[...continua]
Renko rimase seduto ancora qualche istante ma non stava guardando cocciutamente davanti a sé, come poteva aver pensato l'istruttore, stava invece riflettendo, e quello che si stava dicendo non gli piaceva affatto.
Appena sentì le porte chiudersi dietro le spalle di Gozar, il cadetto chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro.
-Maestro...- chiamò, ma nessuno rispose.
Renko non si era alzato dal proprio posto per sfidare Gozar, ma per fare i conti con un fantasma. Un fantasma che continuava ad aleggiare nei propri incubi. Solo che quel fantasma non era mai stato lì.
Il Gozar che gli aveva appena parlato non era lo stesso di quello dell'Universo Ferengi, non lo era mai stato. Aveva voluto illudersi ma gli era bastato guardarlo negli occhi per capirlo. Gli era bastato leggere la sua espressione, mentre gli ordinava di tornare al proprio posto.
E invece di sentirsi sollevato, invece di lasciare andare un peso... si sentiva come defraudato. Come se gli fosse mancato qualcosa. Come se Gozar, l'istruttore Gozar, gli avesse fatto un torto ad essere quello che era e non il sadico psicopatico dell'Universo Ferengi. Come se gli avesse rubato... la sua vendetta. Come si era permesso? Come aveva potuto fargli una cosa del genere? Come aveva potuto, l'angosiano, andarsene in quella maniera, senza aver prima tentato di appiccicarlo al muro, ucciderlo, strozzarlo, qualsiasi cosa... senza avergli prima dimostrato che se anche lui non era lo stesso Gozar, non faceva poi questa gran differenza.
Il ragazzo si alzò dalla sedia, raccattò i padd ed uscì da quella dannatissima aula. La porta si chiuse dietro di lui, e questo fu tutto.
Il Dragon Flame era immerso nella penombra e l'arredamento, dall'aspetto piuttosto antiquato, richiamava uno stile in voga sulla terra qualche secolo prima. Bancone, tavoli, panche erano tutti rigorosamente in legno scuro. Il bancone del bar, di per sé, sembrava un monolito intagliato in un unico pezzo di tronco anche se, ovviamente, questo non poteva essere vero; mentre tavoli e sedie avevano quel giusto numero di intarsi da risultare gradevoli alla vista pur senza perdere quell'aria di eleganza solida e pratica per la quale erano stati costruiti.
Le pareti invece, al contrario del resto dell'ambiente, erano piene di ninnoli, quadretti, soprammobili, attrezzi accatastati su ogni mensola o superficie piana disponibile come se una qualche forza oscura avesse deciso di compensare in questo modo la mancanza di fronzoli nel resto dell'arredamento. Alzando lo sguardo verso l'alto si potevano scorgere modellini di velieri, imponenti e con le vele spiegate immersi in un mare di pipe di legno o avorio, bottiglie di liquori (in prevalenza scotch e whisky terrestri), antiche lanterne a combustione, elmetti da minatore, palle da rugby, canne da pesca, otri in cuoio e via discorrendo.
Il tenente comandante Gozar entrò nel locale guardandosi attorno, studiando istintivamente il territorio e prendendo nota della disposizione di mobili ed avventori; quando il suo sguardo si posò infine sulle travi in legno che percorrevano il soffitto tirò un sospiro di sollievo, giudicando il lavoro ben eseguito e pensando che almeno non gli sarebbe caduto il tetto in testa, tanto per concludere degnamente la giornata.
Giornata! Nella propria mente Gozar scorse una lista di appellativi che ritenne molto più adatti a descrivere il tempo trascorso dall'alba al tramonto ma decise di lasciar cadere il discorso.
Giornata! Quella non era stata esattamente del tipo che si era aspettato di avere al suo arrivo in Accademia. Prima quella strana convocazione di supplenza del tutto inaspettata, poi il richiamo da parte della Segreteria che insisteva nel dire che non avrebbe dovuto farla lui, e non potevano dirglielo prima? Sarebbe stato più che felice di sacrificarsi, rinunciando all'incarico. Ma a quanto pareva, avevano preferito aspettare fino a che non avesse finito, prima di chiamarlo a colloquio e tentare di interrogarlo, come se fosse un criminale, sulla convocazione che giusto quella mattina aveva trovato sul monitor. Ma che credevano, che se la fosse spedita da solo?
Fortunatamente alla fine era arrivata Kharla, ma non prima che Gozar avesse tentato con delicatezza (gli urli avevano trapassato le pareti, arrivando chiari fino all'ingresso dove alcuni cadetti avevano preso appunti) di spiegare agli addetti della segreteria che l'errore non l'aveva fatto lui e che cosa potevano farci con i loro corsi teorici.
Il colonnello dello SFIC aveva risolto la questione in quattro e quattr'otto con tipica efficienza vulcaniana. In poche parole, quando Kharla aveva ricevuto la comunicazione su chi avrebbe effettuato la sua supplenza si era subito accorta che qualcosa non andava, ma riflettendoci sopra aveva deciso di non intervenire, ritenendo che l'esperienza avrebbe portato particolare beneficio al soggetto.
Dato che la questione era stata risolta e dato il rispetto che l'angosiano nutriva per il grado e la gerarchia, Gozar si era trattenuto dall'intavolare una digressione su cosa ritenesse o meno benefico per se stesso. Si era invece limitato ad allontanarsi il più presto possibile prima che quei burocrati scovassero qualche altra grana che conferisse un qualche interesse alle loro vite o che la sua già scarsa pazienza venisse meno, costringendo l'amministrazione dell'accademia ad una ricerca massiva di nuovo personale.
Eppure era strano, c'erano state occasioni in cui gliene erano capitate ben di peggiori. Essendo un soldato si era trovato in mezzo a fuoco incrociato, esplosioni, incendi, maniaci assassini... ah, no, ripensandoci, questi ultimi erano i suoi uomini... comunque, ne aveva viste tante, nella sua carriera, che proprio non riusciva a capire cosa gli desse tanto fastidio in quella che si poteva dire la giornata più tranquilla che avesse avuto nell'ultima settimana. Quella mattina non aveva di certo affrontato androidi psicotici, equipaggi impazziti o primi ufficiali in preda a crisi di mitomania... e forse era questo il problema.
Forse, si rese conto, preferiva trovarsi di fronte ad un phaser puntato su cui poter scaricare a sua volta una bella raffica, piuttosto che a dei ragazzini, sbarbatelli a cui la giovinezza faceva credere di essere immortali, o che si illudevano di aver capito come prendere la vita solo perché aveva iniziato a crescergli la barba l'anno prima... un po' come era stato lui quando ancora studiava e faceva parte della promettente gioventù angosiana; quando era scoppiata quella fottutissima guerra e lui si era subito offerto volontario per andare a difendere il proprio pianeta, così sicuro dei propri ideali che li aveva sbattuti in faccia persino a suo padre... e poi era successo quello che era successo. Ed ora la vita militare era l'unica per cui fosse veramente tagliato, ma forse... già, e se... e forse... e ma... sillabe inutili, basta così per oggi.
