La luna era piena, quella notte, e solcava il cielo in tutta la sua luminosità. Renko si fermò un attimo a fissarne lo splendore. Si diresse verso la palestra con sollievo, aveva bisogno di sfogarsi, l'avventura nell'Universo Ferengi era ancora così fresca nei suoi ricordi che si ritrovava ad essere grato per quell'allenamento a tarda ora. Non aveva la minima voglia di stendersi al buio nel suo alloggio a tentare di dormire.
Il tifo scatenato si poteva udire perfino dagli spogliatoi. Urla di incitamento giungevano dalla stanza dove solitamente veniva posizionato il ring per gli allenamenti di lotta. Il cadetto si accinse ad indossare la tenuta che veniva richiesta ai frequentatori della palestra. Per l'ennesima volta, non poté fare a meno di pensare come quell'abbigliamento fosse poco pratico ma ormai ci si era abituato. Lisciò la tuta che sembrava una divisa rimpiangendo gli abiti larghi e comodi che utilizzava al Castello di Kyôki, quando studiava arti marziali esoteriche.
Pazienza, un maestro deve saper combattere con qualsiasi tenuta.
Il baccano provocato dagli altri cadetti lo fece sorridere, almeno non si sarebbe annoiato a questa lezione. Avendo scelto la sezione sicurezza, i corsi di lotta e autodifesa erano a frequenza obbligatoria ma, riguardo alle tecniche in sé, aveva scoperto di saperne qualcosa di più degli istruttori dell'Accademia. Il combattimento diretto, era su questo che doveva allenarsi, aveva infatti poca esperienza di risse malgrado fosse diventato un maestro nelle arti marziali esoteriche e, a quanto poteva sentire, stasera si stavano disputando degli incontri.
Renko si stiracchiò per stendere i muscoli e si diresse verso la porta. Un cigolio alle sue spalle lo bloccò sul posto. Non che si trattasse di qualcosa di strano, era il normale cigolio che può fare lo sportello di un vecchio armadietto quando si apre, solo che quel rumore giungeva inaspettato, non c'era nessuno negli spogliatoi.
A ridosso di una parete, una fila di armadietti antichi fatti in lamiera veniva tenuta lì per far folclore, alla stregua di mobili d'antiquariato. Una delle ante si era aperta, cigolando. Tutto appariva tranquillo e il cadetto uscì dagli spogliatoi per dirigersi verso la palestra.
Una moltitudine di persone affollava la sala che era diventata improvvisamente troppo piccola per fornire ossigeno a tutta quella gente. Al centro, dei fari illuminavano un ring lasciando in penombra il resto dell'ambiente.
Non fu facile aprirsi una via verso il quadrato fra tutta quella gente che si dimenava. Non riusciva a vedere quasi nulla dei due sfidanti, sembrava quasi che l'altezza media dei cadetti fosse cresciuta magicamente, stava per mettersi a saltellare quando improvvisamente la folla si divise in due ali ed un sentiero sospettosamente sgombro da ostacoli apparve ai suoi piedi. Renko prese al volo l'occasione e si precipitò sotto alle corde prima che la via venisse nuovamente inghiottita.
I fari posizionati ad illuminazione del quadrato di combattimento erano abbaglianti, fortuna che l'ibrido aveva ancora con sé gli occhiali schermanti. Alzò lo sguardo verso il ring per farsi un'idea di come stava procedendo l'incontro. Dei due combattenti uno gli dava le spalle ma la sua figura era familiare, l'altro l'aveva direttamente di fronte. Lo guardò in faccia e si stupì di vederne i lineamenti del volto stravolti da una smorfia di terrore. C'era qualcosa di sbagliato, di tremendamente sbagliato in tutto questo. Un brivido gli percorse la schiena.
Il combattente che gli stava dando le spalle scattò immediatamente in avanti, afferrando l'avversario per il braccio e torcendoglielo in modo innaturale. Il crock dell'osso che si rompeva fu coperto dal frastuono della folla. Soltanto Renko, così vicino al ring, riuscì ad udirlo e, senza pensare a ciò che stava facendo, scattò in avanti. Balzò agilmente oltre le corde, atterrando dritto davanti all'aggressore che, nel frattempo, stava tempestando di colpi il viso del povero ragazzo svenuto. Renko cinse per la vita il combattente sconfitto, allontanandolo dall'attaccante e frapponendosi fra i due come scudo.
L'aggressore si bloccò e dalla sua gola uscì un gemito di frustrazione, qualcosa gli aveva sottratto la preda. Strinse i pugni in maniera così violenta che delle gocce di sangue iniziarono a colare dalle sue stesse mani. Teneva lo sguardo abbassato, fissando il punto in cui si trovava il proprio bersaglio solo qualche secondo prima, i capelli gli erano caduti sul volto coprendone i lineamenti. Quando infine percepì la presenza di un intruso sul ring realizzò che il divertimento non era finito, una nuova preda era ora davanti a lui. Con un sorriso sinistro alzò gli occhi per affrontare il nuovo avversario e Renko si trovò improvvisamente a guardare dritto nella follia di Gozar.
Lo scintillio di quello sguardo paralizzò i lineamenti del cadetto in una maschera allibita, mentre la mente volava indietro nel tempo di qualche giorno, quando aveva incontrato quella luce distorta per la prima volta... in un altro universo.
"Oh, guarda guarda chi si rivede" la voce profonda di Gozar strappò l'attenzione di Renko dai propri ricordi per precipitarla di nuovo sul ring. "L'altro lato del truffatore."
Le labbra del cadetto si schiusero più volte prima che un suono qualsiasi potesse uscirne. Renko fece un passo indietro, prendendo le distanze da quell'apparizione, pensando freneticamente a come potesse essere possibile, come potesse essere possibile che...
"Tu sei morto" gli disse, non era un'accusa, era un semplice ricordo.
