconografica della Capitale. Se la crisi iniziò soltanto nel secondo dopoguerra ciò e dovuto a fattori che avremo modo di analizzare successivamente, e se anche tutto non andava per il verso giusto (e sarebbe stato strano il contrario), non furono certamente gli abitanti di Roma e dei Castelli a voltar le spalle ai tram alle prime apparizioni di autobus magari ancora rudimentali, ma già in grado di competere pericolosamente con un mezzo che rimaneva invece fermo ad una impostazione ottocentesca di linee ed impianti, progredendo soltanto nella tecnolo gia del materiale rotabile, e soltanto al livello urbano.

   Il tram si inserì nell'ambiente dei Castelli Romani arrecando danni non molto gravi all'ambiente circostante, inserendosi più che altro a mezzo di uno sconvolgimento non troppo brusco e rispettando il più che fosse possibile la staticità di un ambiente che andava certamente rispettato. Vi furono danni anche gravi come l'abbattimento della Porta Romana di Albano, sulla salita delle Frattocchie, provvedimento necessario a far entrare il tram in città, ma pensiamo si possa considerare cosa di poco conto rispetto ai danni che furono in seguito operati in nome di una pubblica utilità che neanche poteva più appellarsi alle finalità sociali, e di certo non se ne dolsero più di tanto gli abitanti del paese se stiamo al resoconto che il quotidiano "La Tribuna" fece dell'inaugurazione del tronco Marino-Genzano. E del resto fu dovunque una gran festa all'arrivo del tram inaugurale, un occasione ancora più solenne della ricorrenza patronale che portò anche a scene impressionanti come l'apertura della Roma-Grottaferrata e diramazione dal bivio di quest'ultimo paese per Frascati: le cronache dell'epoca (vedere tra i documenti), ci informano che l'inaugurazione si concluse con gravi incidenti ed atti di vandalismo certamente dovuti ai bollori del vino, che aggravarono oltremodo la preoccupazione di non trovare posto per il ritorno da Frascati a Roma stante la ressa incredibile di persone che diedero l'assalto alle vetture, complice quell'approssimazione negli orari che rimarrà canonica fino all'ultimo giorno di servizio dell'ultima linea extraurbana. (1)

   Una scena altrettanto impressionante si svolse a Velletri all'apertura del prolungamento della tranvia proveniente da Genzano: siamo nel 1913, un periodo politico particolarmente instabile pervade l'intera penisola e a Velletri il Comune era governato da una maggioranza che rispecchiava le tradizioni repubblicane della cittadina, tradizioni di fiera e decisa opposizione che si era concretizzata nella costituzione di un Blocco del Popolo nato dall'alleanza con un socialismo ancora agli esordi e ben determinato in una politica di autentica rivoluzione sociale. Circa un paio di mesi prima il Consiglio Comunale era stato sciolto con un atto di Governo non del tutto pulito, certamente sotto la spinta della minoranza filo-governativa, e al 13 settembre, giorno dell'inaugurazione, il Comune era guidato da un Commissario Prefettizio in un atmosfera tipo Peppone e Don Camillo, con numerosi incidenti tra le diverse fazioni. Orbene, l'arrivo del primo tram riuscì a far dimenticare per un giorno le divisioni politiche, le cicatrici che molti si portavano addosso, se è vero - come ci dicono le cronache - che perfino il Sindaco "dimissionato"  accennava ai futuri trionfi della democrazia rivolgendosi al Deputato del collegio uninominale che, per contro, aveva detto che il tram realizzava l'aspirazione di un intera città, non soltanto di una o dell'altra parte.