Gozar era riuscito a raggiungere il bancone, facendosi strada fra la calca, e si era seduto su uno degli alti sgabelli a tre gambe, appoggiandosi al ripiano con entrambi gli avambracci e facendo cenno al barista di dargli qualcosa di forte.
Questi sembrava uscito da una cartolina storica, indossava una camicia le cui maniche erano state accuratamente arrotolate sui bicipiti muscolosi, un grembiule nero con gilet intonato e si stava dando un gran daffare per pulire un bicchiere con... uno strofinaccio! Quando si accorse del nuovo arrivato posò il bicchiere e gli si parò davanti, snocciolando il menù alcolico a disposizione del locale: "whisky o scotch?" chiese, con voce calma e profonda.
Per un attimo Gozar ebbe l'impressione che, se avesse chiesto un semplice bicchiere d'acqua, il barista gli sarebbe saltato alla gola.
Per qualche istante si baloccò con l'idea di ordinare: 'una Perrier in un calice pulito, per favore.' Una bella rissa forse lo avrebbe fatto sfogare, ma la tentazione durò poco, mandare in infermeria l'intera clientela del bar (civili disarmati, non era ancora caduto così in basso!) non gli avrebbe poi dato tutta questa gran soddisfazione.
Pensò a cosa fosse solito bere Sherman, suo amico nonché ex-capo sulla Dominus, ma non ricordava bene, così chiese: "Un whisky."
-Vediamo un po' come lo fanno i terrestri- pensò.
Il barista sbatté sul tavolo, con forza calcolata, un piccolo ma tosto bicchiere, poi estrasse da sotto il bancone una bottiglia e iniziò a versarne il contenuto all'interno del vetro spesso.
Durante l'operazione o, meglio, il rituale, Gozar si sistemò sullo sgabello, cercando una posizione più comoda, così facendo gli capitò di voltarsi verso un angolo del locale dove scorse delle divise famigliari, fin troppo, per i suoi gusti.
-Cadetti... zasvid. Come dicono i terrestri? Lupus in fabula?-
"Ghiaccio?"
"No, liscio." Pensava di essersi allontanato a sufficienza dall'Accademia, ma evidentemente non era così. "Anzi, fammelo doppio" chiese cupamente all'uomo dietro al bancone.
"Ma guarda chi si rivide" sentì una voce dire, con un'inflessione non particolarmente gradita alle proprie orecchie. "Sai chi hai l'onore di servire, stasera, Dan? L'architetto da combattimento."
"Ho cambiato idea" disse Gozar, allungando una mano per bloccare l'avambraccio del barista. "Lascia qui la bottiglia."
Mentre Gozar se ne stava appollaiato al bancone, versandosi whisky direttamente dalla bottiglia, seduti ad un tavolo leggermente in ombra c'era un gruppo di cadetti in particolare.
"Non posso crederci che sia arrivato fino a qui!" esclamò Renko, indicando verso il bancone. Il delta gammano aveva appena pronunciato una battuta riguardo gli architetti da combattimento che era stata sentita da tutti gli avventori del bar, ma la sua ultima frase era stata detta ad esclusivo beneficio dei suoi compagni.
"Si può sapere come ti è saltato in mente di puntare... Gozar?" chiese Coltac. "Ringrazia che se ne sia rimasto a bere, invece di venire qui e ridurti a spezzatino."
"Andiamo..." sbuffò il delta gammano, inserendo nel tono di voce tutto il fastidio e la noia che provava in quel momento. "Non ditemi che è riuscito a convincere anche voi di essere invincibile?"
Coltac ci pensò su un attimo, alzando lo sguardo verso il soffitto per poi posarlo dopo un istante di nuovo sull'amico. "Dunque" disse, meditabondo, "vediamo... SI!" concluse poi, in modo secco.
"Ah, magnifico..." sospirò Renko. "Mentre voi ve ne state qui buoni e quieti a nascondervi io..." il delta gammano si alzò dal suo posto "...me ne vado al cesso" affermò, disimpegnandosi da tavolo e sedia ed aprendosi una via verso un corridoio di transito.
Renko si fermò appena raggiunse una zona sufficientemente sgombra da permettergli di restare comodamente in piedi e libero dal pericolo di collisione con gli altri avventori, cosa non semplice, dato l'eccessivo affollamento del locale.
L'ibrido si guardò attorno incerto. Non che avesse bevuto (non roba forte, almeno) ma dovette fare mente locale per ricordarsi dove si trovassero i servizi del Dragon Flame. Il cadetto chiuse momentaneamente gli occhi e trasse un profondo respiro. Quando li riaprì sbuffò fuori l'aria che aveva ancora nei polmoni ed i connotati del volto si accigliarono in un espressione scocciata.
"Perfetto" mormorò amareggiato fra sé e sé, mentre il suo sguardo puntava verso la porta del bagno ed il percorso obbligato per poterla raggiungere. Le sue spalle si abbassarono e con il poco sarcasmo di cui disponeva sospirò: "Proprio quello che mi ci voleva."
Con un movimento Renko fece scrocchiare i muscoli del collo, poi si diresse verso il bancone e verso Gozar. Di sicuro non aveva paura di quel tizio tanto da girargli alla larga. Anzi, tanto valeva farglielo sapere, visto che ormai era in ballo. Il suo stato d'animo cambiò in un attimo, mentre sentiva un sorriso di sfida farsi strada sulle sue labbra. Erano giorni che non si sentiva così bene. Il cadetto avanzò ancora e fece per aprire la bocca, quando uno schiaffo in pieno viso lo congelò sul posto.
Il delta gammano rimase dov'era, con il volto girato di lato. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, prendendosi tutto il tempo per digerire ciò che era appena successo. Sentì la pelle della guancia che bruciava, ma la sensazione stava già svanendo a poco a poco. "E questo cosa avrebbe dovuto essere?" chiese.
"Quello che ti ci voleva" gli rispose Dalton, staccandosi dal muro di avventori e portandosi in vista. L'umano si parò di fronte all'ibrido, frapponendosi fra lui ed il percorso Renko-Gozar-Cesso. Una cosa era certa, sul volto di Luke non si leggeva né pentimento né rammarico per ciò che aveva appena fatto.