L'aveva visto morire, assassinato dal suo stesso superiore, agonizzare e poi spegnersi, mordendo la polvere del Pianeta del Sempre. Come poteva essere qui, si stava sbagliando, doveva sbagliarsi, non era lui, era Gozar, l'altro, quello vero. Si sbagliava, sicuramente aveva visto male, aveva creduto di cogliere negli occhi dell'istruttore l'ombra dell'alter ego. Non aveva senso... che il proprio corpo si fosse messo così improvvisamente all'erta, tendendosi a tal punto che quasi poteva percepire una leggera sensazione di dolore a filo di pelle.
-Calma- Ordinò a se stesso, tirando un respiro profondo e vedendosi disobbedito.
Si costrinse a guardare di nuovo nelle profondità dello sguardo di Gozar, in cerca di un qualsiasi segno che riportasse le cose ognuna alla propria realtà. Ma non lo trovò. Il falso istruttore gli restituì lo stesso, identico sguardo colmo di follia sadica.
Gozar si avvicinò, per un momento il suo sorriso sarcastico si rilassò in una parodia di tenerezza, poi scattò, una mano afferrò il bavero del cadetto strattonandolo verso di sé, mentre l'altra si chiudeva a morsa alla base della nuca, costringendo la testa a ribaltarsi verso l'alto, lasciando scoperta la gola.
"Mi sono mancate... le tue urla" gli sussurrò in un orecchio.
Quando Renko aveva visto Gozar scattare verso di lui... avrebbe potuto fermarlo. L'angosiano era così sicuro di sé che aveva tenuto la guardia completamente scoperta. Era in quel momento che il delta gammano avrebbe dovuto intervenire, prima che Gozar lo raggiungesse. E allora perché non si era mosso?
L'ibrido aveva visto il punto esatto in cui avrebbe dovuto colpire, spezzando la forza di Gozar insieme alla sua carne e alle ossa che la sostenevano. Solo un colpo ben piazzato e tutto questo sarebbe finito ed invece l'aveva lasciato avvicinare sempre di più... perchè le sue braccia non volevano alzarsi. Renko tentò disperatamente di scuotersi ma era come se i collegamenti nervosi che comandavano gli arti fossero andati in corto circuito. Aveva continuato a fissare la traiettoria che avrebbe dovuto seguire il suo pugno fino a che il momento di colpire venne e passò.
L'ibrido si ritrovò scaraventato contro il corpo di Gozar, sentì il proprio collo che veniva piegato all'indietro con la forza, sentì il fiato dell'angosiano sussurragli contro l'orecchio l'ennesima minaccia.
"Mi sono mancate le tue urla."
"Tu sei morto" gli rispose con voce spenta.
"No, io sono sempre con te" lo contraddisse Gozar, mentre la mano con cui lo teneva per la nuca iniziava a stringere sempre più forte, facendo scricchiolare le ossa del collo. Ancora un po' e la colonna vertebrale sarebbe stata schiantata.
Renko rivolse lo sguardo verso la folla, doveva trovare il modo di avvisarli, di fargli capire che questo non era il vero Gozar, ma quello che vide gli tolse il fiato più efficacemente del dolore che iniziava a farsi strada lungo l'intera spina dorsale.
Si trovò circondato da centinaia di sguardi torturati e di lineamenti stravolti dalla corrente elettrica. Vide specificatamente una scintilla passare dentro all'occhio di un cadetto e successivamente sfrigolare nella bocca aperta, come se i denti stessero facendo da elettrodi. Gli spettatori non si agitavano di propria volontà, i loro movimenti erano spasmi dovuti al passaggio della corrente ed erano casuali, frenetici, gli arti fremevano, scattando verso l'alto e poi di nuovo in basso senza nessun controllo e le urla... le urla non erano di incitamento, erano di agonia.
Chiuse gli occhi non sopportando più quella vista, il dolore, la paura.
Ad un ulteriore aumento della pressione della mano di Gozar sulla propria spina dorsale, l'aria che gli era rimasta nei polmoni esplose verso l'esterno, echeggiando nella trachea e scaturendo dalla sua bocca sotto forma di urlo, così come del semplice vapore acqueo può esplodere sotto forma di geyser.
L'urlo echeggiò per la stanza e Renko si ritrovò seduto nel buio più completo, fradicio e con le orecchie rintronate dalla propria stessa voce.
Fece scorrere i palmi delle mani sulle lenzuola bagnate di sudore. Si trovava nel proprio alloggio.
"Computer, luce" ordinò. "Tenue, molto tenue."
Un debole bagliore illuminò la stanza ed i contorni famigliari dei mobili. Con un gesto si disfece delle coperte in cui era rimasto aggrovigliato. Da quanto tempo non si svegliava più nel cuore della notte sudato fradicio? Da quando aveva superato i problemi di salute nell'adolescenza, forse. Da anni, praticamente, ed ora invece, grazie a quell'ultima esperienza col Guardiano del Sempre aveva gli incubi tutte le notti.
"Bastaaa!!" gridò alla stanza vuota.
Cascava dal sonno, non era riuscito a dormire un granché numero di ore ma non poteva tornare a coricarsi in quel letto che sembrava un acquitrino. Si alzò in piedi pensando che ora avrebbe anche dovuto cambiare la biancheria prima di potersi rimettere a dormire. Ma forse non aveva molta voglia di rimettersi a dormire, e sognare.
S'incamminò come uno zombie per l'alloggio in cerca di biancheria pulita finché non urtò il letto della sua compagna di stanza con le gambe. Lei non c'era, aveva un turno notturno o qualcosa del genere.
Renko crollò con le ginocchia a terra, affondando il busto ed il viso sul duro materasso. Le lenzuola erano fresche e asciutte sotto i palmi delle mani, inalò il profumo tipico che usava la trill, sentì le palpebre che si rilassavano, il respiro rallentare, stava quasi per assopirsi di nuovo quando un pensiero gli attraversò la mente svegliandolo completamente.