   Certo non è un caso che una scena del genere si sia svolta nella cornice di un sontuoso banchetto ben innaffiato dal corposo vino locale: i consiglieri della da poco disciolta maggioranza, i militanti filo-governativi, i cittadini dell'una e dell'altra fazione, uniti per un giorno da una tavola ben imbandita, euforici per qualche bicchiere di troppo tracannato magari per restare al passo col vicino più abituato ai fumi dell'alcool, coi due "capi" in testa vicini di posto e bonariamente uniti dall'unico interesse che al momento più premeva, ovvero il collegamento tranviario con gli altri Castelli e, soprattutto, con Roma. E il mito di questo vinello delicato, impossibile da trasportare senza che perda il suo gusto corposo, sconosciuto ai romani nel suo vero effetto sul palato, è forse il più forte dei richiami che il tram riesce a soddisfare senza troppa difficoltà, trasportando orde di gitanti che vanno poi ad affollare le frasche allo aperto dove il vino si può consumare fresco di grotta, una temperatura non riproducibile in frigorifero ma prodotta naturalmente nei grottini scavati nella roccia tufacea, magari accompagnato da una buona dose di porchetta che va ad imbottire soffici e fragranti ciriole, o anche dalle pepatissime coppiette di cavallo.

 
 

Una motrice serie 30 con rimorchio "110", composizione tipica dei primi tempi di esercizio tranviario. Immagine di un piccolo mondo antico ormai scomparso.

 
   
     
 

   La gita ai Castelli diviene ben presto una moda, una tradizione che viene immortalata in una famosa canzone che Pino Silvestri, nel 1926, presenta al festival che si teneva in occasione della festa di S. Giovanni, la notte romana delle streghe, quando decine di castellani scendevano a Roma più che altro per farsi una scorpacciata di lumache: e Silvestri immagina la sua canzone come una carrellata dei vari paesi dei Castelli visti magari dal secondo piano del tram, sottolineandone i richiami turistici o le particolarità, le tradizioni vere o inventate alla bisogna a partire  dalla mitica sagra dell'Uva nata nel 1925 dalla fantasia del poeta romaesco Leone Ciprelli...

 

                              lo vedi, ecco Marino, la sagra c'è dell'uva

  funtane che danno vino, quant'abbondanza c'è...

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cantava il Silvestri esattamente un anno dopo, forse dopo aver goduto in prima persona del generoso getto della fontana dei Mori che da varie cannelle consentiva di riempire bicchieri su bicchieri di bianco o di rosso: il tram portava centinaia di persone a godersi quella festa a metà tra ricorrenza religiosa e sagra paesana, riportando a Roma un orda di umbriachi che a malapena si reggevano in piedi all'interno della vettura o che, se si erano conquistati un posto a sedere, si sprofondavano nel sedile russando come contrabbassi, complice il ballonzolare incerto del tram che finiva per far prendere il sopravvento alla sonnolenza.

   Sempre il tram aveva fatto conoscere la tradizione dell'Infiorata di Genzano, tramandata fin dal 1778 secondo un rituale pare sempre uguale, allegro come i colori e il profumo dei petali che andavano a comporre splendidi quadri lungo le vie Livia e Sforza, dove ancor oggi passa la processione del Corpus Domini, trasformando una tradizione prettamente locale in un evento di massa che ancor oggi richiama migliaia di turisti italiani e stranieri. E sempre a Genzano, scendendo verso il lago, si potevano ammirare le navi dell'imperatore Caligola riportate alla luce dai fondali del lago di Nemi nel 1931, un monumento unico nel suo genere, purtroppo distrutto dal teppismo di un reparto tedesco nel 1944, sul quale si era costruita una sorta di leggenda ma che si sapeva benissimo esistere se 5 anni prima il Silvestri poteva cantare