Renko percepì Coltac e Venur alzarsi dalle sedie. Il cadetto si voltò verso i suoi compagni e gli fece cenno che andava tutto bene, non aveva bisogno di loro. I due tornarono ad accomodarsi perplessi, continuando però a tenere d'occhio Dalton.
"Luke..." iniziò a dire Renko.
"Chiudi il becco" ribatté pronto Luke. "Seguimi."
"Stai scherzando? Devo andare in bagno."
"Senti, Renko" rispose Dalton, spazientito, "ci sono un sacco di alberi fuori di qui. Vuoi un consiglio spassionato? Usane uno."
Quando l'altro lo guardò come se non lo riconoscesse, Luke si avvicinò al ragazzo. "Tu sei Renko, vero?"
Il delta gammano aggrottò le sopracciglia, spiazzato dal nuovo andazzo della conversazione. "Luke, si può sapere che cosa ti piglia, stasera? Sei rincretinito di colpo?"
"No, no" rispose l'umano, flemmatico, "è che non ero del tutto sicuro. Sai, faccio ancora fatica a riconoscerti, quando ti vedo senza occhiali schermanti. Pensa che figura, se avessi sbagliato persona!"
Il delta gammano fece per aprire bocca ma si rese conto di non sapere cosa dire, e forse non si rese neanche del tutto conto di aver seguito Luke fuori dal locale senza opporre ulteriori proteste.
Al di fuori del locale, la notte era illuminata dalla miriade di luci di San Francisco. Abitanti e viaggiatori passeggiavano senza timore per le strade della città. Il Dragon Flame, tuttavia, si trovava vicino ad una zona del porto poco frequentata, che si affacciava su una porzione di baia silenziosa e buia.
Renko aveva creduto che Luke lo volesse riportare in Accademia ed invece l'uomo si era fermato poco distante dal locale, appoggiando le spalle ad una pila di casse, sistemate in prossimità della parete esterna di un magazzino portuale.
"Si può sapere che ci facciamo qui?" chiese Renko, che stava iniziando ad essere infastidito da tutta quella commedia.
"Prendiamo un boccata d'aria" rispose Dalton, inspirando profondamente a sottolineare le sue parole. "Il locale era sovraffollato."
"Sì" confermò Renko, "c'era gente di troppo, infatti."
L'umano incrinò leggermente l'angolo della bocca in un inizio di sorriso più amaro che allegro. Non disse nulla, non subito. Si limitò a fissare la leggera foschia che era scesa sulla baia e che nascondeva il pigro movimento delle onde. Oltre quel velo sottile e lattiginoso, l'oceano si tuffava nella più completa oscurità.
"A volte bisogna dissipare la foschia, per riuscire a vede l'ombra" disse Dalton, lo sguardo fisso davanti a sé. "Quei drink dovevano essere più forti del previsto, comincio a parlare come te" concluse cercando d'abbozzare un sorriso.
"Senti, io me ne torno dentro, eh?"
"Aspetta!" lo fermò Luke. "Non sei affatto gentile con questo povero pilota tanto lontano da casa, reduce da un bruttissima esperienza in un universo cattivo cattivo."
"Dalton, sei strano, stasera."
"Io? No, io non più del solito. Volevo solo passare un po' di tempo insieme, così potrò conservare un ricordo di te di come sei ora, e non come quell'ammasso informe sanguinolento che stai facendo di tutto per diventare."
Renko aprì la bocca per ribattere, ma la risposta dell'ibrido si fece attendere. Così Luke proseguì al suo posto: "Senti, ragazzino. Non tiriamola tanto per le lunghe. Sai, questa non è stata una giornata troppo rilassante, per me." L'atteggiamento di Dalton era cambiato all'improvviso. Il tono della sua voce si era fatto più duro. "Ho passato l'intera mattina in compagnia di Lucsly e Dulmer a ripetere per la centoventesima volta la nostra versione dei fatti, e sai che razza di senso dell'umorismo non hanno quei due, ed è meglio non accennare al genere di battute che mi sono dovuto sorbire." Dalton si era scostato dal muro e aveva usato la sua tipica gestualità per accompagnare le sue parole, ma ora si era fatto improvvisamente serio e il suo sguardo non presagiva nulla di buono. "Perciò veniamo subito al dunque. Tu hai un problema, ragazzo."
"Solo uno?" rispose Renko, incrociando le braccia sul petto. "Non dici sempre che ne ho una miriade? Ti ho seguito fin qui perché speravo che questa sceneggiata avrebbe portato almeno ad una minima spiegazione del tuo comportamento dentro al locale. Sono un tipo molto paziente, ma non mi piace essere preso a schiaffi."
"Beh, se è solo per quello... dovresti ringraziarmi." Luke scosse la testa e sospirò. "So che me ne pentirò, ma purtroppo mi ritrovo con questo fastidioso istinto da mamma chioccia che non riesco ad estirpare. Senti, vuoi una spiegazione? Eccotela: gli ultimi giorni non sono stati rilassanti per nessuno di noi. Stasera ero venuto al Dragon Flame per potermi distendere un po'... e perché giravano voci che ci sarebbe stata anche il cadetto Jhonson... ma lasciamo perdere quest'ultima cosa. Fatto sta che invece della Jhonson ci trovo un sacco di altri cadetti, fra i quali uno che sembra aver una gran voglia di giocare con il fuoco. Perché vedi? Questo tizio sembra quasi abbia una gran voglia di attacar briga con un super-soldato angosiano."
"Non sai neanche quello che stai dicendo" protestò Renko. "Se avessi avuto voglia di venire alle mani con quello là, lo avrei fatto stamattina in aula, ma scommetto che non sai neanche questo."
"È vero, ma so di peggio. Non so cosa sia successo stamattina, mi limito a guardare quello che sta succedendo adesso. E so che, se anche ho avuto la dubbia fortuna di sfuggire alle cure del Gozar parallelo, posso lo stesso farmi un'idea ben precisa di ciò che quello psicopatico ha fatto a voi."
"Non è questo, il punto!"
"E quale sarebbe, il punto?"
"N... N... Nulla!" esclamò Renko, esasperato. "Non c'è nessun punto. Gozar è morto, noi siamo tornati qui e quello che c'è qui è tutto un altro Gozar."
"E allora che cos'era quella battuta scema sull'architetto da combattimento?"
"Era... niente. Solo una battuta scema e basta."
"Che casualmente era rivolta a Gozar. Si è trattato di un puro caso, vero? Visto che come hai detto tu, l'altro Gozar è morto e la storia... chiusa." Luke rincarò la dose. "È una fortuna, per te, sai? Perché se così non fosse, se te la stessi trascinando ancora dentro... allora sì, che saresti nei guai. Parlo per esperienza personale, ragazzo. Ti sto offrendo una mano, se ancora non l'hai capito, perciò piantala di raccontarti frottole e aiutami. Dimmi cosa ti succede."