-Che sto facendo?-
Si tirò su di scatto, lasciando sulle coperte un leggerissimo alone del proprio sudore che sarebbe svanito di lì a poco.
-Sarà meglio che mi faccia una doccia.-
"Computer, luce a spettro modificato. Aumentare intensità del venti per cento."
La luce nell'alloggio aumentò mentre il colore ne risultava leggermente modificato per adattarsi alle esigenze visive di Renko. Il ragazzo annuì soddisfatto, grato di quel piccolo comfort, e si diresse verso la doccia.
Al di fuori dell'edificio la luna risplendeva, piena e senza ritrosia. Renko la guardò e non poté fare a meno di confrontarla con quella che aveva sognato solo qualche momento prima.
Stando al programma che gli era stato assegnato, quella notte Renko doveva veramente presentarsi in palestra. Per un attimo il delta gammano aveva pensato di saltare l'allenamento, dato che non si trattava di un corso obbligatorio e che lui era parecchio stanco, visto che dopo l'incubo non era riuscito a riprendere sonno. Ma poi aveva considerato che proprio perché non sarebbe riuscito a dormire in ogni caso, e che questo genere di attivitą comportavano un punteggio accademico extra, tanto valeva andare in palestra a sfogarsi un po'.
Quando entrò negli spogliatoi, fu accolto dal silenzio. Non c'era nessuno, la stanza era completamente vuota. Proprio come nel sogno, l'unica differenza era che non giungeva alcun rumore dalla palestra. Forse c'era speranza.
Iniziò a spogliarsi e, senza volerlo, lo sguardo gli cadde sulla fila di vecchi armadietti a lamiera, fissandosi sullo sportello etichettato G-2. Tutto era tranquillo, lo sportello rimase al suo posto, nessun tipo di fracasso o di urla giunse dalla palestra.
Riportò la propria attenzione agli indumenti da ginnastica ma fu inutile, il suo sguardo fu attratto nuovamente verso gli armadietti come se fosse calamitato da qualcosa. La rassicurante immobilità dello sportello ed il rassicurante silenzio sembravano nascondere qualcosa di losco. Renko scosse la testa, chiedendosi se non fosse il caso di prenotare una seduta da Cobledick, visto che probabilmente stava impazzendo.
Finito di cambiarsi si alzò in piedi, facendo cinque passi verso la porta, silenziosamente, come se avesse paura di farsi sfuggire un qualsiasi rumore. Tese il suo udito in cerca di un cigolio ma non ne poté udire alcuno. Si voltò allora verso lo sportello, che continuava imperterrito a restare chiuso. Lo guardò con sospetto per qualche secondo prima di rendersi conto di quanto fosse ridicolo il proprio comportamento e tirò un pugno contro il fianco della fila di armadietti.
-Accidenti, ma che sto facendo? Ho evidentemente bisogno di una seduta psicanalitica- sbuffò, espellendo, insieme all'aria, la tensione di cui si era caricato in quei giorni.
Quando si diresse verso la porta, un cigolio interruppe a metà la successiva inspirazione, gelando il gesto a metà come se una scheggia temporale lo avesse improvvisamente distaccato da questo continuum per scagliarlo in una realtà sospesa.
Renko si girò, trattenendo il fiato, lo sportello si stava pigramente muovendo sui cardini, che si lamentavano di quel lavoro a tarda ora.
Il cadetto si rivoltò nuovamente verso la porta, come se, distogliendo lo sguardo da quell'avvenimento, potesse fare in modo che questo non fosse mai avvenuto.
"Calma" si disse. "Sto veramente rasentando il ridicolo. Lo sportello si e' aperto a causa del mio pugno. Tanto ho atteso e tanto ho fatto che alla fine sono stato io stesso a farlo aprire, facendo avverare quel che è accaduto nell'incubo."
Avanzò energicamente verso gli armadietti e chiuse con violenza quel 'DapPoS' di sportello, facendo vibrare l'intera fila. Senza voltarsi indietro e con passo deciso uscì dagli spogliatoi. Dietro di lui, lo sportello G-2, reagendo al contraccolpo, si dischiuse lentamente, facendo echeggiare, nel silenzio dello spogliatoio, un sinistro cigolio.
La stanza per le esercitazioni si trovava all'altro capo del corridoio. Quel corridoio non era mai stato così lungo. Giunto a metà, Renko fu immobilizzato da un coro roboante provenire dalla palestra. Le voci si mischiavano fra loro nel tentativo di sovrastarsi a vicenda, si trattava indiscutibilmente di grida di incitamento, nella specifica: tifo.
Arrivato davanti alla porta Renko si bloccò.
-È proprio come nel sogno- non poté fare a meno di pensare.
Si era fermato al limite estremo del campo del sensore posto a guardia dell'entrata. Era come stare sull'orlo di un baratro, un minimo movimento e questo avrebbe captato la sua presenza, facendo schiudere i battenti su qualsiasi cosa si trovasse al di là di essi.
-Non ho mai avuto paura del buio- pensò. -Forse avrei dovuto, mi avrebbe aiutato a familiarizzare con questa sensazione.-
"Maestro," mormorò invece ad alta voce. "Ci sono cose che non mi hai insegnato."
[ / ]
"Io non posso insegnarti più niente ormai, Mienai Ryuu."
I ricordi riecheggiarono dentro alla propria mente e si ritrovò di nuovo al castello di Kyôki, in un tempo in cui non si chiamava ancora Renko, avvolto in una morbida e calda casacca di cotone.
"Ah. Ah." Aveva risposto al proprio Maestro, scandendo lentamente le vocali.
Il Maestro, seduto all'altro lato del basso tavolino, stava sorseggiando delicatamente il proprio tè e lo fissò da sopra la tazza.
"Ripassi l'alfabeto?" chiese, senza il minino segno di sarcasmo.
