[...continua]
"Dici che Renko ha qualcosa che lo disturba" chiese infine.
"Si" confermò la trill, forse c'era una speranza.
"Hai provato a chiedere a lui?" chiese il vulcaniano, con un tono di voce che era intriso di logica.
La ragazza scosse la testa e trasse un sospiro: "Senti, se proprio non vuoi dirmi nulla..."
"Ti assicuro che non dipende da me."
"Non importa. Se proprio non vuoi dirmi nulla ti chiedo solo una cosa." La ragazza fece una pausa scenica per sottolineare quanto tenesse che la sua richiesta fosse soddisfatta. "Durante il giorno tu hai più occasioni di me di vederlo, so che alcune lezioni le avete in comune. Ti chiedo solo di tenermelo d'occhio."
Iris Bi si alzò dal tavolo e salutò il vulcaniano con un cenno del capo, senza parole. Mentre si dirigeva verso la porta dell'alloggio indirizzò a Vaarik un'ultima frase, volgendo verso di lui solo parte del proprio profilo.
"Se non credi a ciò che ti dico, fammi almeno questo favore."
Vaarik rimase seduto per qualche minuto fissando prima la porta e poi la sua tazza di quasi tevesh replicato. Non aveva notato nulla di strano nel comportamento di Renko semplicemente perché non si erano frequentati in quei due giorni in cui la loro vita sembrava essere tornata alla normale routine. Aveva addotto a questo scuse di esami ed impegni accademici ma in realtà non era poi così indietro per quel che riguardava la quantistica interfasica. Forse non era tanto ansioso di frequentare il resto del gruppo perché la loro presenza gli avrebbe immancabilmente portato alla mente l'esperienza nell'Universo Ferengi.
[...]
"Ho già dovuto fare una fatica dell'anima per adattarmi a vivere in un mondo come quello della Federazione, prova a immaginare cosa voglia dire vivere qui!" Foster glielo aveva praticamente gridato in faccia. "Qui sembra che nessuno voglia capirlo, ma è chiaro che ormai non possiamo fare niente! Niente! Non ti rendi conto che la cosa ci è sfuggita di mano? Siamo feriti, stanchi, stremati, prigionieri di un pazzo furioso che si diverte a giocare al gatto e al topo e tu mi vieni a dire che dobbiamo organizzare un piano! Ho paura che nella tua ossessione di razionalizzare tutto sei andato davvero un po' oltre, Vaarik. Questa volta siamo davvero nella merda, amico, e ci siamo dentro fino al collo!"
[...]
Le parole di Paul riecheggiarono nei suoi ricordi, riportate in vita dalla memoria di Vaarik senza che le venisse accordato il permesso dalla parte razionale di sé. Si portò le mani al colletto, nel punto dove Paul l'aveva afferrato per strattonarlo. Quanto era andato vicino, in quel momento, a perdere il controllo? In barba a tutto il proprio allenamento vulcaniano.
All'improvviso, Vaarik non fu più tanto certo di essersi lasciato l'intera faccenda interamente alle spalle. Poteva benissimo conviverci, era vero, ma se iniziava ad analizzare il suo comportamento di quegli ultimi giorni ne deduceva che, di sicuro, non gli piaceva ripensarci.
Per la prima volta da che era tornato, il vulcaniano si chiese come gli altri, Foster, Dalton, Renko e Ripley, stessero reagendo agli ultimi avvenimenti. Finora non aveva fatto altro che pensare a sé. Del resto non poteva essere biasimato, Foster e Dalton, per come li conosceva, avevano di certo le spalle larghe, in quanto a Ripley... non si poteva certo dire che sprizzasse fragilità. E poi lui non era il loro baby-sitter, non era tenuto a sentirsi responsabile per loro, o, almeno, non si sentiva responsabile nei confronti di Paul e Luke... però per Renko era diverso. Malgrado Renko, Vaarik, Dalton e Foster fossero quasi coetanei, il frullato, a causa della sua esuberanza e della sua mancanza di cinismo, veniva in qualche modo trattato come un fratellino minore dagli altri.
Già... esuberanza e mancanza di cinismo. Come potrebbe reagire, Renko, agli avvenimenti degli ultimi giorni? Vaarik si pose nuovamente la domanda solo per accorgersi di non avere nessuna risposta a disposizione. Lui semplicemente non ne aveva la minima idea. Forse la preoccupazione della trill non era esagerata, né fuori luogo. Di certo non era infondata e il vulcaniano lo sapeva, sapeva anche il perché, su questo lei aveva visto giusto. Si trattava solo di capire fino a che livello Renko si sentisse ancora coinvolto. Se fosse riuscito ad uscirne o se ne fosse ancora dentro.
Vaarik afferrò saldamente la tazza di tevesh e ne ingoiò quel poco che era ancora rimasto. Se avesse continuato ad applicare teorie psicologiche così alla spicciolata... si sarebbe ridotto come il consigliere Memok. Non poté fare a meno di trattenere la frecciata. Le sue labbra si incresparono in una smorfia mentre già si immaginava con un vecchio cappello in testa.
Basta così per oggi. Il vulcaniano si alzò dalla sedia solo per accovacciarsi di nuovo nel suo angolino della meditazione. L'ultimo pensiero che gli attraversò la mente, prima che questa fosse indirizzata su altri binari, fu che non era poi una così cattiva idea tenere un occhio puntato su Renko, nei prossimi giorni.
Il museo aveva ricreato accuratamente gli ambienti fin nei minimi dettagli, tanto che le famigliari paratie avevano lasciato il posto a muri di mattoni e cemento.
"La Facoltà ha ricostruito gli interni che state ammirando basandosi su vecchi documenti. Il sistema di detenzione, fino al ventunesimo secolo, era finalizzato più all'imprigionamento e conseguente allontanamento dei trasgressori dalla società, che alla riabilitazione..."
Uno degli studenti della Facoltà di Storia Terrestre stava facendo da cicerone al gruppo di cadetti, era il pegno che doveva pagare per poter completare il proprio corso di studi. Il Museo era stato allestito dall'Università che, sotto stretta sorveglianza da parte del corpo docente, l'aveva dato in gestione ai propri studenti. In questo modo gli aspiranti laureandi potevano farsi almeno una parziale idea del tipo di lavoro che li attendeva in futuro.
"...In realtà sono stati ritrovati anche numerosi documenti dimostranti che, al tempo, si era provato a studiare metodi di riabilitazione per i criminali, ma il problema risultò essere oltre la portata delle forze dell'ordine ed il risultato lo potete vedere qui, in questo museo..."
Mentre la guida continuava a snocciolare la sua tiritera imparata a memoria, il gruppo di cadetti avanzava lungo un corridoio contornato da celle. I loculi offrivano ai prigionieri poco spazio vitale in cui muoversi. Alle pareti erano attaccate a volte una, a volte due brande per il pernottamento; le porte erano costituite da sbarre; parlare di servizi igienici... una contraddizione in termini.
Renko camminava a testa bassa, anche quella notte aveva dormito solo poche ore e adesso sentiva un vago senso di insofferenza. Appena aveva preso sonno, infatti, l'incubo si era riaffacciato e l'unico modo per spazzarlo via era stato quello di svegliarsi e restare sveglio. Era tornato nuovamente in palestra ma non aveva trovato nessuno dei compagni con cui aveva giocato a quel buffo gioco, Gino Pilotino, la notte precedente. Così aveva deciso di optare per un allenamento semplice ma che richiedeva concentrazione, passando le ultime ore della notte ad eseguire katà, fra evoluzioni e calci tirati all'aria. L'importante era non farsi distrarre o il suo pensiero sarebbe ricaduto di nuovo verso l'incubo e verso quella sensazione opprimente a cui non sapeva bene dare un nome ma che lo stava angustiando da quando era ritornato dal Pianeta del Sempre.