"E va bene" si arrese Renko. "Ammettiamo pure che io non abbia digerito del tutto gli ultimi avvenimenti. E allora? Non ero mai stato torturato prima d'ora. Forse mi ci vorrà un po' più di tempo che a voi, veterani di mille battaglie, ma lo supererò."
"Rispondimi, invece di girarci intorno."
"Girarci intorno a cosa?" gli fece il verso Renko.
"Non mi stai dicendo quello che ti avevo chiesto. Ok, pazienza, vedo che devo tirare ad indovinare. Dunque, dici di non avercela con Gozar, ma se non ti fermavo io scommetto che, prima o poi, tanto avresti fatto da arrivare ad uno scontro. Allora? Giusto o sbagliato? Dimmi che ci ho preso."
"Io non voglio provocare nessuno scontro. Questo Gozar non è quell'altro e io non posso farci niente. Questo Gozar non è quell'altro... È quell'altro che vorresti avere fra le mani ma è morto. E allora perché tentare di provocare questo? Che cosa ti ha fatto? Mh? È colpevole di non essere come il suo alter ego? Oppure c'è una parte di te che si è convinta che questo Gozar non è come quell'altro, ma tanto, se fosse lui a cominciare a menare per primo, che differenza farebbe, no? Avresti quello che vuoi e la coscienza pulita. Tu hai passato anni presso il tuo maestro, dove ti hanno addestrato a difenderti e sottolineo la parola difenderti in svariati modi."
L'amico cercò d'interromperlo, ma l'umano continuò imperterrito il suo discorso. "Certo sono sicuro che nella giusta situazione potresti anche attaccare qualcuno, per autodifesa o per rabbia, come adesso e di certo non devo essere io a dirti che non è proprio lo stato mentale giusto per affrontare un super-soldato addestrato ad uccidere. Capito ragazzino? Al caro Gozar hanno insegnato ad uccidere, nel modo più pratico, preciso ed efficiente possibile. Se tu l'affronti in un vero combattimento, non ne esci vivo, fidati di me, so come ragionano quei tipi... io sono uno di loro." Luke non aveva staccato lo sguardo da Renko un solo istante ed ora allargò le braccia per sottolineare le sue parole. "Per questo se avessi pensato che ti saresti accontentato di un surrogato, santo cielo! Mi sarei offerto prima, che amico sarei altrimenti?"
"Luke, ma che stai dicendo?"
Dalton si avvicinò a Renko, dandogli una spinta e costringendolo a fare un passo indietro per non cadere. "Non avete forse detto che io assomiglio a Gozar? Beh... io sono molto più bello, questo è sicuro, ma ammettiamo pure che ci sia, questa fantomatica somiglianza. Allora, che aspetti?"
Luke si avvicinò ancora e Renko si scansò prima che potesse spingerlo di nuovo, ma l'umano non demorse. "Allora, che aspetti, vuoi fargliela pagare o no? Ammettilo almeno con te stesso! È ora di affrontare la realtà, hai una gran voglia di fare nero qualcuno che assomigli a lui. Perché rischiare la pelle con un super-soldato angosiano? Picchia me!"
Luke alzò il braccio per spintonare di nuovo Renko, per provocarlo, per costringerlo ad agire. Il delta gammano questa volta non fece un passo indietro ma alzò a sua volta il braccio spingendo di lato quello di Dalton con un movimento secco. "Piantala, Luke, io non voglio picchiarti."
Renko stava perdendo la pazienza. Campanello d'allarme più che evidente di quanto il suo animo fosse stato scosso durante l'ultima avventura... e di quanto lo fosse ancora.
Dalton non lo stette a sentire, o forse decise semplicemente di ignorarlo. Alzò il braccio sinistro ancora una volta, simulando l'intenzione di dare un'altra spinta. "Forza, picchia me" e all'ultimo partì di destro con un pugno diretto al volto.
Renko parò all'ultimo secondo, facendo leva sul polso di Luke e immobilizzandogli il braccio. Con la mano destra gli afferrò il bavero, tirandoselo vicino. E stavolta non chiese, urlò: "Smettila! Non voglio picchiarti!"
"E ALLORA PARLAMI!" gli gridò in faccia Dalton, a muso duro, sovrastando la voce di Renko.
I due restarono immobili, senza curarsi di quanto tempo stesse passando. Poi Luke alzò la mano sinistra e l'appoggiò su quella con cui Renko gli stava tenendo il bavero. Il delta gammano allentò la presa, lasciò andare anche il braccio e fece qualche passo indietro. Le sue spalle toccarono il muro del magazzino portuale. "Per dire cosa...?"
In quel momento Renko non stava fissando Luke, bensì aveva lo sguardo posato a terra, anche se in realtà non stava guardando nulla, stava solo tentando di raccogliere le idee. "Te lo abbiamo già detto: Gozar... il Gozar della realtà alternativa ci ha torturato. Voleva informazioni." Renko tornò a posare lo sguardo su Dalton. "Non ci ha mutilato, non ci ha ucciso. Ci ha torturato mentre ci interrogava. È tutto qui. Io..."
Renko fece una pausa e Luke lasciò che si prendesse tutto il tempo di cui aveva bisogno. Conosceva fin troppo bene quel senso di vergogna che si prova quando permetti a qualcuno di farti troppo male. Dopo qualche istante di silenzio, l'ibrido riprese a parlare: "Io avrei dovuto lasciarmelo alle spalle più facilmente. Una volta hai detto che anche tu in passato hai subito torture, però adesso... e va bene! Per me era la prima volta, sono un novellino, ok? Dammi un po' di respiro e riuscirò a superarlo anch'io. Come hai fatto tu a tuo tempo."
"Sei uno stupido!" scattò Luke, ma poi il suo tono di voce si ammorbidì immediatamente. L'ultima frase la disse quasi sussurrando: "Ho forse detto che sono riuscito a superarlo da solo?"
Luke si appoggiò a sua volta alla parete, affiancandosi a Renko. "Allora" disse l'umano. "C'è qualcosa che ti fa paura. Che cos'è?"
"Il Gozar parallelo è stato ucciso dall'Intendente Ossydianne."
"Infatti" confermò Luke.
"Avrei voluto ucciderlo io."
Il dolore non è che una linea bianca affilata che squarcia il buio con una luminosità così nitida da non illuminare null'altro che sé stessa.
Scariche, scariche, altre scariche. La sua unica speranza di poterle fermare schiacciata appena formatasi. Erano stati catturati dall'Impero Cosmico Imprimano. Lui, Luke, Vaarik, Paul e Ripley. Dalton era stato portato via dall'Intendente Ossydianne, mentre a loro quattro era toccato sottoporsi alle 'amorevoli' cure di un Gozar parallelo, completamente folle e psicotico.