"No, rido allo scherzo" rispose fiducioso l'allievo.
"Potresti approfittarne per ripassare l'alfabeto, il mio non era uno scherzo, giovane Mienai-chan."
"Che significa che non vuole insegnarmi più nulla? Ho superato la prova. Sono tornato dalla Cima dei Ghiacci dopo cinque giorni, come previsto."
"Sì, è vero. Sei stato sul ghiacciaio per cinque giorni, senza vestiti e senza congelare. Hai appreso alla perfezione la meditazione del Pinguino in Casual, come hai appreso alla perfezione tutte le tecniche che ti ho insegnato finora, ma la conoscenza non e' fatta soltanto di collezioni."
"Non mi racconterà di nuovo la storia del sapiente che collezionava enciclopedie, disponendole sugli scaffali in modo che le lettere sulla costa formassero la frase 'Io non so niente'."
"No, ti racconterò la storia del giovane Ryuu che lasciava la sua scuola, dove aveva imparato tanto, per imparare ancora di più. È ora che tu vada, mio Muzyaky na Ryuu. Io non ho più niente da insegnarti, qui."
Mienai Ryuu non si era soffermato su cosa potesse significare il nuovo appellativo con cui l'aveva chiamato il Maestro. I suoi pensieri erano intasati dalle conseguenze che quella decisione, piombatagli fra capo e collo, potevano portare. No, proprio non riusciva a capire dove volesse andare a parare il Maestro, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era di non essere più desiderato al Castello.
[ / ]
"Maestro" mormorò ad alta voce, "Ci sono cose che non mi hai insegnato. E credi che io possa impararle da solo?"
Sentì l'impulso di tornare negli spogliatoi ma là c'era soltanto un vecchio armadietto aperto ad attenderlo. Raddrizzò le spalle, compiendo così il movimento che lo portò oltre la linea del sensore.
E le porte si spalancarono.
Il ring non era approntato. Il pubblico non gremiva i lati della stanza.
Al centro della palestra, una ventina di cadetti erano accovacciati per terra e si stavano sgolando attorno ad una qualche attrazione. Renko si avvicinò per poter veder meglio. Si trattava di un tabellone stellato con al centro una specie di torre sulla quale oscillava, premendo un apposito pulsante, la miniatura di un warp shuttle che, avanzando, finiva per scontrarsi ed abbattere altre miniature a forma di base spaziale.
"Ehi, Renko! Guarda cosa abbiamo trovato in uno dei vecchi armadietti dello spogliatoio" lo apostrofò un compagno di corso, tutto entusiasta, porgendogli una scatola voluminosa e colorata.
Renko la prese in mano come un automa e ne lesse la vistosa scritta sul coperchio. Ripensò a tutta la tensione che aveva accumulato, al suo incubo di qualche ora prima, al fastidioso senso di premonizione che lo aveva accompagnato durante tutto il percorso in corridoio, per ritrovarsi davanti a... "Gino Pilotino" scandirono le sue labbra.
"Gino Pilotino" ripeté con tono piatto, porgendo di nuovo la scatola al compagno.
Si voltò per dirigersi verso un sacco d'allenamento, in fondo era venuto lì proprio per sfogarsi. Il sacco gli si parava davanti, dondolando pigramente come a sfidarlo a fare qualcosa.
"Gino..." mormorò, e bang! Tirò un pugno contro al sacco, facendolo oscillare lontano da sé.
"...Pilotino" completò, prima di sferrare due calci in rapida successione al sacco che gli stava tornando incontro.
"Gino Pilotino" ribadì, partendo di nuovo all'attacco con il braccio destro.
Straaap.
Il rumore insolito attirò l'attenzione degli astanti che si voltarono a guardare. Il sacco era completamente immobile, nella sua naturale posizione a riposo. Renko vi affondava fino all'avambraccio. Senza volere aveva colpito esattamente sulla cucitura. Le sue dita, tese in un colpo di arti marziali, avevano fatto saltare i punti con precisione chirurgica ed ora, doveva ammetterlo, si sentiva piuttosto imbecille. Tentando di far finta di niente sfilò il braccio dal sacco, pulendosi alla bell'e meglio dai residui di imbottitura interna e, con nonchalanche, si avvicinò al gruppo di cadetti che solo qualche attimo prima era completamente assorto dallo strano gioco.
Guardando meglio il tabellone scoprì che aveva un'aria simpatica, il warp shuttle e le basi stellari super deformed erano piuttosto buffe, il tutto era contornato un'intrigante aura naïf.
"Ehi, come si gioca a questo gioco?" Domandò, facendosi contagiare dall'entusiasmo degli altri e ritornando il solito Renko di sempre.
Quando uscì dalla palestra stava albeggiando. Renko tornò in alloggio sentendo gli occhi che gli si chiudevano.
-Poco male- pensò -la vista è un senso sopravvalutato. Il ciottolo che si lascia trasportare dolcemente dalla corrente non ha bisogno di occhiali da guida.-
Arrivato in alloggio, Renko iniziò a sentire talmente la stanchezza che pensò di appoggiarsi giusto un attimo alla parete, solo per raccogliere le idee prima di iniziare ad organizzare la giornata, giostrandosi fra lezioni ed esercitazioni.
Sentì la giacca dell'uniforme che gli si arrotolava sulla schiena mentre scivolava lentamente sul pavimento, sia con il corpo che con la coscienza.
[ / ]
Il dolore non è che una linea bianca affilata che squarcia il buio con una luminosità così nitida da non illuminare null'altro che sé stessa.
Una linea bianca sollecitata che inizia a contorcersi cercando spazio, vibrando contro pareti molli e spugnose, come a tentare di aprirsi una nuova strada, colpendo e sferzando tutto ciò che c'è attorno.
E le linee non sono più una, sono decine, migliaia, miliardi, l'intera rete nervosa impiantata all'interno di un corpo che entra in risonanza e poi vibra impazzita.