Lo scenario che aveva ora tutt'intorno, il corridoio lungo come una sentenza, le celle, le sbarre, gli dava un senso di claustrofobia che non aiutava certo a migliorare il suo stato d'animo.
Qualche solerte istruttore dell'Accademia aveva brillantemente pensato di organizzare delle gite istruttive ai vari Musei della città. Questa visita in particolare sembrava essere cara a Kharla, la vulcaniana colonnello dello SFIC. L'istruttrice si era infatti convinta che un'infarinatura storica sui metodi detentivi delle varie civiltà avrebbe apportato un qualche back ground culturale in arricchimento al corso di studi dei cadetti della sicurezza.
E così ora Renko si trovava qui, malgrado la stanchezza ed il senso di inquietudine che gli dava quel posto. Prima avevano visitato una zona più ampia, dove le celle erano camerate da sei, otto posti per volta e si affacciavano su un quadrato aperto che spaziava per tutti e tre i piani. Ma questo nuovo settore, braccio della morte l'aveva chiamato la guida, sembrava voler fiaccare qualsiasi illusione di speranza o libertà.
Il cadetto provò l'impulso di allungare il passo per uscire il prima possibile da quel luogo ma la fila di cadetti che aveva davanti a sé non glielo permetteva, doveva proprio sorbirsi tutto il percorso. Una bella lezioncina su cosa le persone erano in grado di farsi a vicenda.
-Dopo la pratica ecco la teoria.- Il pensiero gli attraversò la mente senza essere stato invitato, proiettando i suoi ricordi all'Universo Ferengi e alla piccola cella dove era stato rinchiuso insieme a Vaarik, Ripley e Paul. Scrollò la testa per liberarsi dai ricordi. Sebbene fosse tornato già da giorni, i suoi pensieri, in un modo o nell'altro, finivano sempre per scivolare nell'Universo Ferengi. Si era stancato di questo e si era stancato anche di essere stanco.
Renko si voltò verso il fondo della fila di cadetti. Anche se l'ambiente circostante non era di suo gradimento, questo non significava doversi fare l'intero percorso con gli occhi incollati al pavimento. A questa visita non partecipava solo il corso della sicurezza ma erano presenti anche numerosi cadetti di altre sezioni. Alcuni si guardavano intorno con vivo interesse, altri con sopportazione e noia. Un bisbiglio continuo pervadeva la fila, attorno a lui i suoi compagni chiacchieravano riguardo i programmi per la serata, gli esami da affrontare, i corsi da seguire. Altri facevano addirittura commenti attinenti al museo, alle celle, al passato e alla storia.
Chiacchierare... chissà perché non ci aveva pensato prima, probabilmente la stanchezza... aveva troppe ore di sonno arretrato... chiacchierare lo avrebbe fatto sentire meglio. Rallentò il passo per unirsi ad un gruppetto di cadetti che conosceva quando, improvvisamente, si sentì osservato. Senza una precisa ragione volse lo sguardo oltre la spalla per incontrare quello di Vaarik. Il vulcaniano si trovava distante, era parecchio indietro nella fila e lo stava guardando. Renko non sapeva nemmeno che avrebbe partecipato alla visita al museo, l'amico non lo aveva avvertito.
Lui, Vaarik, Paul e Luke avevano deciso, di comune accordo, di non parlare dell'avventura nell'Universo Ferengi nemmeno fra di loro fino a che le investigazioni del Dipartimento Temporale non fossero state concluse. Era logico, assennato, ma Renko pensò che questo era troppo. Tutti sapevano che erano un gruppo di amici affiatato, se avessero cominciato ad evitarsi senza particolari ragioni avrebbero dato nell'occhio. Tuttavia decise di rispettare lo strano comportamento del vulcaniano, così gli fece solo un cenno di saluto con la testa, che Vaarik ricambiò, e si voltò nuovamente avanti, inserendosi nella conversazione fra due suoi compagni di corso, un andoriano di nome Venur e un acamariano di nome Coltac.
Vaarik vide Renko scuotersi dal torpore che sembrava averlo pervaso ed avvicinarsi a due cadetti, un andoriano e un acamariano che lui aveva presente solo di vista ma che evidentemente l'ibrido conosceva.
Il vulcaniano aveva deciso di partecipare alla visita solo all'ultimo momento, non era particolarmente interessato a questo tipo di museo ma poi si era risolto quando aveva scoperto che l'esperienza gli avrebbe fatto guadagnare qualche punto extra sul curriculum accademico. Aveva dovuto auto convincersi che un giro turistico in un'antica prigione terrestre non avrebbe potuto poi fargli tanto male e si era unito ai visitatori. Finora il tour era stato solo in parte interessante, nello Specchio aveva visto celle di detenzione tali che, al confronto, questa prigione sembrava un albergo a cinque stelle.
Quando aveva notato Renko nel gruppo davanti al proprio si era mosso per andarlo a salutare ma poi qualcosa l'aveva bloccato. Forse erano state le parole della trill, o forse l'inusuale atteggiamento del suo amico. Aveva così deciso di restare indietro ad osservarlo con calma. Vaarik poteva notare i segni della stanchezza nel silenzio e nelle movenze del ragazzo. La trill gli aveva accennato al fatto che Renko non era più lui da quando erano ritornati dal Pianeta sull'Orlo Sempre ma il vulcaniano, fra le indagini ed il resto (ed aveva già fatto una profonda analisi su cosa fosse questo resto), non aveva ancora avuto occasioni per frequentare il gruppo.
Quattro giorni. Erano passati solo quattro giorni dal loro viaggio nell'Universo Alternativo Ferengi. Non era stata una bella esperienza e Renko era stato quello che l'aveva presa meno bene, al contrario dei compagni, più navigati in queste cose. Tuttavia la faccenda si era risolta in maniera soddisfacente. La linea temporale era stata ristabilita e tutto era finito. Chiuso. Poco funzionale e quindi illogico, continuare a pensarci. O, almeno, questo era ciò che avrebbe sostenuto Vaarik se qualcuno glielo avesse chiesto, ma quando era stato sé stesso a porsi la questione, qualche dubbio era riaffiorato ancora. A maggior ragione quindi riguardo a Renko, probabilmente non aveva superato del tutto l'esperienza e forse gli ci voleva un po' più di tempo per riprendersi.
Vaarik stava osservando le spalle rigide del suo amico, cercando conferme, quando vide Renko riscuotersi ed inserirsi nella conversazione fra gli altri due cadetti, con i quali il frullato prese subito a scambiare battute. Vaarik vide l'acamariano ridere e mimare qualcosa con la mano. Grazie al suo fine udito da vulcaniano riuscì a capire che stavano parlando di un qualche gioco da farsi in palestra. Renko sembrava essere ritornato il solito di sempre, a vederlo ora non si sarebbe mai detto che potesse avere crucci per la testa.