Gozar aveva approntato un interrogatorio strutturato a gioco a premi (ma non c'erano premi, se si esclude la sofferenza) con tanto di tabellone dove erano scritte le domande, e se la risposta non era di suo gradimento la punizione era una scarica energetica.
Erano tutti e quattro legati saldamente a delle sedie, e ad ognuno erano stati applicati gli elettrodi.
Renko avrebbe voluto svenire, se solo fosse riuscito a perdere i sensi sarebbe riuscito a proiettarsi, e se solo fosse riuscito a controllare la proiezione... ma Gozar non poteva permetterglielo. In questa realtà le cose andavano molto diversamente da quella che lui conosceva.
Renko aprì gli occhi, occhi che bruciavano. Sentì la sua coscienza intrappolata da una prigione fisica anelare la libertà al di fuori di quell'involucro con cui divideva gran parte della sua esistenza. Sentiva gli occhi che gli bruciavano e la parte di testa che vi stava subito dietro era in fiamme.
Li chiuse, o li aveva già chiusi?
Li chiuse, strizzando le palpebre così forte fino a sentirne il tocco di una contro l'altra. Ma era ancora come se avesse gli occhi spalancati. Qualsiasi cosa facesse, era come se avesse gli occhi spalancati al di là di ogni speranza di riposo.
-Respira 451, respira- si disse. - Forza che ci sei già passato, non dirmi che hai perso l'allenamento... in questi ultimi anni di buona salute non sarai mica diventato un ibrido viziato?-
Bruciore al braccio, bruciore alla spalla e quella scarica dentro alla testa, provocata non dalla corrente energetica ma dalle sostanze chimiche.
"Come andiamo?" chiese una voce allegra, la voce di Gozar, che si riempì d'irritazione quando Renko gli fece la scortesia di non rispondere. "Allora?" lo sollecitò Gozar, sottolineando con uno schiaffo in pieno volto che le sue non erano domande, erano ordini.
Un colpo studiato per non ledere, ma solo per accrescere il dolore e Renko se lo prese in pieno, senza che un solo gemito uscisse dalle sue labbra. Altro dolore, nient'altro che altro dolore, ma niente biologia, stavolta.
-Sei tu- pensò Renko.
Niente strutture genetiche impazzite.
-Sei solo tu- si rese conto l'ibrido.
Niente nemico invisibile, niente consolazione del fatto che se soffri è solo perché: così va la vita.
-Sei tu che ci fai questo.-
Lo sguardo di Renko trapassò Gozar come un'accusa.
La smorfia di scherno dell'angosiano l'accolse riempendosi d'orgoglio.
L'ibrido sentì una morsa d'acciaio afferrargli il mento e girargli la testa di nuovo in posizione eretta. Si trovò a fissare Gozar in volto, l'angosiano lo studiò a sua volta "Oh, guarda..." disse, il tono di voce virato di preoccupazione. "Ti si gonfierà la guancia."
Gozar continuò a tenergli il mento con una mano, mentre con l'altra fece partire un manrovescio che assestò sulla guancia sana di Renko. La testa dell'ibrido scattò dalla parte opposta in cui era scattata la volta prima ma l'angosiano aveva poco tempo da perdere e serrò di nuovo la stretta sul mento, riportandogli il volto in posizione.
"Ecco, molto meglio, vero? Detesto le cose asimmetriche" confessò Gozar, mentre alcuni dei suoi scagnozzi si facevano scappare qualche risata soffocata.
"Un'altra cosa che detesto" continuò l'angosiano, "è interrompere un interrogatorio, soprattutto quando è così divertente." Gozar fece un ampio gesto che abbracciava il tabellone con le domande, gli elettrodi piantati sotto pelle ai prigionieri ed il suo pubblico di tirapiedi. Sventolò i suoi occhiali a mezza luna verso tutto questo prima di piazzarseli di nuovo sul naso.
"Fortunatamente" continuò, "un miracoloso evento ha fatto sì che la brodaglia contenuta nella testa di uno dei miei sottoposti fosse condita con un po' di sale. Perciò capisci che, dopo che questi ha portato alla mia attenzione a quale pianeta d'origine tu appartenga, io mi sono improvvisamente reso conto che non posso permetterti di perdere i sensi, vero?"
"E allora smettila di torturarci" suggerì il delta gammano.
"Sono commosso" disse Gozar, portandosi una mano al cuore. "Sono veramente commosso. Un cane corporativo che si preoccupa non solo per se stesso ma anche per i suoi amici!"
L'esclamazione studiatamente stupita di Gozar scatenò l'ilarità dei suoi scagnozzi che iniziarono a ridere scompostamente. "Dunque" continuò il loro capo, "la scelta è fra smettere di torturarti e tenerti sveglio a forza grazie a questo gioiellino della chimica." Gozar sventolò la siringa di fluido che aveva precedentemente iniettato nel braccio di Renko. "È una scelta veramente combattuta." Il tono dell'angosiano era impregnato di sarcasmo oltre ogni possibile dubbio. "Sì, veramente combattuta, ma credo che... credo che continuerò con lo spettacolo! Allegriaaaaaaaa!!!" esclamò, alzando le braccia al cielo e voltandosi verso un pubblico urlante e in piena ovazione.
L'angosiano fece un giro della stanza, prendendosi ogni singolo applauso, senza lasciare che nemmeno un battito di mani andasse sprecato. Quando tornò di fronte a Renko, il volto di Gozar era di nuovo serio. "Eppure non so, accidenti, sono indeciso. Non so se posso rischiare di darti un'altra scarica... senti, facciamo così..." l'angosiano si avvicinò con fare cospiratorio, "...le scosse che avresti dovuto prenderti tu le darò ai tuoi amici, che ne dici?"
"No!" scattò Renko. "No, non è necessario." L'ibrido guardò di sfuggita il tabellone e poi i suoi compagni. Ormai erano allo stremo delle forze e non potevano permettersi di sopportare anche la sua parte, no, non potevano.
"Allora veniamo ad un compromesso, te lo concedo giusto perché mi stai facendo divertire" concesse Gozar con magnanimità. "L'ultima scossa, quella che ti stavo dando e che ho dovuto interrompere per iniettarti questo" Gozar riportò la siringa all'attenzione, "solo quella darò ad uno solo dei tuoi amici, molto meglio, non trovi?" concluse l'angosiano sorridendo. "Forza! Scegli quale."