Vibra impazzita.
Vibra.
Renko aprì gli occhi, occhi che bruciavano. Sentì la sua coscienza intrappolata da una prigione ossea anelare la libertà al di fuori di quell'involucro con cui divideva gran parte della sua esistenza. Non solo gli occhi gli bruciavano, ma anche la parte di testa che vi stava subito dietro era in fiamme.
Li chiuse, o li aveva già chiusi?
Li chiuse strizzando le palpebre così forte fino a sentirne il tocco di una contro l'altra. Ma era ancora come se avesse gli occhi spalancati. Qualsiasi cosa facesse era come se avesse gli occhi spalancati al di là di ogni speranza di riposo.
-Respira 451, respira- si disse. -Forza che ci sei già passato, non dirmi che hai perso l'allenamento... in questi ultimi anni di buona salute non sarai mica diventato un ibrido viziato?-
"Come andiamo?" sentì una voce chiedergli allegramente.
Bruciore al braccio, bruciore alla spalla, bruciore alla testa.
"Allora?!" insisté la voce. Una voce che avrebbe preferito non udire mai più, una voce la cui sfumatura di allegria si era venata di irritazione.
Ci fu un semplice schiocco, forte, deciso. Un suono così puro poteva essere prodotto solo da un'artista che si fosse esercitato parecchio.
E la testa dell'ibrido scattò di lato, sotto l'impatto dello schiaffo di Gozar. Altro dolore, nient'altro che altro dolore, ma niente biologia, stavolta.
-Sei tu- pensò Renko.
Niente strutture genetiche impazzite.
-Sei solo tu- si rese conto l'ibrido.
Niente nemico invisibile, medicina impotente, predestinazione.
-Sei tu che ci fai questo.-
Lo sguardo di Renko trapassò Gozar come un'accusa.
La smorfia di scherno dell'angosiano l'accolse, riempendosi d'orgoglio.
[ / ]Si svegliò che era giorno pieno. Qualcuno aveva penetrato la sua guardia, togliendogli gli occhiali schermanti e tenendolo per una spalla.
La ripresa di coscienza fu immediata. Accecato, reagì d'istinto, afferrò il polso della mano che lo afferrava e fece leva sul braccio, sbilanciando l'avversario e bloccandolo a terra. Sentì un grido ed una voce femminile che esclamava: "Renko!"
Il corpo che aveva sotto di sé era snello e caldo, riconobbe un profumo familiare e la parola che da due anni a questa parte era diventata il proprio nome.
"Renko" ripeté la voce, con una strascicata eco di preoccupazione.
Renko inspirò a fatica per due volte prima di lasciare la presa. Annaspando, cercò i propri occhiali, trascinandosi su mani e ginocchia verso il punto in cui li aveva sentiti cadere.
"Renko" ripeté per la terza volta Iris Bi, accovacciandosi vicino a lui e mettendogli una mano sulla schiena mentre, con l'altra, spingeva gli occhiali verso le sue dita.
Renko inforcò gli occhiali e si alzò in ginocchio, appoggiando il peso sui talloni, mentre la mano di lei risaliva la colonna vertebrale per poi fermarsi alla base del collo, massaggiandogli i muscoli per scioglierne la tensione.
"Renko, stai bene?"
"Mi sono addormentato" biascicò in risposta. "Che ore sono?"
"È prima mattina. Sono appena rientrata dal turno e ti ho trovato per terra."
Renko si strofinò gli occhi, scostando solo appena gli occhiali e si alzò in piedi, sperando di riuscire a tenere a bada il mal di testa che sentiva arrivare.
Iris Bi rimase a terra con le braccia ancora a mezz'aria. Renko si era allontanato come se non fosse minimamente cosciente che lei gli fosse vicino e gli stesse massaggiando le spalle.
"Sei sicuro che sia tutto a posto? Da quando sei tornato..."
"Devo andare." Ed uscì senza voltarsi indietro, né far caso a ciò che lo circondava.
Camminando per il corridoio, Renko aveva tentato di ricomporsi, riuscendoci per tre quarti. Non era tanto la stanchezza fisica ad esaurirlo, a quella era abituato, erano i pensieri sparpagliati e la rabbia inconscia che non riusciva ad armonizzare tramite la meditazione.
Riuscì a riposarsi dormendo per l'intera lezione di fisica sulle armi a matrice quantica.
Iris Bi, nel suo alloggio, si era già da tempo alzata dal pavimento, ma solo per andare a sedersi davanti alla consolle del computer. Sebbene avesse appena terminato un turno di notte, e la stanchezza iniziasse ad avere il suo peso, sentiva di non poter andare a dormire fino a che non avesse chiarito cosa stesse succedendo. Non le era mai capitato, in quasi due anni da che lo conosceva, di vedere Renko in quello stato. L'aveva visto stanco, sfinito, demoralizzato, indignato addirittura, ma quell'aria di ottimismo e serafica pace che pervadeva ogni sua azione, e di cui lei aveva provato invidia, sembrava essere irrimediabilmente incrinata. E lei aveva bisogno di quell'esuberanza. Sia quando era in lotta con la propria rabbia e la propria frustrazione per ciò che la burocrazia le stava facendo, sia quando era in lotta per tenere il suo essere intatto, per non lasciarsi travolgere da secoli di ricordi non suoi e dalle sedici personalità del simbionte, aveva trovato, nel fermo entusiasmo di Renko, un centro di gravità che ridimensionava qualsiasi situazione.
Lo rivoleva indietro, per quanto lo avesse trattato sempre piuttosto rudemente non poteva sopportare che Renko si trasformasse in uno sconosciuto.
Tutti i file a cui Iris Bi poteva accedere con il proprio codice da cadetto erano classificati come riservati. Negli ultimi tempi il livello di prudenza della Flotta aveva subito un notevole giro di vite. Tentare di inserirsi in settori riservati senza essere scoperti era diventato sempre più difficile, se avesse cercato di bypassare il blocco sarebbero scattate immediatamente le contromisure.