Vaarik si tranquillizzò e spostò la propria attenzione sulla spiegazione che la guida stava elargendo a malavoglia circa il sistema di detenzione in uso nel XX secolo terrestre. Probabilmente Renko era soltanto più stanco del solito. Il vulcaniano sapeva che il ragazzo aveva partecipato a sessioni notturne in palestra e forse, semplicemente, non era riuscito a riposare in maniera adeguata.
Mentre la fila procedeva per un lungo corridoio che la guida aveva denominato il miglio, un terrestre aveva affiancato il vulcaniano iniziando a blaterare cose riguardo il passato del proprio pianeta. Dai discorsi del cadetto, peraltro non sollecitati, si arguiva che questi si vergognava che un vulcaniano assistesse a quello spettacolo. Vulcano, infatti, aveva già raggiunto la pace e l'unione planetaria quando i terrestri erano ancora impegnati a tentare di sterminarsi a vicenda durante la terza guerra mondiale. Mentre il monologo dell'umano scivolava pian piano sul paragone fra questo museo prigione ed i civili e logici metodi utilizzati già da secoli su Vulcano per contenere la criminalità, Vaarik non poté fare a meno di ripensare alle camere di tortura ed agli agonizzatori tanto in voga nell'Impero e non riuscì ad esimersi dall'inarcare un sopracciglio. Tuttavia non disse una sola parola all'inopportuno cadetto, nessuno sapeva che lui veniva dall'Universo dello Specchio.
Ora il vulcaniano aveva due seccature, la prima era quella di liberarsi dall'invadente terrestre che tentava di coinvolgerlo in una disquisizione socio-storica. L'altra era trovare una scusa logica e plausibile con cui spiegare a Renko perché si fosse tenuto a distanza invece di andare a salutarlo subito.
"È tutta una questione di polso" stava dicendo l'acamariano.
"Ma che polso e polso, i riflessi, ecco, quelli sono importanti" gli rispose l'andoriano.
Renko stava discutendo con Venur e Coltac riguardo al gioco che avevano fatto la notte precedente in palestra. Quel Gino Pilotino dalla meccanica così semplice eppure così accattivante allo stesso tempo.
"Si, però bisognerebbe fare un altro incontro" propose Renko. "Solo in questo modo potremmo capire chi ha ragione. Perché non organizziamo un torneo?"
"È una parola..." sospirò Coltac, l'acamariano, "durante il giorno non se ne parla nemmeno, non credo che a Sherman garberebbe che passassimo la sua ora di lezione chinati su di un vecchio gioco."
"Non è detto" scherzò Renko. "Un gioco in cui bisogna abbattere basi stellari... già mi vedo il briluccichio nei suoi occhi!"
"È vero, per me se lo è replicato lui, quel gioco, è una sua idea. Ecco da dove salta fuori!"
"No, non gli avrebbe dato un nome tipo Gino Pilotino" contestò Renko. "Lo avrebbe chiamato qualcosa tipo... Vendicator, oppure, Io sono la Morte Incarnata. Una cosa del genere."
"Ah, è vero, è più da Sherman..." ammise l'andoriano, per poi aggiungere: "A proposito, Kharla avrebbe dovuto portarselo dietro."
"Perché? Per farlo famigliarizzare con il concetto di prigioniero?" concluse Renko, che aveva capito dove voleva andare a parare Venur. Si trattava infatti di una vecchia battuta che girava da tempo sull'istruttore, fin da prima che loro tre arrivassero in Accademia.
Parlare di quel gioco naïf e scherzare sui loro insegnanti aveva fatto ritrovare il buon umore a Renko, facendogli dimenticare il malessere psicologico provato solo pochi minuti prima. Anche la visita alla prigione ora era più sopportabile. Il corridoio era sfociato in una stanza con uno scranno appoggiato ad una parete e qualche fila di sedie più piccole posate di fronte. Come se lì si fossero dovuti accomodare degli spettatori. Nel muro a cui era appoggiato lo scranno c'era una spessa vetrata e, oltre ad essa, una stanza molto più piccola e di forma rettangolare che ospitava degli interruttori.
"... ma c'erano anche vari altri modi, oltre a questo, per eseguire la sentenza..." stava intanto spiegando la guida "...per avvelenamento da gas, tramite iniezione letale... in altri continenti era in uso un congegno chiamato ghigliottina con cui veniva praticato il taglio della testa."
"Che cosa simpatica..." commentò Coltac, calcando l'accento sarcastico.
Nel frattempo, lo studente che fungeva da cicerone, una volta finita la propria tiritera, si era ritirato in disparte per lasciare il tempo ai visitatori di dare un'occhiata più approfondita alla stanza, senza preoccuparsi che i cadetti che ancora vi stavano entrando non avessero sentito per intero la spiegazione.
Approfittando dell'occasione, il gruppo si era così sparpagliato, alcuni studiavano le foto e i documenti esplicativi che erano stati appesi alle pareti; un paio di studenti di ingegneria erano entrati nella stanza degli interruttori e stavano discutendo animatamente, probabilmente commentando la vecchia tecnologia utilizzata; altri si erano semplicemente seduti sulle seggiole degli spettatori per riposarsi e stavano chiacchierando di tutt'altro.
Renko era fra questi ultimi, continuava a conversare con i propri amici ignorando palesemente l'ambiente circostante fino a quando...
"Friggo, friggo, friggo!! Ah, ah, ah."
Il grido era arrivato dalla direzione in cui era posizionato lo scranno. Un cadetto, visto che la guida non era nei paraggi e cogliendo la buona occasione, vi si era seduto. Forse l'aveva fatto per sperimentare come fosse la sensazione e poi una cosa aveva tirato l'altra.
Lo scranno in realtà non era una sedia qualsiasi bensì uno di quei marchingegni di morte chiamato sedia elettrica che in passato serviva per applicare le sentenze capitali. Il cadetto era un argeliano e si stava dimenando sulla Sedia imitando come meglio poteva gli spasmi di una crisi epilettica. Ridendo come un matto, stava facendo finta di prendere una scossa elettrica mortale. Attorno a lui, un capannello di quattro cadetti lo sosteneva ridendo allo scherzo e facendo battute che probabilmente trovavano esilaranti in quanto ogni frase detta provocava ulteriore ilarità.
Lo scherzo durò fino a che il cadetto sulla sedia elettrica non fu sollevato di peso e sbattuto contro al muro.
L'argeliano, non aspettandosi una conclusione simile, rimase momentaneamente con lo sguardo dritto davanti a sé, l'espressione interdetta. Non aveva avuto tempo di reagire mentre veniva strattonato via dalla sedia e sballottato contro la parete. Non gli era sfuggito alcun suono nemmeno nell'attimo in cui l'impatto della propria schiena contro il cemento gli aveva fatto tremare le ossa. Quando però ebbe avuto modo riprendersi non si fece più di tanti scrupoli ad esternare il proprio disappunto con qualche metafora in lingua madre.
"Qhrednik xylaussh!" Questa fu la parte che il traduttore universale, seguendo una ben precisa linea politicamente corretta, non trasformò in galacta. Le frasi iniziarono ad avere un qualche senso più o meno dal punto: "Ma sei mebrimiclocit? Che c'zoaz ti è preso?"
Renko non batté ciglio, stava ancora tenendo l'argeliano per il bavero. La propria postura era calma e decisa, mentre l'espressione del viso non lasciava trasparire alcuna emozione se non ferma freddezza.
"Ti sembra una cosa divertente?" chiese solo, e il suo tono di voce aveva un timbro caldo ma senza inflessioni.