Renko lo fissò senza dire nulla, senza avere a disposizione nessuna risposta possibile a quella richiesta. Quando l'espressione sul volto di Gozar iniziò a farsi insofferente, il delta gammano si rese conto che il protrarsi del silenzio non sarebbe stato più tollerato. "Era mia, no? Dalla a me" chiese, quasi pregando di ricevere la sua parte di torture.
"Sei monotono" gli rinfacciò Gozar. "Visto che non apprezzi la mia cortesia allora sceglierò io, per te."
L'angosiano si diresse verso la sedia di Foster. L'umano era accasciato, forse svenuto e Renko maledisse che non gli fosse permesso svenire a sua volta perché se solo... se solo... Renko lottò contro i legacci metallici con l'unico risultato di scorticarsi la pelle dei polsi.
Gozar calibrò la corrente elettrica su novanta, un settaggio mortale considerate le condizioni del terrestre, poi si accinse a pigiare il bottone con aria solenne e fare scenico.
"A Ripley!" L'urlo di Renko riecheggiò per la stanza, bloccando il gesto dell'angosiano, che si voltò di nuovo verso l'ibrido. "Ho scelto" gli disse Renko con la voce che gli moriva in gola. "La donna, dalla a lei."
"È così che vi insegnano ad essere cavalieri, in quella vostra corporazione?" chiese Gozar, mentre un sorriso di puro divertimento gli conquistava la faccia e la sua mano si abbassava sul bottone. "L'ho sempre detto che i giovani d'oggi non hanno più rispetto per niente."
Ripley si inarcò sulla sedia fra gli spasmi di dolore ed il respiro di Renko si bloccò. L'ibrido si voltò lentamente verso la donna che contraccambiò il suo sguardo malgrado avesse il volto deformato dalla sofferenza. Gli occhi di lei dicevano 'Hai fatto bene, posso sopportare questo ed altro', ma non fu di nessun sollievo per il delta gammano, le cui mani iniziarono a tremare leggermente e continuarono per l'intera durata della scarica, come se anche lui ne stesse assorbendo una parte malgrado gli elettrodi della sua sedia fossero a riposo.
Quando tutto fu finito, Gozar si ripresentò davanti a Renko. "Dicono che i delta gammani siano in grado di sopportare una notevole quantità di dolore fisico."
"Allenamento" rispose Renko con tono amaro e senza aggiungere altro.
"Gioisci, allora! Sei fortunato, perché forse riuscirò a finire l'interrogatorio senza doverti iniettare questa piccola meraviglia in quantità tale da spappolarti il cervello." Gozar si gettò alle spalle la siringa il cui fluido stava infiammando le membra e gli occhi dell'ibrido oltre ogni speranza di riposo. Per la stanza riecheggiò il 'tlack-tock' dell'involucro che colpiva il pavimento metallico.
"Sai che cosa è importante, in uno spettacolo come questo?" chiese l'angosiano, riferendosi a quell'allucinante interrogatorio che aveva strutturato come fosse un gioco a premi.
"No" sussurrò a malapena Renko.
"La colonna sonora. È fondamentale una buona colonna sonora. Perciò, se alla prossima scarica che sarò costretto ad elargirti tu ti ostinerai a sopportarla senza emettere un gemito come è successo finora... io ne sarò molto, molto contrariato." Gozar fece una pausa di tre secondi, per assicurarsi che le parole fossero state assorbite, poi continuò: "Bene, adesso continuiamo l'interrogatorio e io... voglio sentirti... urlare." L'angosiano sottolineò la sua richiesta afferrando la nuca di Renko e piegando a forza la testa dell'ibrido per costringerlo a guardarlo bene in faccia. "Sono stato chiaro? Non voglio assolutamente deludere il nostro affezionato pubblico, hai capito? Urla. E urla forte. Ed io saprò che sei sveglio e non dovrò sventrare né te né i tuoi amici per assicurarmi che non succeda nulla di spiacevole. Siamo d'accordo?"
Gozar non aspettò risposta, lasciò la presa sulla nuca di Renko con un ultimo strattone che fece sbattere la testa del delta gammano sullo schienale della sedia, poi si girò e fece per andarsene ma dopo qualche passo si voltò di nuovo, come se avesse avuto un ripensamento. "Ah, e un'ultima cosa" disse, "tutte le scariche energetiche che riceverai da ora in poi... ricorda che sei stato tu a chiedermi di dartele."
Quando Renko finì il racconto di come erano andate le cose, il velo della foschia sulla baia si era dissipato e l'oceano appariva come un profondo abisso nero che si confondeva con l'oscurità del cielo notturno.
"Allora?"
"Allora cosa? Sei tu che stai raccontando."
-Allora cosa?- si chiese a sua volta Renko. Che cosa si era aspettato, che Dalton esclamasse 'tutto qui?!' e se ne andasse ridendo?
"Almeno non ti sei addormentato" mormorò l'ibrido a fil di labbra. Talmente piano che non pensava Luke avesse sentito quel commento fino a che l'umano non gli rispose.
"Non racconti poi così male. Non vergognarti di parlare con un vero amico."
"Sì, ma dove lo trovo, a quest'ora di notte?"
Dalton si scostò dal muro e si rimboccò le maniche con un gesto plateale. "Ho cambiato idea" disse. "Sarò io a picchiare te."
"Era una battuta!" si schernì Renko, sorridendo e alzando le mani davanti a sé. "Tu ne fai in continuazione."
"Ma io l'ho elevato forma d'arte" disse Dalton, gonfiando il petto d'orgoglio, ma la posa non durò che due secondi, perché subito dopo le sue spalle si accasciarono. "E poi perché credi che la mia faccia tenda a calamitare i pugni?"
Renko scosse la testa a quel commento, avrebbe ridacchiato, se fossero stati in un'altra occasione. Il delta gammano si scostò anch'egli dal muro facendo un paio di passi verso il pontile. "Ho bisogno di rinfrescarmi un po'" disse. "Così mi schiarisco meglio le idee."
Il vociare di un gruppo di persone ruppe il silenzio che c'era stato solo fino a poco prima. Un nutrito numero di avventori stava percorrendo la via adiacente alla baia dopo essere uscito dal Dragon Flame.
"Ehi! Che vuoi fare? L'acqua sarà gelata!" gridò Luke all'indirizzo di Renko.
Tuttavia non fece niente per fermarlo. Se farsi una nuotata avrebbe aiutato il frullato a sbrogliare il filo dei propri pensieri... allora che facesse pure.
'E dove lo trovo, a quest'ora di notte?' Luke ripensò divertito alla frase dell'ibrido, o meglio, al suo tentativo di umorismo e improvvisamente non lo trovò più tanto divertente.
Solo in quel momento l'umano realizzò che Renko non si sarebbe confidato con uno di loro, se non ci fosse stato spinto.