Tuttavia, dopo aver sostenuto e passato gli esami le era stato consegnato un codice di autorizzazione che le permetteva l'accesso allo stesso livello di un ufficiale. Anche se poi le avevano congelato il diploma in attesa di risolvere la controversia dei trill con o senza simbionte, nessuno aveva pensato a revocarglielo. Per una volta i bachi della burocrazia erano risultati incredibilmente a suo favore e lei non perdeva occasione per approfittarne, almeno questo le era dovuto.
Iris Bi inserì il codice di livello più alto e riprovò l'accesso. Il numero dei file catalogati come 'riservato' diminuì drasticamente ma ciò che le interessava rimaneva oltre la sua portata. Da quel che poteva capire, il Dipartimento Temporale stava ancora finendo di interrogare i cadetti ed il personale che si trovavano sul Pianeta del Sempre al momento del 'disguido'. Avevano già rilasciato Renko e Vaarik ed ora stavano raccogliendo la deposizione di Dalton, poi sarebbe toccato a Foster e quindi a tutti gli altri cadetti, malgrado questi ultimi non avessero assistito personalmente al 'salto'. Prevedevano ancora una settima di raccolta dati prima di potersi creare un quadro esauriente e capire se l'interferenza temporale potesse aver avuto qualche ripercussione sulla storia.
Però c'era qualcosa che non quadrava del tutto. Da quel che poteva vedere, almeno Dalton era già stato interrogato sulla Huston, durante il viaggio di ritorno, e se era così, molto probabilmente gli agenti avevano fatto domande anche agli altri. E allora qual era il motivo di questa seconda chiamata? Eccesso di zelo?
"Ma certo che no" si rispose da sola, "Vogliono vestire di ufficialità l'indagine a beneficio della massa, quando in realtà i giochi sono già stati fatti."
Tentò di arrivare alle deposizioni rilasciate sulla Huston, quelle 'vere', ma erano tutte catalogate come materiale riservato e non poteva accedervi.
Stese le dita sui comandi manuali del terminale, chiedendosi se fosse o meno il caso di provare ad inserirsi clandestinamente nel sistema ma poi decise per il no. Non si trattava del diario personale di qualcuno ma di un'investigazione del Dipartimento Temporale, la sorveglianza sarebbe stata strettissima. Iris Bi soppesò i rischi ed i vantaggi di quell'azione. La tentazione di introdursi era forte, ma se la beccavano non avrebbe avuto una seconda occasione per scoprire cosa fosse successo, durante l'incidente del Guardiano, per cambiare Renko a tal punto. E, molto probabilmente, non avrebbe neanche avuto una seconda occasione di toccare un computer come libera cittadina.
Le sue mani scivolarono lentamente via dai comandi, doveva tenersi quella possibilità come ultima risorsa. Avrebbe pensato a qualcos'altro, ma prima era meglio darsi una rinfrescata e riposare.
La trill si alzò dalla poltroncina per dirigersi verso il bagno quando un oggetto rettangolare, dimenticato sul pavimento, attirò la sua attenzione. Quando lo raccolse, ritrovandosi fra le mani il Padd di Renko, gli ci volle un minuto buono per ricacciare indietro lo stupore. Stupore perché non poteva credere alla fortuna che aveva avuto e stupore per il fatto che Renko non si fosse accorto di non avere il suo indispensabile Padd con sé.
Richiamò tutte le informazioni più recenti e lesse i rapporti che il suo compagno di stanza aveva stilato riguardo il salto temporale. Parlavano di una città terrestre chiamata Sacramento, dove avevano incontrato un giovane Cobledick che si stava dando al turismo. Dopo essere riusciti a costruire un invertitore di fase erano tornati al XXIV secolo. Tutto qui. Il Padd non dava altre informazioni utili.
Iris Bi esaminò i rapporti ancora una volta tentando di leggere fra le righe ma non riuscì a trovare assolutamente nulla che potesse spiegare l'attuale stato d'animo del proprio compagno di stanza.
Guardando il padd in cerca di qualche idea, facendo scorrere le dita sulla sigla di identificazione, 55C9, fu colta dall'improvvisa illuminazione che probabilmente ci sarebbero stati anche dei file in cui Renko parlava di lei.
Le mani della trill iniziarono a muoversi meccanicamente ma la sua coscienza iniziò ad intromettersi, avvertendola che non era giusto quel che stava facendo e bloccandola nella sua operazione.
Inoltre, se avesse aperto quei file, ne sarebbe rimasta traccia nella memoria.
Oh, non importava, avrebbe sempre potuto cancellarla o riscriverla.
Riportò il Padd davanti agli occhi ma senza troppa convinzione. In questo modo avrebbe tradito la fiducia di Renko. E poi... poi non poteva perdere tempo per queste cose, il suo obiettivo era un altro. Rinunciare alla propria curiosità, per quanto forte, sarebbe stato un segno di rispetto nei confronti del compagno di stanza. Si diresse alla scrivania di Renko e vi appoggiò il Padd.
Resistette per ben venti secondi prima di riprenderlo in mano e scaricarne i dati sul proprio terminale.
Non aveva tempo adesso, ma più tardi, forse...
La targhetta a fianco della porta diceva: Cadetto Vaarik cha' Temnok/Cadetto Luke Dalton. Iris Bi trasse un respiro, non aveva delineato una tattica precisa, la sua intenzione era semplicemente quella di parlare con l'umano riguardo a Renko. Anche se Dalton era arrivato in Accademia da relativamente poco tempo, aveva già legato con il gruppo di amici che Renko frequentava abitualmente. Il suo compagno di stanza le aveva parlato dell'ex pilota, galante con il gentil sesso quanto fortunato al gioco, che proveniva da un altro continuum temporale.