"Ma chi sei? Che vuoi?" Ottenne come risposta.
Venur e Coltac si erano avvicinati a Renko, chiedendosi se poterlo toccare o meno. Se potessero arrischiarsi a mettergli una mano sulla spalla per fargli almeno lasciare la presa ed allontanarlo dall'argeliano. Gli amici di quest'ultimo stavano anche loro fissando la scena, tentando di capire cosa stesse effettivamente succedendo, prima di buttarsi in una mischia. Cosa che avrebbero fatto di lì a poco se un suono di tacchi dal ritmo autoritario non avesse annunciato l'entrata di Kharla nella sala.
L'istruttrice era rimasta in coda, chiudendo il gruppo dei visitatori ed assicurandosi che nessuno si attardasse o finisse disperso per il museo.
Quando Renko sentì il rumore dei tacchi varcare la soglia, lasciò il bavero dell'argeliano e si allontanò di qualche passo. I cadetti si ricomposero, perfino ad alcuni che non avevano preso parte al piccolo alterco venne da lisciarsi l'uniforme, così, tanto per complicità.
Per quanto non avesse assistito alla scena, Kharla non aveva certamente bisogno di scomodare il suo fine udito vulcaniano per sentire la tensione crepitare nell'aria. Si diresse verso il gruppetto che stava stazionando accanto alla sedia elettrica, era quello il punto focale del qualcosa che non quadrava.
"Tutto bene, ragazzi(?)" Chiese con un tono di voce tale da rendere difficoltoso capire se stesse dando un ordine o se si stesse sinceramente interessando del benessere dei cadetti.
"Stavamo osservando la sedia" rispose prontamente l'argeliano. "Ma direi che l'intero ambiente è... inquietante."
Il cadetto aveva parlato tenendo il viso rivolto verso lo scranno, senza guardare Kharla direttamente in faccia. L'istruttrice lanciò un'occhiata a Renko, che però rimase in silenzio.
"Concordo con la valutazione" ammise la vulcaniana. "Del resto il nostro compito è fare in modo che certe cose facciano parte del passato. Comunque, se avete bisogno di spiegazioni o volete parlare riguardo a qualcosa, sentitevi liberi di chiedere."
Detto questo, l'istruttrice girò sui tacchi ed iniziò a radunare i cadetti per continuare la visita. Insegnava all'Accademia da troppo tempo per non accorgersi che c'era stato un alterco, ma proprio grazie alla sua esperienza aveva deciso di non insistere e lasciare che i ragazzi risolvessero da soli la situazione, li avrebbe aiutati a maturare. Per quel che la riguardava, si sarebbe semplicemente limitata a tenere un occhio aperto per assicurarsi che la cosa non finisse per degenerare.
Appena Kharla si fu allontanata, l'argeliano fissò Renko, sfidandolo a fare altro, ma il cadetto non ricambiò lo sguardo e gli voltò la schiena, tenendo la testa leggermente china e sperando di comunicare, tramite questa gestualità atavica, che per lui la cosa sarebbe finita lì se l'altro avesse accettato quelle silenziose scuse.
Renko si riunì nuovamente ai due cadetti con cui stava parlando in precedenza ma, ormai, un lieve sentore di imbarazzo era sceso sul suo percorso.
Vaarik poté udire il tentativo di supporto da parte di Coltac: "Neanche a me faceva un gran che ridere."
Se Kharla si era persa lo spettacolo e aveva concesso il beneficio del dubbio, c'era invece un altro vulcaniano che aveva visto, e stava ora fissando attentamente la schiena di Renko mentre usciva dalla sala.
Iris Bi era seduta sul divanetto, aveva sentito il bisogno di stendersi un attimo. Con gli occhi chiusi stava ascoltando la morbida melodia di un flauto. Non aveva intenzione di addormentarsi ma, man mano che permetteva al proprio corpo di rilassarsi, una sensazione di torpore invadeva anche la sua mente.
Aveva appena salutato Renko. Per il breve tempo in cui si erano incrociati, il comportamento del ragazzo non aveva avuto nulla di strano. Avevano chiacchierato per un po', finché lui, a dimostrazione di una qualche tecnica da eseguirsi assolutamente sotto il tavolo, non si era messo a parodiare una delle sue buffe meditazioni per strapparle una risata. Era allegro, sembrava essere tornato quello di sempre, sembrava... ma lei aveva troppi ospiti sulle spalle per potersene convincere del tutto.
La musica la stava trasportando pian piano... piano... piano, cullandola fino all'assopimento. Il trillo del campanello la fece sobbalzare, riportandola bruscamente alla realtà.
Chi poteva essere a quell'ora?
"Computer, cessare musica" ordinò alla stanza vuota, poi si stiracchiò alzandosi di malavoglia dal divano. "Avanti."
Vaarik stava percorrendo il corridoio con il suo solito passo misurato e regolare. Una ventina di metri ed una svolta lo separavano dall'alloggio a cui si stava recando ma, anche a quella distanza, il suo fine udito da vulcaniano gli permise di sentire il doppio sibilo delle porte che si aprivano e chiudevano.
Quando arrivò all'incrocio fra i due corridoi rallentò per sbirciare da dietro l'angolo e fece appena in tempo a scorgere le spalle di Renko che si stavano allontanando nella direzione opposta.
Vaarik continuò nel suo percorso senza ulteriori indugi. Un osservatore casuale non avrebbe notato nulla di strano o di forzatamente deliberato nella sua andatura. Beh, niente di forzato escludendo la sua vulcanianità, si intende. In poche parole, il nostro osservatore non avrebbe potuto sospettare che orecchie a punta avesse rallentato il passo per evitare di incontrare qualcuno. Tanto per fare un esempio: il cadetto che era appena uscito e che ora si stava allontanando.
Vaarik suonò il campanello appena giunse davanti all'alloggio e dopo dieci secondi sentì una voce femminile che lo invitava ad entrare.
La porta scivolò di lato con il suo solito sibilo e il vulcaniano fece due passi all'interno. Ossia ricoprì la distanza minima per far sì che la porta si richiudesse alle proprie spalle, non un passo in più, come se fosse riluttante ad addentrarsi in quel territorio o, al limite, in quella missione dagli esiti incerti.
"Renko non c'è" gli comunicò la trill, saltando le formalità. "Ha un'esercitazione in sala ologrammi."
"Lo so, ne ero informato" rispose laconicamente il vulcaniano, senza aggiungere ulteriori spiegazioni.
La frase che Iris Bi stava per pronunciare le morì sulle labbra. Era qualcosa sul tipo: 'ma se vuoi fai ancora in tempo a raggiungerlo'. Si ritrovò invece a guardare Vaarik, impaziente di sentire il resto.
Vaarik, dal canto suo, si ritrovò ad analizzare la lieve sfumatura di speranza ed aspettativa sul volto della ragazza, tutt'altro che impaziente di mettere le carte in tavola.
"E...?" dovette incitarlo la trill.
Il vulcaniano non parlò, avanzò invece di qualche passo e le porse un padd.
"Difesa personale. Fra tradizione e modernità. Dissertazione teorica sulle tecniche di lotta applicate a diverse fisiologie. Corso teorico per l'orientamento alla sezione sicurezza."
Dopo aver letto, Iris Bi non poté esimersi dal guardare il vulcaniano con aria interrogativa.
"C'è una cosa che potresti fare per aiutare Renko" si limitò a dire questi.