Per ragioni più che valide, il gruppo aveva deciso di tenere segreta l'intera fetta dell'avventura che riguardava il presente alternativo ferengi. Renko aveva solo loro quattro per confrontarsi, ma se anche avesse ammesso con se stesso di avere un problema molto prima, e avesse deciso di chiedere consiglio... da chi sarebbe andato? Da un vulcaniano glaciale? Da una donna dalle maniere spicce che mostrava simpatia per Gozar? O da due veterani di guerra che lo trattavano come un fratellino ingenuo, giustificandosi dietro la loro passata esperienza militare?
Chi tra loro si preoccupava realmente di cosa pensasse Renko, di quali fossero i suoi bisogni, i suoi problemi, le sue emozioni... in una parola, di chi fosse la persona che si nascondeva dietro agli occhiali schermanti e ai proverbi del Maestro? Luke non aveva risposte. Iniziò a domandarsi se aveva anche solo le domande.
Il delta gammano nel frattempo si era tolto la casacca e gli stivali della divisa da cadetto, per poi tuffarsi dal bordo del pontile. Lo 'splash' della sua entrata in acqua giunse appena dopo un secondo.
Immerso ancora nelle sue considerazioni, Dalton non fece caso ai commenti del gruppo di persone che stavano transitando lì vicino.
"Avete sentito anche voi? Qualcuno è caduto in acqua?" chiedevano.
Come spesso succede in queste occasioni, ben presto le informazioni vennero distorte e le supposizioni si autoalimentarono ingigantendosi. Infatti, neanche due secondi dopo, Dalton fu distolto dai suoi pensieri da una serie di esclamazioni che andarono da: "Ehi! Qualcuno è caduto in acqua." Fino a: "C'è qualcuno che affoga!"
Luke si voltò verso il gruppo di astanti con l'intenzione di tranquillizzarli che nulla di tutto questo stava accadendo. Ma non fece in tempo. Un uomo gli sfrecciò davanti con una velocità sorprendente e in meno di cinque secondi si era tuffato anch'egli in acqua.
Il gruppo di persone restò in attesa sul molo, tentando di scrutare nel buio e di capire cosa stesse succedendo tramite i rumori provocati dallo sciabordio dell'acqua.
Quando l'intrepido soccorritore riuscì ad issarsi di nuovo sul molo trascinando con sé il cadetto che aveva appena salvato dall'oceano, scoppiò uno scroscio di applausi e di esclamazioni di sollievo.
"È morto?" chiese qualcuno, con apprensione.
"No" rispose conciso Gozar, ossia il 'salvatore'. "È che si agitava e urlava. Può succedere a chi sta affogando, così... ho dovuto condurlo alla ragione."
Gozar aveva steso Renko a pancia in giù, come da manuale, ed ora gli stava premendo sulla schiena per fargli espellere l'acqua dai polmoni.
Peccato che Renko non avesse neanche una goccia d'acqua nei polmoni, perché non stava affatto affogando. L'ibrido sentì le ossa della cassa toracica scricchiolare pericolosamente e prima di ritrovarsi con qualche altra costola rotta se ne uscì con un'esclamazione che riecheggiò a lungo nella baia.
Seguendo una ben precisa linea di politically correct, il traduttore universale non convertì in galacta l'imprecazione e forse fu una fortuna. Inoltre, vedendo che il cadetto respirava più che bene e che i suoi polmoni erano più che attivi, Gozar lasciò la presa senza prodigarsi oltre nelle operazioni di soccorso.
Renko tentò di alzarsi, per poi distendersi immediatamente in posizione supina, cercando di riaversi da quel salvataggio inopportuno. Guardando di sottecchi Gozar, gli fece cenno di avvicinarsi.
L'angosiano lo guardò accigliato e poi si chinò leggermente. "Vuoi qualcosa?" chiese.
"Sì" sussurrò Renko. "Lo vede quel tipo laggiù che sta ridendo come un matto?" disse a fatica l'ibrido, indicando nella direzione di Luke. "Salvi la vita anche a lui, una volta ogni tanto."
Gozar restò incerto su cosa rispondere, pensò solo che forse il cadetto era ubriaco e l'acqua avesse semplicemente cancellato l'odore di alcool.
"E mi faccia un altro favore, per piacere" chiese ancora l'ibrido, sempre a fil di voce. "Si scordi della mia esistenza."
Renko guardò l'espressione di Gozar e poi si voltò verso Luke, che era piegato sulle ginocchia e che si stava tenendo la pancia.
Improvvisamente anche l'ibrido scoppiò a ridere irrefrenabilmente, senza più riuscire a fermarsi. Provò ad alzarsi ma non ce la fece, anzi, dovette girarsi su di un fianco per riuscire a riprendere fiato... per poi scoppiare di nuovo a ridere. Per la prima volta negli ultimi giorni si stava lasciando andare, sfogando tutto quello che si era portato dentro, coscientemente o meno.
"Ehi, tu!" abbaiò Gozar, con le sue solite maniere spicce, ad uno dei passanti. "Avverti il soccorso medico che c'è anche la possibilità di danni cerebrali."
Il campanello dell'alloggio di Vaarik trillò.
"Avanti" disse il vulcaniano.
Stavolta Vaarik non si stupì di vedere Iris Bi entrare, infatti grazie al suo fine udito aveva già riconosciuto il passo della ragazza avvicinarsi ancora prima di udire il suono del campanello.
"Ancora in cerca di Dalton?" le chiese.
"No" disse la ragazza, con una sfumatura di imbarazzo. "Sei solo?"
"Noti qualcun altro, nella stanza?"
"Bene" disse la trill, infastidita da quell'abitudine di rispondere alle domande con un'altra domanda. "Volevo giusto parlare con te."
"Davvero?" Vaarik alzò un sopracciglio per sottolineare la sua curiosità.
"Non mi rendi affatto le cose più facili, sai?" sbottò Iris Bi. "Comunque, non farò inutili giri di parole. Volevo solo dirti... grazie."
Il vulcaniano non rispose subito. Aveva l'impressione, infatti, che la ragazza non avesse ancora finito. "Ancora non ho capito che cosa esattamente tu abbia fatto. Comunque ha funzionato. Almeno credo. Beh... forse è un po' presto per dirlo, ma conosco Renko da quasi due anni e credo proprio che abbia ritrovato il suo centro di gravità."
"In questo caso..." disse il vulcaniano, con voce pacata. "Prego."
Iris Bi, tuttavia, sembrava non considerare il discorso chiuso. Infatti la trill rimase ben piantata di fronte a Vaarik, e quando questi alzò un sopracciglio interrogativamente, la ragazza si rese conto che non le avrebbe detto più nulla spontaneamente. Quindi non le rimase che sollecitarlo: "Allora, vuoi spiegarmi sì o no?"