La trill allungò la mano verso il campanello ed attivò l'avvisatore acustico che segnalava la presenza di un visitatore. La porta si aprì quasi immediatamente su di una stanza in penombra.
"Avanti" si sentì invitare da una voce priva di intonazione.
Iris Bi entrò nel silenzioso alloggio con circospezione, non era quello che si era aspettata. In un angolo della stanza, una figura accovacciata si alzò per venirle incontro.
Quando Vaarik riconobbe la visitatrice alzò un sopracciglio, si trattava della compagna di stanza di Renko. Si conoscevano di vista, gli era capitato spesso di vederla quando passava a prendere l'ibrido nel suo alloggio e avevano anche scambiato un paio di convenevoli. Tuttavia la trill lo aveva sempre guardato con la stessa sfumatura di perplessa diffidenza con cui lo guardava la maggio parte dei cadetti che incrociava per i corridoi. O così era sembrato a lui, fino a che Renko non gli aveva spiegato che Iris Bi guardava tutti con diffidenza, senza alcuna discriminazione.
"Buon pomeriggio, Iris Bi, a cosa devo l'onore di una tua visita?" Il vulcaniano snocciolò la frase di rito con lo stesso tono piatto usato in precedenza.
"Beh... veramente stavo cercando l'umano... Dalton." La ragazza sembrava lievemente in imbarazzo. "Scusami, ho interrotto qualcosa?" chiese poi, osservando la stanza semi buia e la coperta stesa a terra.
"In realtà stavo tentando di meditare..." spiegò il vulcaniano, che aveva seguito lo sguardo di lei "...approfittando dell'assenza del mio compagno di stanza. Dalton si trova attualmente presso il Dipartimento di Investigazioni Temporali per rilasciare la sua deposizione e temo starà via a lungo."
Vaarik aveva creduto di poter sfruttare l'assenza di Luke e della sua infernale batteria per meditare finalmente in logica pace, ma sembrava proprio che, non potendolo interrompere di persona, l'umano avesse mandato uno dei suoi scagnozzi. Il vulcaniano ci rimuginò sopra qualche decimo di secondo, poi decise di cancellare quell'illogico pensiero dalla propria mente. Andando avanti di questo passo sarebbe scivolato nella paranoia più ridicola.
"Oh, capisco." La trill aveva parlato con tono rassegnato ma non aveva accennato né a salutare, né ad andarsene, cosa che invece il vulcaniano si era aspettato facesse.
Iris Bi, dal canto suo, era indecisa sul da farsi. Non si era aspettata quell'evenienza, anche se non aveva mai avuto l'occasione di parlare con Dalton, cosa che invece era già successa con Vaarik, aveva pensato che si sarebbe trovata più a suo agio a discutere con l'umano anziché con quello strano vulcaniano dall'aria spettrale. Per quanto potesse dirne Renko (Vaarik di qua e Vaarik di là), lei aveva sempre trovato quell'individuo eccessivamente cupo, i suoi occhi brillavano di una durezza che non era data dalla pacifica assenza di emozioni come quelli degli altri vulcaniani.
"Beh... in realtà non importa." Si decise poi la trill. "Veramente volevo parlare riguardo al vostro viaggio al Pianeta del Sempre, perché da quando siete tornati lo stato d'animo di Renko è piuttosto cambiato e... e pensavo che Luke, in quanto umano, fosse la persona più... indicata" concluse, cercando le parole più adeguate per non scivolare in una gaffe.
"Perché sei una donna?" tagliò corto Vaarik, senza giri di parole.
Iris Bi arrossì leggermente, in effetti ci aveva pensato. Data la fama di Dalton fra le fanciulle, la trill sperava che forse sarebbe riuscita a farlo sbottonare senza spingersi troppo oltre. La decisione era stata tuttavia piuttosto combattuta visto che la trill, solo fino a qualche anno prima, era un camionista di novantacinque chili con tutti i crismi.
"Vedo che sei diretto" ribatté la ragazza, senza farsi scoraggiare. "Bene, tanto vale esserlo a mia volta. Voglio sapere cos'è successo esattamente durante il famoso disguido al Guardiano di cui tutti parlano ma di cui nessuno sa niente con esattezza."
Il vulcaniano stette in silenzio qualche secondo, ponderando la domanda: "Ti renderai conto che mi è stato chiesto di non rivelarne i particolari, specialmente fino a che le indagini sono ancora in corso."
"Shai-Hulud! Non nasconderti dietro a questi cavilli" gli disse di rimando la trill, che ormai lo apostrofava in maniera diretta, senza più preoccuparsi di intercalare le proprie frasi con un qualche convenevole. "Non mi interessano i particolari delle vostre strabilianti avventure. Io voglio solo sapere che cosa è successo... che cosa è successo a Renko."
"Davvero?" chiese Vaarik, alzando un sopracciglio.
Quando il silenzio si protrasse così a lungo che fu chiaro che il vulcaniano non avrebbe aggiunto altro, la trill sospirò e decise che a questo punto tanto valeva sbottonarsi del tutto. "Sono preoccupata per lui. Tu non hai notato nessun comportamento strano da parte sua?"
"In realtà non abbiamo ancora avuto modo di trascorrere del tempo libero insieme. Appena tornati dal Pianeta del Sempre sono subito iniziati gli interrogatori da parte del Dipartimento Temporale. Finiti questi ho dovuto mettermi in pari con gli studi, recuperando il tempo perso. Stark non ha certo prorogato l'esame di quantistica interfasica per fare un favore a me."
"Beh... ma deve essergli successo qualcosa, per forza. Lui non è più lo stesso."
"Hai vagliato l'opportunità che possa semplicemente necessitare di riposo? Io stesso mi stavo accingendo ad una meditazione rilassante, dopo lo stress di questi ultimi giorni."
"No, no, non può essere solo questo, ho già visto Renko stanco. A volte torna da un esercitazione che è sfinito... ma stavolta qualcosa deve averlo colpito più in profondità."