La trill fece per socchiudere le labbra ma Vaarik la precedette: "Il patto è: niente domande" tagliò corto lui, senza esitazioni e senza pietà.
Renko stava con un gomito appoggiato al banco. Mentre le dita della mano sinistra fungevano da supporto alla fronte, quelle della mano destra giocherellavano con il Padd.
L'aula si stava ancora riempendo, i cadetti prendevano posto in attesa che arrivasse l'insegnante. Questo cadetto in particolare aveva appena trascorso un'altra notte in bianco a giocare a Gino Pilotino, ed ora la sua voglia di seguire una monotona lezione teorica di tecniche di lotta rasentava lo zero.
All'inizio del secondo anno di Accademia si era ritrovato anche questa sorpresa: corsi teorici di arti marziali. La cosa aveva lasciato basito non solo lui ma anche altri cadetti. Alcuni terrestri avevano commentato il tutto scambiandosi battute su un'antica pratica chiamata corsi per corrispondenza.
Renko controllò il cronometro sul terminale, l'orario di inizio lezione era già passato da cinquantatré secondi e Kharla non era ancora arrivata.
Quel corso era stato 'affibbiato' al colonnello dello SFIC perché solo un vulcaniano poteva prendere una tecnica di combattimento corpo a corpo e sezionarla in tante formulette, come se si trattasse di un'equazione.
Strano che il colonnello non fosse ancora arrivata, una delle icone più sentite sui vulcaniani era proprio la loro pignoleria riguardo la puntualità.
Renko allontanò il Padd da sé facendolo strisciare sul banco e si chinò sul ripiano, appoggiando la testa sulle braccia incrociate. Aveva scelto appositamente l'ultima fila nella flebile speranza di sfuggire all'attenzione vigile di Kharla in caso la doppia porzione di raktajino avesse esaurito i suoi effetti proprio nel bel mezzo della lezione.
Un minuto e ventisette secondi di ritardo.
Inaudito.
I cadetti intorno a lui stavano iniziando a mormorare, chiedendosi che fine avesse fatto l'istruttrice, teorizzando su scenari apocalittici e fenomeni atmosferici fuori stagione.
I bisbiglii furono interrotti dal sibilo della porta che si apriva. Gli studenti si zittirono immediatamente e nell'aula scese un silenzio assoluto.
Dalla propria posizione, ossia con la testa e le braccia ripiegate sul banco, Renko non poteva vedere cosa stesse succedendo ma suppose che l'insegnante fosse arrivata. Chissà che spiegazione avrebbe dato Kharla per il proprio ritardo. Sempre ammesso che ne avrebbe data una.
Eppure c'era qualcosa di inusuale, Renko lo sentì a livello inconscio tramite un leggero senso di disagio, tanto leggero che non ci fece caso più di tanto, attribuendolo erroneamente alla stanchezza.
L'istruttrice non era ancora entrata, sembrava essersi fermata sulla soglia per ispezionare l'interno della stanza prima di penetrarvi. Non era il suo usuale comportamento, normalmente sarebbe avanzata con decisione, ed il suono logico e autoritario dei suoi tacchi a spillo avrebbe riecheggiato per l'intera aula.
La curiosità di Renko stava crescendo, tanto da sormontare la stanchezza. Il cadetto stava quasi per alzare la testa e guardarsi attorno quando i suoi movimenti si congelarono e il suo sguardo rimase fisso sullo schienale del compagno di fronte a lui.
Ciò che lo aveva fatto bloccare non era altro che un rumore, un semplice rumore di passi che si dirigevano dalla soglia fino alla cattedra. Poteva udirlo più che distintamente nel silenzio tombale che ancora regnava fra i compagni.
Non si trattava di tacchi a spillo, tantomeno della familiare andatura di Kharla. Era invece l'andatura di qualcuno che camminava come se si aspettasse un attacco da un momento all'altro.
Avrebbe dovuto conoscere quel modo di incedere,
-Non puo' essere.-
dato che l'aveva già sentito altre volte
-Devo essermi addormentato di nuovo...-
in palestra e, più recentemente,
-E adesso?-
nei suoi sogni.
Iniziò a sentire qualche mormorio, qualche bisbiglìo che i cadetti vicini a lui iniziarono a scambiarsi sottovoce. Il silenzio che aveva regnato fino ad allora era un palese indizio di quanto anche loro fossero rimasti allibiti dall'identità del nuovo arrivato ma ora il chiacchiericcio era ricominciato.
Renko continuava a fissare lo schienale della sedia davanti a lui. Il tessuto con cui questo era foderato mostrava delle piccole imperfezioni, come se chi lo aveva replicato avesse voluto dare l'impressione che si trattasse di un prodotto fatto mano.
I passi si erano fermati davanti alla cattedra e si sentì il lieve clang-clang di Padd venivano appoggiati di malagrazia sulla scrivania.
Era interessante notare come dei piccoli accorgimenti del genere, come del semplice tessuto che foderava delle sedie, potesse trasformare l'atmosfera di una stanza e conferire una nota di calore a ciò che altrimenti sarebbe risultato molto più impersonale.
"Silenzio!"
Tuonò una voce maschile.
Tum (...)
Il cuore di Renko ebbe un balzo e poi si fermò. Il suo sguardo stava ancora indugiando su di un filo che, liberatosi dalla cucitura, pendeva sospeso nel vuoto. Anche il moto del filo si era congelato, arrestando il proprio tremolio, come se la lieve brezza che lo faceva oscillare non potesse ormai più disturbarlo.
Renko si rese conto che il suo muscolo cardiaco non si era fermato ma che, improvvisamente, la sua percezione del tempo era stata alterata, come se la sua coscienza avesse deciso di abbreviare gli intervalli che solitamente intercorrevano tra un pensiero e l'altro.
Gli era già successo altre volte, durante una crisi di rigetto particolarmente dura, durante i combattimenti con il Maestro, durante una seduta di torture...
-Qui dentro sta diventando affollato, Mienai Ryuu.-
La voce riecheggiò all'interno della propria coscienza, malgrado la lieve sfumatura di rimprovero, il timbro era familiare, rassicurante. Era di nuovo sui bastioni del Castello di Kyôki ed il vento della sera faceva ondeggiare l'orlo della propria tunica e quella del suo...
-Maestro!-
/Tu sei morto.../ Ma i ricordi non venivano mai soli e, ben presto,
/No, io sono sempre con te/ altri affiorarono alla sua mente.
-E la compagnia non e' un gran che- continuò la voce del suo Maestro, sovrapponendosi a quell'altra. - Le brutte esperienze, giovane Ryuu, vanno custodite gelosamente perche' ci rendano forti, ma in una scatola di alluminio trasparente dalle pareti molto spesse.
-Maestro...-
(...) Tum.
Il tempo ricominciò a scorrere con la sua velocità usuale. Tutte le parole che erano rimaste in sospeso nell'aria giunsero finalmente alle orecchie di Renko.
Il cadetto alzò lo sguardo dallo schienale per posarlo sul nuovo entrato.
L'istruttore non gli stava prestando la benché minima attenzione, in quel momento era addirittura voltato dall'altra parte e, per quanto illogico, questo fece provare una punta di indignazione al cadetto.
