Siouxsie and the Banshees - History

 

Susan Janet Dallion, in arte Siouxsie Sioux, è la "maschera" per antonomasia del dark-punk. Con il suo tipico look stregonesco (parrucca nera, pallore cadaverico, pesantissimo make-up, simboli necrofili e abiti sadomaso) è riuscita a incarnare l'icona definitiva di tutta una stagione, quella dei darkettoni, nerovestiti adoratori di un rock tetro e depresso. Ma limitarsi a questo, nei suoi confronti, significherebbe ridursi a meri cronisti di moda, non di rock. Perché, pur avendo indubbiamento contribuito a "sdoganare" il dark-punk per il grande pubblico e in particolar modo per quello femminile, e avendo quindi conquistato un posto di diritto tra i fenomeni "sociali" del rock, Siouxsie ha avuto anche un altro merito, che pochi le riconoscono: quello di aver, in pratica, gettato le basi musicali per tutto quel movimento, facendo da ponte tra il prima (punk) e il poi (dark). In mezzo, la sua fervente attività di groupie dei Sex Pistols, perfetto tirocinio per il suo futuro di star. Si potrà discutere all'infinito su chi ha "inventato" la musica dark ma un fatto è certo: il primo disco etichettabile come "dark-punk" (anche se ancora più "punk" che "dark") è del 1978, si intitola The Scream ed è firmato "Siouxsie And The Banshees". E' sulla loro scia che nasce quel movimento dark che domina gli anni 80, con alfieri come Joy Division, Cure, Bauhaus, Killing Joke, Sisters of Mercy. Lo stile vocale e le sonorità tetre di Siouxsie riecheggerano poi nel repertorio di band di punta del rock "etereo" come Cocteau Twins (la cantante Elizabeth Fraser ha raccontato perfino di aver avuto da ragazzina "un tatuaggio di Siouxsie") e Dead Can Dance. E tracce dei Banshees sono tuttora visibili in gruppi pop attuali, dai Portishead ai Garbage.

Ma procediamo con ordine. L'esordio della ex groupie Siouxsie Sioux (dalla sua predilezione per gli indiani nei film western) nell'effervescente scena londinese della "anarchy in the UK" avviene due anni prima, nel 1976, al festival punk del Club 100. Un'esibizione con un supergruppo che vede assieme niente meno che Sid Vicious (Sex Pistols) alla batteria, Marco Pirroni (futuro Adam & The Ant) alla chitarra e Steven Severin (colonna dei futuri Banshees) al basso. Siouxsie - proveniente dal Bromley Contingent, il manipolo di fan che seguivano le gesta dei Pistols - folgora subito il pubblico con la sua inconfondibile voce: lugubre, roboante, ipnotica sensuale. Ma a far scalpore è anche la sua presenza scenica: tetra, aggressiva e inquietante.

Siouxsie è pronta per il grande salto. Per farlo, però, ha bisogno di una band. Ecco allora i Banshees (letteralmente: "spiriti di donna preannuncianti la morte"), guidati dal grande bassista Steven Severin e comprendenti il chitarrista John McKay e il batterista Kenny Morris. Questa formazione dà vita al primo, folgorante singolo Hong Kong Garden, un lugubre balletto giapponese che si distende progressivamente in una ipnotica danse macabre. Sarà il primo di una lunga serie di singoli ispirati e memorabili, che verranno raccolti in seguito nell'antologia Once Upon A Time.

L'album d'esordio The Scream, l'urlo, (1978) segna il distacco dal "no future" dei cugini punk: la musica dei Banshees, infatti, predilige testi arcaici e atmosfere tenebrose, puntando su sonorità cupe, echi, riverberi e distorsioni snervanti. Un clima a metà tra horror e misticismo occulto, che trova nel cabarettismo macabro della rocker londinese il suo veicolo naturale. Musicalmente, Siouxsie aggiorna in chiave punk, e con una pomposità quasi al limite del kitsch, le atmosfere scarne e sepolcrali di Nico, pupilla di Andy Warhol, "chanteuse" dei Velvet Underground nel loro primo album e poi cantautrice di culto. Brani come Carcass, Overground e Metal Postcard sono intrisi di fumi elettronici e di aromi vagamente psichedelici, sono l'espressione di un punk che ha perso il suo spirito da "white riot" e preferisce rintanarsi negli angoli più bui della mente, alimentando incubi, paranoia e alienazione. Le liriche, i rumori elettrici e l'andamento sghembo, quasi "a spirale", di alcuni brani sembrano riprodurre esperienze mentali di dissociazione psichica, specie nelle composizioni di Severin (Jigsaw Feeling, Mirage). Prende piede, poi, una concezione arcaica del sound-Siouxsie (sviluppata soprattutto sul successivo Ju-Ju), che vive di pause e di tamburi tribali, di chitarre forsennate e del canto selvaggio della vocalist. Uno stile che si sublima nel tour de force di Swich, brano conclusivo del disco e vero manifesto di questo nascente stile. Il disco annovera anche una cover della celebre Helter Skelter dei Beatles.