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                                       sotto quel lago un mistero ce stà

de Tibberio le navi so l'antica civirtà

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   Con l'arrivo del tram, e quindi con l'invasione dei "forestieri" che non disdegnano di trovare una stabile dimora nella quieta cornice di questo o quel paese, delle famiglie che magari vanno a trascorrervi le vacanze, ogni centro abitato cerca di indossare un abito migliore: se non esiste un appuntamento vecchio o nuovo da pubblicizzare ogni comune cerca di valorizzare al meglio l'ambiente cittadino, magari rifacendo le facciate dei palazzi o ricavando un giardinetto da un angolo morto della strada comunale ancora priva di traffico automobilistico, non di rado consegnando una villa storica - magari situata in un punto panoramico - ai momenti di relax degli adulti e al gioco festoso dei ragazzini: ogni anno, poi, la ricorrenza del santo Patrono diventa sempre più ricca di appuntamenti, si contorna di piccoli spettacoli musicali, di giochi, magari si organizza una lotteria con premi non tanto pretenziosi, più che altro per il semplice gusto della partecipazione che attirerà ancora per molti anni persone certo non abituate a lotterie miliardarie o a premi di enorme valore. 

   Un impostazione del tram unicamente in funzione delle esigenze gitaiole e non solo dei romani, quindi, e ne fa fede l'orario delle corse del 1909, dove troviamo le ultime partenze da Roma attorno alle 20 e dagli estremi della rete di allora (Genzano e Rocca di Papa), alle 22: un cambiamento in corso d'opera che diede adito a lunghi contenziosi tra la società concessionaria e i comuni dei Castelli, specie quelli che dovettero impegnarsi direttamente per far si che la diretta Roma-Albano vedesse la luce, e questo perché - potrebbe anche apparire ovvio ma è giusto dirlo - i castellani non è che disdegnavano di scendere a Roma, alla scoperta di un mondo per loro completamente nuovo.

   La nuova dimensione economica dei Castelli, il riscatto sociale, l'affrancamento da piccole e grandi miserie legate all'isolamento, mutarono profondamente usi e costumi magari consolidati da secoli e secoli di giornate praticamente tutte uguali, minate da una monotonia forse non vissuta come un imposizione e di tanto in tanto spezzata dalla visita di qualche personaggio importante, come l'alto prelato che interviene ai festeggiamenti del santo Patrono o il burocrate che viene ad accertarsi che tutto funzioni bene negli uffici del Comune: l'arrivo delle tranvie, adattate spesso a forza in un tessuto urbano concepito per i pedoni e per qualche carretto a trazione animale, tollerate nello sconvolgimento che operano nel solo nome della pubblica utilità, lascia soltanto a qualche popolano irriducibilmente conservatore o che non può permettersi la pur modica spesa del biglietto a guardare con diffidenza, magari con un velo di tristezza sconsolata, le vetture che portano e riportano i loro carichi di curiosità, di piccole e grandi speranze lavorative, magari di ragazzi che possono da un giorno all'altro ambire, non di rado con grossi sacrifici economici, all'istruzione superiore di un Liceo romano o veliterno (e l'istruzione era un lusso ben più gravoso di quanto non lo sia oggi).

   La rivoluzione fu davvero epocale, mise in allarme gli strati alto borghesi e nobiliari che continuavano a dettar legge alle popolazioni che potevano da un giorno all'altro sfuggire al loro controllo, alle imposizioni che potevano permettersi a causa di un sistema elettorale che riservava il potere di voto e il diritto di essere eletti in base al censo, ovvero alla ricchezza. La restaurazione illuminata di Pio VII, che nel 1816 aveva di fatto imposto ai baroni della Chiesa la rinunzia ai diritti feudali sui paesi per restituirli all'ordinaria sovranità dello Stato, giungeva col tram ad un completamento che consentiva la liberazione dei cittadini dalle ultime imposizioni.