Renko continuò a fissarlo qualche secondo ancora. La figura dell'uomo e le sue movenze erano esattamente come le ricordava ma c'era una cosa ancora che doveva assolutamente sapere. Doveva guardarlo negli occhi, e doveva farlo da vicino. Doveva sapere se avrebbe o no scorto quella scintilla di follia e sadismo che ossessionava i suoi sogni.
Renko si alzò silenziosamente dalla sedia, mentre l'insegnante finiva il suo discorso di presentazione alla classe.
"Dunque," declamò la voce che aveva imposto il silenzio solo un secondo prima. "Per una qualche strana ragione sembra che oggi debba farvi supplenza io. Se questo sarà un bene o un male dipende solo da voi. Il mio nome è Naren Gozar, vedete di non sbagliarlo."
Gozar aveva letto la comunicazione solo qualche ora prima. Quando quella mattina aveva controllato il proprio turno di servizio era rimasto per qualche secondo a fissare lo schermo, poi era tornato a stendersi sul letto, aveva chiuso gli occhi, li aveva riaperti e si era alzato di nuovo.
Non aveva funzionato, la comunicazione c'era ancora. Ebbene sì, era veramente sveglio e, siccome era anche sicuro di non essere ubriaco, doveva prendere per vero ciò che gli diceva lo schermo.
La richiesta di supplenza era giunta del tutto inaspettata. Gozar si trovava in Accademia dietro richiesta di Sherman e, come tutte le altre volte in cui era venuto, aveva partecipato soltanto a qualche sporadico allenamento in palestra. Cosa ci faceva, allora, quella scritta lampeggiante sul proprio schermo?
<'Difesa personale. Fra tradizione e modernità. Dissertazione teorica sulle tecniche di lotta applicate a diverse fisiologie. Corso teorico per l'orientamento alla sezione sicurezza.'>
Ma a quale mente fighetta e burocrate della Federazione poteva essere venuta in mente un'idea del genere? Si chiese l'angosiano, per nulla di buon umore e per nulla contento di essere stato trasformato in un 'maestrino'.
Gozar stava avanzando a lunghi passi per i corridoi. La sua andatura era irregolare perché stava tentando di tenere in equilibrio una pila di Padd che aveva raccattato all'ultimo momento, questo nella speranza di poterli utilizzare come materiale per la lezione. Arrivato davanti alla porta dell'aula, all'istruttore balenò in testa l'idea di tirare dritto, di far finta di non aver letto la convocazione. Gli sembrava tutto così ridicolo che, per un attimo, si chiese se non fosse per caso vittima di un qualche scherzo.
Il sorriso dell'angosiano si trasformò in un ghigno mentre si baloccava con il pensiero di picchiare a sangue un qualche burocrate della Segreteria.
Gozar si posizionò sulla soglia e le porte dell'aula si spalancarono, scivolando a lato come un sipario. La prima cosa contro cui impattò fu un muro di silenzio. I cadetti si erano zittiti improvvisamente al suo apparire.
L'angosiano non poté esimersi dallo studiare il territorio prima di fare un passo all'interno, questione di abitudine o di condizionamento che fosse. Ciò che gli si parava davanti era l'archetipo dell'aula scolastica e gli fece tornare alla mente la propria giovinezza su Angosia, quando era ancora un semplice studente di architettura.
Prima della guerra.
Prima del Condizionamento.
Si diresse verso la cattedra e vi appoggiò i Padd. Un mormorio iniziava ad alzarsi da oltre la linea del nemic... ehm... dei cadetti a cui avrebbe dovuto tenere la lezione.
"Silenzio" ammonì. "Per una qualche strana ragione sembra che oggi debba farvi supplenza io. Se questo sarà un bene o un male dipende solo da voi. Il mio nome è Naren Gozar, vedete di non sbagliarlo."
'Bravo Naren, davvero perfetto' inveì una vocina dentro di sé. 'E adesso cosa pensi di fare, gli lanci una granata esplosiva?'
"Cominceremo con l'appello" annunciò l'angosiano, ignorando il piccolo grillo parlante che gli stava sussurrando all'orecchio. Quell'insetto cinico e fastidioso aveva preso a dargli sempre più problemi, negli ultimi tempi.
Gozar richiamò la lista degli studenti sul suo schermo dando fondo a tutta la nonchalanche che riuscì a raccattare. Tutto, pur di allontanare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto tenere una conferenza davanti ad un branco di cadetti ansiosi soltanto di coglierlo in fallo.
"Axc'tmlyan Dillan!"
"Presente."
Accidenti! Si era trovato in mezzo a esplosioni e colpi di phaser, avevano tentato di ammazzarlo più e più volte, poteva affrontare a viso aperto qualsiasi nemico ma...
"Azetenòr"
"Presente... e mi scusi signore..."
"Sì?"
"Si pronuncia Azètenor."
"Ancora per poco, se mi interrompe un'altra volta."
"Ah... scusi..."
...malgrado tutta la baldoria che poteva mostrare all'esterno, il solo pensiero di dover parlare davanti ad un pubblico tanto ampio, lo faceva sudare freddo. E questo lo indisponeva ancora di più.
Corsi teorici di arti marziali, poi! Che ne sapeva lui di teoria, chi l'aveva mai studiata? Tutte le sue tecniche di combattimento gli derivavano dal Condizionamento. Gozar non aveva mai imparato, gli avevano impiantato un fracco di roba nel cervello e adesso lui poteva combattere come un soldato perfetto.
Questo era tutto.
"Bastias Fernando."
"Presente."
Forse... forse sarebbe bastato limitarsi a leggere pari pari una delle lezioncine sul Padd per cavarsela a buon mercato... chissà?! Ah, come rimpiangeva la buona e vecchia palestra! Cosa avrebbe dato per un bel ring e qualche avversario da sbattere al tappeto.
"Darwin Joshua."
"Presente."
"Hiden We..."
Gozar si interruppe quando scorse un'ombra oscurare il piano della scrivania. Alzò lo sguardo per ritrovarsi faccia a faccia con un cadetto anonimo, soltanto gli occhiali scuri gli conferivano un tocco di personalità. L'angosiano rimase perplesso, gli sembrava di aver già visto quel volto in precedenza ma non riusciva a collegarlo ad un nome.
Il cadetto rimase a guardarlo senza dire nulla, sembrava lo volesse fissare direttamente negli occhi ma, a causa delle lenti nere, l'istruttore non poteva averne la certezza. Per un decimo di secondo ebbe come l'impressione che il cadetto gli stesse scrutando nell'anima, tentando di sezionarla.
Gozar si chiese se fosse una specie di sfida o cosa. Poi il ragazzo abbassò lo sguardo sulla pila di Padd scomposta e sbuffò, le labbra piegate in un mezzo sorriso sbilenco. Senza dire una parola gli voltò le spalle e si diresse verso le porte dell'aula con la chiara intenzione di uscire piantandolo lì, in asso.
Il primo istinto dell'angosiano fu quello di afferrare lo studentello per la collottola e sbatterlo di nuovo al suo posto. Quello sbarbatello aveva scelto il soggetto sbagliato da prendere per i fondelli.
In un attimo l'istruttore aveva raggiunto il cadetto con l'intenzione di afferrarlo per un braccio ma questi, appena aveva percepito il movimento, si era tirato di lato spostandosi dalla traiettoria.
Gozar compensò senza problemi il cambiamento di posizione e si fermò davanti al ragazzo. Il cadetto stava dando le spalle al resto dell'aula, mentre l'istruttore era disposto in modo da fronteggiarlo. Dietro alla sua sagoma, l'angosiano poteva scorgere la distesa dei banchi e, in ultima fila, il posto lasciato vuoto dallo studente.