'E tu sai cos'è.' Erano le parole non dette e che aleggiarono fra i due.
"Posso offrirti qualcosa da bere?" chiese il vulcaniano, cambiando completamente argomento invece di ribattere all'affermazione.
Prima che la trill potesse aprire bocca, Vaarik si voltò verso il replicatore, anticipando la sua risposta e togliendole così l'opportunità di un diniego.
"Sono solito bere del tè a quest'ora. Spero la miscela vulcaniana sia di tuo gradimento, noi lo chiamiamo tevesh. Purtroppo il prodotto replicato non è minimamente paragonabile, in quanto qualità, alle foglie coltivate in maniera tradizionale che si possono reperire al locale di Chun."
La trill fu colta di sorpresa da quel repentino cambio di comportamento. Da abbottonato e conciso, il vulcaniano si era improvvisamente trasformato in un ospite ciarliero, tanto che Iris Bi si ritrovò seduta al tavolo in attesa della sua tazza di tè, senza avere il coraggio di interrompere il vulcaniano, curiosa di studiare quello strano fenomeno e senza che tutta la paranoia di cui era capace potesse farla sospettare che ci fosse qualcosa sotto.
In realtà l'intenzione di Vaarik era semplicemente quella di guadagnare un po' di tempo, mentre la parte del suo encefalo che non era impegnato a snocciolare informazioni inutili veniva catapultato nuovamente nell'Universo Ferengi, rivivendo l'esperienza e focalizzandosi soprattutto su Renko. Ripensò a come avevano scoperto che l'alter ego del frullato genetico era un truffatore, di quanto Renko si fosse arrabbiato quando aveva saputo che 318, una delle sue madri, era stata abortita per ragioni puramente finanziarie. Poi era avvenuta la cattura da parte dell'Impero Cosmico Imprimano, e le torture da parte del Gozar di quell'universo.
Tutti avevano sofferto per quell'esperienza, tuttavia Vaarik era stato più che pronto a lasciarsela alle spalle una volta finita. Possibile che Renko ne stesse risentendo ancora? A detta della trill era proprio così. Eppure si ricordava della scena nella prigione, di come fosse stato di Renko il piano di evasione. Era stato il frullato a convincere Gozar a portarli dal Guardiano, dimostrando un incredibile sangue freddo quando invece, lui e Paul, stavano quasi per venire alle mani. Questo era in contrasto con le teorie di Iris Bi. D'altro canto, nello Specchio, durante il corso della propria vita, al vulcaniano era già capitato di vedere individui sfoderare determinazione e coraggio di fronte al pericolo per poi crollare subito dopo, quando il momento critico era passato.
Si rese conto che la psicologia non era poi tanto semplice, ne rese a malincuore atto al consigliere Memok, il cui lavoro era tentare di barcamenarsi fra l'emotività altrui.
Ciò che disse invece ad alta voce, per concludere degnamente la sua disquisizione che, dalle bevande si era spostata alle posate, fu: "Non sono la persona più indicata per giudicare la stabilità mentale altrui."
Alla trill, malgrado i due cervelli a disposizione, occorse qualche secondo per capire che l'ultima affermazione del vulcaniano non era collegata al resto del discorso ma al reale motivo della propria visita, tanto era rimasta imbambolata a fissare un vulcaniano cupo e vestito di nero che parlava come una vecchia signora in trine.
"Capisco" ammise Iris Bi con aria conciliante, intendendo l'affermazione come la classica frase da vulcaniano che non è in grado di concepire l'eccessiva emotività altrui e non come la confessione di chi ha la coda di paglia, ossia qualcuno che non può fare commenti sulla sanità mentale degli altri dal momento che non è sicuro al cento per cento nemmeno della propria.
"Non vuoi proprio dirmi nulla, eh?" continuò la donna. "Sinceramente mi aspettavo qualcosa di più venendo a chiedere il tuo aiuto..."
"Veramente eri venuta qui cercando di Dalton" la interruppe il vulcaniano, con quella sua irritante mania di stare sempre a puntualizzare su tutto.
"Irrilevante" fu la pronta risposta della trill. "Tu, comunque, conosci Renko da più tempo dell'umano. Parla spesso di te, sai? Ti considera un amico."
Non poté fare a meno di sentirsi patetica. Fra tutte le argomentazioni a cui poteva attingere per tentare di convincere un vulcaniano a rivelarle delle informazioni, far leva sul sentimentalismo, appellandosi ad un vago senso dell'amicizia, era senza dubbio la meno indicata. Solo che ormai non le rimanevano altre carte e non aveva intenzione di andarsene con un'alzata di spalle e un 'oh, Beh...' .
Il vulcaniano rimase in silenzio, non fece nemmeno uno di quei commenti cinici che lo contraddistinguevano.
"Dici che Renko ha qualcosa che lo disturba" chiese infine.
"Si" confermò la trill, forse c'era una speranza.
"Hai provato a chiedere a lui?" chiese il vulcaniano, con un tono di voce che era intriso di logica.
La ragazza scosse la testa e trasse un sospiro: "Senti, se proprio non vuoi dirmi nulla..."
"Ti assicuro che non dipende da me."
"Non importa. Se proprio non vuoi dirmi nulla ti chiedo solo una cosa." La ragazza fece una pausa scenica per sottolineare quanto tenesse che la sua richiesta fosse soddisfatta. "Durante il giorno tu hai più occasioni di me di vederlo, so che alcune lezioni le avete in comune. Ti chiedo solo di tenermelo d'occhio."
Iris Bi si alzò dal tavolo e salutò il vulcaniano con un cenno del capo, senza parole. Mentre si dirigeva verso la porta dell'alloggio indirizzò a Vaarik un'ultima frase, volgendo verso di lui solo parte del proprio profilo.
"Se non credi a ciò che ti dico, fammi almeno questo favore."