   L'Italia di allora, del resto, era tutt'altro che una democrazia. Nell'ordinamento del Regno, infatti, sopravvivevano retaggi napoleonici come il Prefetto che era un vero e proprio agente al servizio del Governo nelle province, e che per legge poteva annullare le deliberazione degli organi elettivi, rimuovere Sindaci o Con- siglieri con la sola motivazione che non fossero allineati al Governo centrale o che a quest'ultimo non fossero graditi. Il popolo era di fatto abbandonato alle proprie miserie e ad un ignoranza cui nessuno voleva mettere mano. Il Parla- mento era composto per metà dall'espressione diretta del notabilato al potere e per l'altra metà dalle nomine dirette del Re, e sarà soltanto il regime Fascista, il cui capo si era comunque formato nel migliore socialismo rivoluzionario, che in- vertirà una tendenza comunque dura a morire, che purtroppo sopravvive anco- ra oggi. Si pensi, per avere un idea della reale portata della rivoluzione tranviaria, che un politico come Giovanni Giolitti, deus ex machina della politica italiana fino all'avvento di Mussolini, poteva scrivere ancora nel 1908 che

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"... l'Italia è uno dei paesi in cui la media dei salari è più bassa, ma è il primo paese del mondo per le imposte che colpiscono i generi di prima necessità. Pensate che specie di sofferenze producono in chi ha due o tre lire al giorno per mantenere sè e la famiglia, il dazio consumo, la tassa sul grano, la tassa sul sale, la tassa sul petrolio e tutto il sistema protettivo nostro, che fa rincarare enormemente ciò che è necessario alla vita [...] Quando qualche amministrazione comunale per rendere possibile la frequentazione delle scuole, ha pensato di dare ai bambini poveri che la frequentano un pezzo di pane, quest'idea è apparsa rivoluzionaria..."

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   Il popolo delle campagne, che poteva muoversi alla scoperta del "mondo" da un giorno all'altro, senza dover spiegare ad alcuno i motivi dei suoi spostamenti, andò incontro ad una fondamentale ed inconsapevole maturazione. Già l'uso del le ferrovie non richiedeva più la compilazione di domande circostanziate e la dotazione di biglietti che recavano la descrizione minuziosa del viaggiatore (biglietti che dovevano essere restituiti al termine del viaggio...), ma le soverchie complicazioni che ancora si incontravano utilizzando i treni delle FSR o della Mediterranea vennero definitivamente a cadere con gli ultimi controlli che ancora sopravvivevano alla caduta del potere temporale dei Papi.

 

Il capolinea tronco di Valle Oscura, ai piedi della prima funicolare ad acqua di Rocca di Papa. Non sono ancora sorti i piccoli edifici di servizio che caratterizzeranno in seguito questo impianto.

 
   
     

   I castellani, quindi, scendevano volentieri a Roma, e numerose cronache dell'epoca ci informano che le primissime corse del mattino, quelle che partivano tra le 5 e le 5.30 dai Colli Albani, scaricavano a San Giovanni e a Termini, laddove la rete condivideva il binario con le linee urbane della SRTO e della neonata AATM (la futura ATAC), centinaia di persone che nella grande città lavoravano o studiavano: un giovane castellano, addirittura, ha raccontato all'autore delle presenti note che il suo bisnonno dovette affrontare, giovane studente ginnasiale, il razzismo dei ragazzi bene di Roma che affollavano lo storico liceo "Visconti" al Collegio Romano, dove si presentava al mattino vestito in semplici panni popolani con al seguito libri, quaderni e un panino imbottito con una povera frittatina di un paio di uova, ma nonostante le prevenzioni della borghesia dominante, che pure dal tram ricavava di che vivere elettoralmente, ed indirettamente per suo merito, i paesi dei Castelli poterono tuffarsi d'improvviso nella modernità, porre un rimedio alla piaga dell'analfabetismo per avviare i ragazzi a prospettive migliori della vita dei campi; vi fu un importazione di manodopera che si tradusse, nel concreto, in fondamentali apporti nel campo di un artigianato genuino, sviluppatosi nel tramandare di padre in figlio piccoli e grandi segreti di questo o quel mestiere, ma anche nell'espansione di una città che iniziava a svilupparsi oltre il confine delle mura e che richiedeva un numero sempre maggiore di operai cui la città stessa non disponeva.

 
(1) Cfr "Binari sulle strade intorno a Roma" op. cit. -  Come i binari si posero sulle strade
 

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