L'intera classe era rimasta col fiato sospeso, stavano tutti aspettando di vedere cosa sarebbe successo ora, chiedendosi come avrebbe reagito l'angosiano.
Gozar li guardò cupamente e, per un attimo, ebbe l'impressione di trovarsi davanti ad un tribunale. Eccoli lì, tutti quanti, ad aspettare di vederlo perdere il controllo, di vederlo dare di matto, di poter dire:
Visto? Non si puo' togliere il condizionamento...
Visto? E' troppo pericoloso lasciarli vivere fra la gente...
Visto? Devono essere rinchiusi tutti, tutti...
L'angosiano trasse un profondo e silenzioso respiro, lui avrebbe deciso come comportarsi, zasvid! E non un codice stampatogli a tradimento nel cervello.
Gozar riuscì a ricomporsi e assunse una postura rilassata ma autoritaria. O, almeno, questa era l'impressione che sperava di trasmettere.
"Torni al suo posto, cadetto" ordinò, e le parole gli scaturirono dal petto con tono calmo ma tagliente.
Il cadetto non si mosse da dove si trovava, quasi sfidandolo a reagire.
L'angosiano incrociò le braccia sul petto, rinnovando silenziosamente l'invito ad accomodarsi e tentando di ricordare se in una colonia di massima sicurezza si stesse poi così male, perché iniziava a perdere la pazienza e, quando cominciavano a prudergli le mani, non era ancora così sicuro di riuscire a fermarsi prima che fosse troppo tardi. In mezzo a tutto questo, Gozar ebbe, inaspettatamente, la visione di una vecchia signora in abito grigio scuro e capelli legati in una crocchia.
"Come potete pensare di costruire palazzi se siete degli asini in geometria! Credete che le Torri di Talenk'aya le abbia fatte il vento? Sarebbero ancora in piedi se i loro architetti fossero stati asini come voi?"
Il ricordo della vecchia insegnante che sbraitava alla classe lo fece quasi sorridere. Quell'ambiente, l'aula dell'Accademia dove si trovava ora, gli riportava alla mente troppo insistentemente i vecchi tempi ma, invece della solita amarezza, della rabbia per ciò che il suo governo gli aveva fatto in seguito, si stava scoprendo a provare una sensazione di pungente nostalgia.
L'angosiano scorse un movimento davanti a sé e si mise automaticamente in guardia, tendendo i sensi. Non poteva farne a meno. Tutte le immagini e le sensazioni che stava provando solo un momento prima, e che il suo volto aveva lasciato trasparire all'intera classe, erano state spazzate via in un attimo.
Ma non giunse nessun attacco, anzi, il cadetto si stava allontanando da lui, voltandogli nuovamente le spalle ma, stavolta, per dirigersi verso il banco rimasto vuoto.
"Dove sta andando?" si ritrovò a chiedere l'angosiano, senza averlo prima programmato.
Il cadetto si fermò e si volse. Lentamente. Il suo sguardo era coperto dagli occhiali scuri ma Gozar immaginava fin troppo bene i fulmini che in questo momento erano diretti verso la sua angosiana presenza. Era fin troppo evidente che il ragazzo aveva preso la domanda come una sorta di 'attaccaggio briga' e si aspettava qualche pesante provocazione se non addirittura una rissa. Lo studente stava per aprire bocca ma l'istruttore lo precedette.
"Non laggiù in fondo... prego, si metta pure in prima fila" continuò Gozar, godendosi il fatto di essere riuscito a spiazzare il ragazzo. "Tu, azzurro, lascia il posto al tuo compagno."
Il boliano seduto in un banco in prima fila sgranò gli occhi, ma poi decise che soddisfare la richiesta dell'istruttore, per quanto rozzamente potesse essere stata espressa, era più saggio che esplodere in una tiritera di indignazione.
L'alieno dalla faccia azzurra si alzò dal proprio posto e si diresse nel banco in ultima fila. Passando di fianco a Renko lo guardò con un'espressione un po' colpevole un po' di scusa e quando arrivò al posto fu ben lieto di potersi sedere sottraendosi all'attenzione generale.
A Renko non rimaneva altro che tornare sui suoi passi per accomodarsi in prima fila, dove avrebbe beneficiato del primo piano di Gozar per l'intera durata della lezione. Di malavoglia avanzò col piede destro, poi con il sinistro, poi di nuovo l'altra gamba e così via fino a che non si ritrovò seduto di fronte all'istruttore.
L'angosiano annuì soddisfatto e voltò le spalle alla classe, dirigendosi nuovamente verso la cattedra. Non visto, si lasciò scappare un sorrisetto, era incredibile ma si stava quasi divertendo. Mentalmente ringraziò la Signorina Kinsley e suoi burberi metodi per tenere una classe sotto controllo. Se una fragile vecchietta di un metro e cinquanta riusciva a dettar legge ad uno scalmanato gruppo di baldi giovani senza colpo ferire... perché non avrebbe dovuto riuscirci lui?
Gozar arrivò fino al piano della cattedra e buttò l'occhio sulla massa disordinata di padd che avevano fatto sbuffare il cadetto in una smorfia di derisione. L'istruttore stesso si ritrovò ad immaginarsi impalato davanti agli studenti mentre leggeva a pappardella da uno dei padd, che figura patetica sarebbe stata... ma a che stava pensando quando aveva deciso di portarseli appresso?
L'istruttore si voltò nuovamente verso la classe, doveva inventarsi qualcosa, di certo non poteva rimanere lì impalato.
"Allora, occhiali scuri, riassumimi un po' la lezione dell'ultima volta."
Renko scosse la testa, ma in maniera discreta.
-E te pareva?- pensò, rassegnato a fare da bersaglio all'angosiano per il resto della lezione.
Gozar non avrebbe menato le mani, né tentato di staccargli la testa dal collo. Forse gli sarebbe piaciuto prendere il cadetto e attaccarlo alla corrente ma non l'avrebbe fatto. Non davanti a tutta la classe, almeno.
Renko si era alzato dal posto perché aveva bisogno di affrontare un fantasma che continuava ad aleggiare, non desiderato, nei propri sogni. Ma quel fantasma non era qui. Questo Gozar non era come quell'altro. Non lo era il suo sguardo, non lo era stata la sua espressione. Forse la voce, forse il modo di muoversi, forse l'involucro erano gli stessi ma...
"Dunque" intercalò il cadetto, schiarendosi la voce senza farsi intimorire. "Dato un vettore M... applicato ad un p... un peso Y ed ad una forza inerziale pari... pari alla struttura..."
Le parole uscivano a forza dalla bocca di Renko ma non perché non si ricordasse bene la lezione, che purtroppo gli era rimasta impressa... purtroppo. Il fatto è che si sentiva completamente imbecille a snocciolare quella formuletta per descrivere uno sbilanciamento, un semplice, elementare sbilanciamento.
Manco a dirlo, il cadetto udì dei risolini provenire dal resto della classe. Quando guardò in faccia l'istruttore capì anche da cosa fossero provocati. L'espressione di Gozar era allibita, mancava poco che si passasse una mano sul volto in segno di sconcerto.
"Co... cosa sarebbe questo?" chiese l'angosiano.