"No" si limitò a rispondere Vaarik, con tono laconico.
Ad Iris Bi occorse il minimo degli sforzi per far finta di non aver sentito. "Perché mi hai chiesto di crackare il registro della Segreteria per cambiare le supplenze? Che cosa avrebbe a che fare un semplice corso teorico di lotta con lo stato d'animo di Renko?"
"Alcuni istruttori comunicano più di altri" disse Vaarik, per nulla esauriente. "Sbaglio o il nostro patto era: niente domande?"
Iris Bi fece per ribattere ma poi si rese conto che con questo vulcaniano era inutile. La trill si scosse nelle spalle: "D'accordo. Allora... arrivederci."
La ragazza si voltò, uscendo dall'alloggio. Nel suo tono di voce, al vulcaniano parve di leggere una sfumatura che diceva che la trill non si sarebbe accontentata a lungo di quella spiegazione. Ma per il momento sembrava aver deciso di non insistere.
Appena Iris Bi se ne fu andata, Dalton uscì dalla camera da letto. "Allora, beccamorto. Hai finito di intrattenere le signore?" lo provocò, come sempre.
"Il tuo commento è come al solito fuori luogo, Dalton" si limitò a rispondere Vaarik. "Se sei ancora irritato per il fatto che io non ti abbia permesso di partecipare alla conversazione, le ragioni dovrebbero essere più che evidenti perfino a te."
"Orecchie a punta, costringermi a nascondermi solo perché hai sentito dei passi in avvicinamento non è esattamente ciò che io chiamo un bene per la mia dignità. Perciò non avere paura di offendermi più di quanto tu faccia di solito, dammi pure una tua versione dei fatti."
"Hai scordato che abbiamo un piccolo segreto da nascondere, Dalton? Meno informazioni viene a sapere la trill e meglio è per noi. Per ora non ha la certezza che anche tu sia coinvolto in questa storia. Facciamo in modo che le cose restino così."
"Mi piace il tuo metodo, sai? Fai fare al tuo compagno di stanza il lavoro 'duro' e tu ti prendi i ringraziamenti dalle ragazze... sai, credo lo adotterò anch'io in futuro."
"Io non sarei stato per nulla convincente nel ruolo del confidente premuroso" puntualizzò Vaarik. "E comunque ho ritenuto che dati i tuoi ripetuti e immotivati scoppi di emotività saresti stato più adatto nel... credo che il termine corretto sia: sbloccare le emozioni altrui."
Luke sbuffò rassegnato, alzando gli occhi al cielo, a volte sentiva l'impulso di afferrare il vulcaniano e scuoterlo, ma forse non si trattava d'altro che di un impulso causato dalla sua 'immotivata emotività'.
Eppure, malgrado Vaarik dicesse di non comprendere le emozioni, non aveva affatto agito stupidamente. Appena saputo che Gozar si trovava in Accademia, aveva chiesto quello strano 'favore' a Iris Bi. Il vulcaniano sapeva che doveva mettere Renko di fronte ai suoi fantasmi, prima che Luke potesse affrontarlo direttamente. Ma come dice il proverbio: a dispensar consigli per il bene altrui si è sempre maestri.
"Era carina, almeno?" chiese Luke, cambiando argomento.
"È la compagna d'alloggio di Renko, Dalton. Non l'hai mai incontrata, prima?"
"Sì, ma solo di sfuggita. Ti rendi conto, orecchie a punta? Quel ragazzino che non è neanche in grado di rendersi conto della fortuna che gli è capitata, ha una compagna d'alloggio donna! E io? Mi ritrovo con il beccamorto vulcaniano... e poi mi chiamano Lucky... senza offesa, eh? Dunque, che tipo è, a parlarci da vicino?"
"Dalton" chiese Vaarik, con tono cupo. "Non avrai intenzione..."
Il vulcaniano fu interrotto da Luke, che si era portato le mani al petto simulando il dolore subito da un torto ingiusto. "Ma che ti salta in mente, beccamorto?! È questa la considerazione che hai di me? Che razza d'uomo pensi che io sia? Credi che io perda la testa per ogni gonnella che vedo passare?"
Vaarik suppose si trattasse di una domanda retorica e non si prese la briga di rispondere alla sceneggiata plateale dell'umano. Dalton si divertiva a provocarlo e non sempre il vulcaniano aveva voglia di dargli soddisfazione. Questa fu una di quelle volte e Vaarik si limitò a voltargli le spalle per tornare alle proprie occupazioni.
"Ho capito" sospirò Luke. "È già impegnata."
Il vulcaniano si fermò, voltando solo la testa in direzione di Dalton e fissandolo per qualche secondo senza dire nulla.
"Può darsi..." rispose poi, enigmatico e chiudendo lì la conversazione.
La luna era piena, quella notte, e solcava il cielo in tutta la sua luminosità. Renko si fermò un attimo a fissarne lo splendore, poi si diresse verso la palestra.
Anche quella notte aveva un allenamento in palestra, però... che sonno... il delta gammano sbadigliò, aprendo la bocca in cerca d'aria.
"Fa fatica a respirare?" chiese una voce conosciuta spuntando improvvisamente dal nulla.
Renko si voltò di scatto verso il suono di quella voce, accorgendosi improvvisamente di star sudando freddo. Quello che vide lo fece congelare sul posto.
Gozar uscì dalle tenebre come se ne fosse stato creato e si diresse verso di lui. "Mantenga la calma" esclamò l'angosiano. "Potrebbe avere ingoiato qualcosa che è rimasto incastrato nelle vie respiratorie, ma non si preoccupi, conosco perfettamente la tecnica per farlo espellere."
Renko ebbe l'impulso di scappare ma i suoi piedi sembravano aver messo radici nel suolo. Gozar lo afferrò saldamente per il torace e gli diede un colpo secco sulle costole. Renko ebbe solo il tempo di sentire il rumore delle ossa che si incrinavano.
Tentò di urlare.
L'urlo echeggiò per la stanza e Renko si ritrovò seduto nel buio più completo, con le orecchie rintronate dalla propria stessa voce.
Appena l'ibrido si fu svegliato del tutto, si rese conto di essere all'interno del suo alloggio.
"Tutto bene, Renko?" domandò la sua compagna di stanza con voce a metà strada tra il premuroso e l'irritato, senza emergere dal cumulo di coperte sotto il quale era sepolta.
"Era solo un incubo" biascicò il delta gammano con voce assonnata. Poi sbuffò e si ricacciò giù, addormentandosi di colpo appena la testa ebbe toccato il cuscino.
Da quando i suoi incubi erano tornati quelli di sempre, Renko non faceva più fatica a dormire.
The End