"Il grafico equazionale dell'ultimo combattimento del Capitano Palenda su Kalanzara IV" gli rispose meccanicamente Renko. "Non è finito, siamo solo alla prima mossa..."
"Non importa, basta così" si affrettò ad aggiungere l'istruttore. "Sorvoliamo l'aspetto matematico. In sintesi, che lezione si può trarre dalla morte di Palenda?"
Renko si prese qualche attimo per riflettere. Ovviamente la domanda era stata rivolta a lui. Kalanzara, i cardassiani, la disperata lotta corpo a corpo della squadra del capitano Palenda contro un gruppo d'assalto cardies... il racconto, forse un po' mitizzato, dell'unico superstite...
"Che per quanto armati e determinati si possa essere, se ti cade un palazzo sulla testa... sei morto?"
"Una deduzione davvero perspicace" commentò l'angosiano, e dal suo tono di voce non si riusciva a capire se fosse sarcastico o meno. Possibile che non lo fosse?
"Ma saltiamo per un momento la parte riguardante la lotta corpo a corpo contro i cardassiani" continuò Gozar, rivolgendosi, questa volta, all'intera classe. "Come pensate si sia comportato, il capitano Palenda, durante quella battaglia a terra?"
Dal gruppo di cadetti si levò un mormorio, ognuno di loro stava raccogliendo idee e informazioni, prima di esprimere la propria opinione a voce alta.
Tutti tranne Renko, che continuava invece a fissare Gozar, aspettandosi di vederlo fare qualcosa di crudele o psicotico da un momento all'altro, malgrado si fosse alzato dal suo posto per avere la conferma del contrario. Aveva incrociato il suo sguardo aspettandosi di risvegliarsi dall'ennesimo incubo ma l'angosiano sembrava non volergli dare soddisfazione.
"Il capitano Palenda si è comportato da eroe" dichiarò fieramente un tellarite, testa alta e tono che sfidava alla replica.
"Il capitano Palenda si è comportato da idiota" lo rimbeccò l'angosiano, senza esitazioni.
L'intera classe ammutolì per la terza volta durante la giornata.
Le narici del tellarite fremettero. "Ma è stato grazie al suo sacrificio che la squadra artificieri ha fatto in tempo..."
L'istruttore non lo lasciò continuare, conosceva fin troppo bene quella pappardella e, in quel preciso istante, si era reso conto di essersi sottovalutato, non era vero che non poteva affrontare una lezione teorica, anzi, aveva appena capito di avere effettivamente qualcosa da insegnare a questi ragazzi.
"Che cosa ha appena detto, il tuo compagno occhialuto?" chiese Gozar, con la sua solita delicatezza. "L'edificio è crollato sulla squadra di Palenda e sul commando cardassiano. Questo non è un eroico sacrificio, bensì è non tenere conto dell'ambiente in cui si sta combattendo." L'istruttore riprese fiato ed iniziò, finalmente, a fare una vera lezione. "Gli edifici di Kalanzara IV sono fatti in bacheliana porosa, ma Palenda non ne ha tenuto conto. Inoltre, la loro struttura..."
Quarantacinque minuti dopo, un avvisatore acustico segnalò la fine della lezione. I cadetti iniziarono ad uscire dall'aula, non avevano assistito alla lezione in programma ma erano più che soddisfatti.
Renko sospirò e fece per alzarsi dalla sedia ma fu bloccato a metà del gesto.
"Stia comodo, cadetto" si sentì dire da Gozar che, essendo passato vicino al banco ne aveva approfittato per sottolineare le proprie parole dando un leggero colpo sul ripiano.
Renko si accasciò nuovamente, sedendosi in maniera deliberatamente scomposta. I compagni di corso gli diedero solo qualche fugace occhiata mentre gli passavano davanti, diretti alla porta. Alcuni guardarono con sospetto Gozar, che nel frattempo si era appoggiato alla cattedra e, quasi semi seduto sul ripiano, teneva le braccia conserte. Il suo sguardo era fisso su Renko, che lo contraccambiava.
Quando tutti furono usciti e le porte si furono chiuse con il solito e familiare sibilo, Gozar abbandonò la propria posizione e si diresse con passi misurati verso il banco in prima fila.
Renko si ricompose, tendendo i muscoli e i sensi, pronto a difendersi da qualsiasi attacco l'angosiano avesse in mente. Se avesse anche soltanto provato ad allungargli un colpo gli avrebbe reso la pariglia fino a che avesse avuto vita.
Gozar appoggiò le mani ai lati del banco come se volesse sradicarlo e si piegò sulle braccia fino a che il proprio sguardo non fu all'altezza di quello di Renko. I loro volti erano a soli pochi centimetri e l'angosiano piantò i propri occhi dentro a quelli del cadetto, oltrepassando gli occhiali scuri come non ci fossero.
"Non. Si azzardi. Mai più, a sfidarmi." La voce dell'istruttore era così ferma e diretta che non creò nemmeno il minimo rimbombo nell'aula vuota. "Sono stato chiaro?"
"Cristallino" gli rispose il ragazzo, senza abbassare lo sguardo né dare il minimo segno di aver gradito il suggerimento.
L'angosiano si rialzò, erigendosi in tutta la sua statura e si diresse verso la porta. Le ante si ritrassero automaticamente avvertendo il suo arrivo. Giunto sulla soglia, Gozar si fermò come per un ripensamento e voltò di nuovo la testa verso il cadetto, che era rimasto seduto e stava guardando cocciutamente davanti a sé.
"Riporti i padd in segreteria" ordinò l'istruttore, facendo un piccolo cenno verso la cattedra e la pila di padd che vi era rimasta sopra. "Si sbrighi, deve farlo prima che inizi la prossima lezione."
Poi uscì e nell'aula regnò il silenzio.
Renko rimase seduto ancora qualche istante ma non stava guardando cocciutamente davanti a sé, come poteva aver pensato l'istruttore, stava invece riflettendo, e quello che si stava dicendo non gli piaceva affatto.
Appena sentì le porte chiudersi dietro le spalle di Gozar, il cadetto chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro.
-Maestro...- chiamò, ma nessuno rispose.
Renko non si era alzato dal proprio posto per sfidare Gozar, ma per fare i conti con un fantasma. Un fantasma che continuava ad aleggiare nei propri incubi. Solo che quel fantasma non era mai stato lì.
Il Gozar che gli aveva appena parlato non era lo stesso di quello dell'Universo Ferengi, non lo era mai stato. Aveva voluto illudersi ma gli era bastato guardarlo negli occhi per capirlo. Gli era bastato leggere la sua espressione, mentre gli ordinava di tornare al proprio posto.
E invece di sentirsi sollevato, invece di lasciare andare un peso... si sentiva come defraudato. Come se gli fosse mancato qualcosa. Come se Gozar, l'istruttore Gozar, gli avesse fatto un torto ad essere quello che era e non il sadico psicopatico dell'Universo Ferengi. Come se gli avesse rubato... la sua vendetta. Come si era permesso? Come aveva potuto fargli una cosa del genere? Come aveva potuto, l'angosiano, andarsene in quella maniera, senza aver prima tentato di appiccicarlo al muro, ucciderlo, strozzarlo, qualsiasi cosa... senza avergli prima dimostrato che se anche lui non era lo stesso Gozar, non faceva poi questa gran differenza.
Il ragazzo si alzò dalla sedia, raccattò i padd ed uscì da quella dannatissima aula. La porta si chiuse dietro di lui, e questo fu tutto.