Siouxsie comincia a divenire un personaggio di culto nell'underground britannico e non solo. Ma il 1979 è per lei un anno sfortunato. A coronamento di una serie di imprevisti, arriva, a settembre, nel mezzo di un importante tour inglese, la defezione del chitarrista John Mc Kay e del batterista Kenny Morris. Siouxsie allora ingaggia gli amici Robert Smith e Lol Thorlust dei Cure per concludere affrettatamente la tournée. Nonostante ciò, il successivo Join Hands conferma in buona parte il talento del gruppo, che accentua ulteriormente i toni cupi del suo repertorio e la passione per un aldilà dai contorni aggjhiccianti. Molti i riferimenti letterari agli autori del preromanticismo inglese, alla poetica irrazionale del "sublime", che vede l'uomo confrontarsi con la potenza infernale della natura per cercare di riscattarsi. Premature Burial (sepoltura prematura), presagio ottocentesco di zombie che si aggirano in cimiteri della brughiera e spettri che scoprono tombe, si rifà al tipico gusto per l'occulto che caratterizzò l'opera di artisti come Blake e Redcliffe. E non mancano i rimandi alla narrativa horror di Edgar Allan Poe, con suggestioni medievali (Icon), e un diffuso sentimento di malinconia nel solco della poetica romantica ispirata da Ossian. Musicalmente, comunque, i capolavori sono soprattutto due: Playground Twist, che sfodera un lugubre refrain di sassofono e campane a morto, immerso in un chitarrismo distorto e metallico, e The Lord's Prayer, dodici minuti di infernale sarabanda elettrica, con Siouxsie, più che mai sacerdotessa "nera", a imperversare.

Kaleidoscope (1980) è preceduto da un altro cambiamento nella line-up: Smith, con il quale Siouxsie manterrà un rapporto a fasi alterne, tra slanci amorosi e liti furibonde, viene sostituito alla chitarra da John McGeoch (ex Magazine), che si dividerà per un anno la parte con Steve Jones dei Sex Pistols. Alla batteria, invece, subentra il talentuoso Peter Clark, in arte Budgie. Il disco sembra stemperare il fervore demoniaco dei lavori precedenti in un "dark-pop" venato di psichedelia à la Doors e di malinconico romanticismo. La ninnananna bislacca di Lunar Camel ridesta perfino echi di Syd Barrett; il lungo delirio metallico di Hybrid rinnova le ossessioni "psicotiche" della band, mentre i due singoli, la stravagante Happy House (sul tema della casa simbolo materno e della solitudine dell'individuo) e l'acustica Christine, con tanto di riff d'organo, spopolano nelle discoteche dark, contribuendo a rendere ancor più accessibile e popolare il fenomeno-Siouxsie. Christhine esce anche con un intrigante retro, Eve White Eve Black: entrambi i brani sono ispirati al romanzo biografico "Eve" della scrittrice americana Christine Sizemore, un personaggio schizofrenico che sosteneva di avere 22 personalità! Nello stesso periodo viene pubblicato anche un altro singolo-capolavoro del gruppo, Israel, maestoso inno in "crescendo" intonato da Siouxsie su uno sfondo cupo, animato dalle pulsazioni ossessive del basso di Severin e dal drumming tumultuoso di Budgie.

Nel 1981 è la volta di Ju-Ju, probabilmente il miglior album dell'intera produzione firmata Siouxsie And The Banshees. Al suo tipico repertorio gotico-romantico, la "regina della notte" unisce qui il tribalismo stregonesco dell'Africa profonda ("ju-ju" è una tradizione musicale nigeriana). L'uso della musica etnica, combinato con l'elettronica, converge in una sorta di trance allucinata, in un rituale esoterico dai risvolti macabri e funerei. Apre le danze Spellbound ed è subito delirio: la furia della chitarra (acustica) di McGeogh e il tribalismo ossessivo delle percussioni di Budgie spalancano le porte degli inferi, mentre Siouxsie canta come una strega indemoniata, in un climax di deturpazioni sonore e urla lancinanti. Del punk resta solo l'impronta - il ritornello, la velocità, l'immediatezza - ma tutto è ammantato da una cappa nera e maledetta. Giusto il tempo di prendere fiato con l'ipnotica Into The Light, che la band riesplode in un altro dei suoi rituali orrorifici: Arabian Knights. Il brano sfodera una delle melodie più memorabili del dark-punk, a metà tra atmosfere arcaiche e sapori mediorientali, accompagnata a continue variazioni di ritmo, che sfociano in un galoppo forsennato. Siouxsie è l'indiscussa dominatrice di questa cavalcata sonora nei deserti d'Arabia, con il suo vocalismo selvaggio e sensuale. Dopo tante emozioni, la "danse macabre" di Halloween sembra quasi attenuare il pathos, preparando il terreno all'elettronica pulsante di Monitor. Gli spettri gotici riaffiorano però in Night Shift, ballata dalla maestosità satanica: la notte di Siouxsie si consuma in un ideale cimitero muschioso delle brughiere d'Albione, affollato di vampiri, zombie e assassini. E' invece il retaggio punk della band a riemergere nella schizofrenica Sin In My Heart, che alza il ritmo grazie al drumming indiavolato di Budgie. La chitarra "noise" di McGeogh prende il sopravvento su Head Cut, in uno scenario horror degno d'un dipinto di Bosch, tra labbra sanguinanti, maschere della morte, teste tagliate e fiamme dell'inferno. E' il preludio all'epilogo di Voodoo Dolly, in cui il fervore di Siouxsie straripa in una terrificante orgia necrofila. Il rituale di magia nera della "bambola voodoo" si celebra tra le urla spettrali di Siouxsie, i ricami atmosferici della chitarra di McGeogh e la rumba tribale inscenata da Budgie.

Il mito della "regina della notte" è in pieno fulgore e viene celebrato addirittura con la "profanazione" dell'austera Royal Albert Hall di Londra da parte di orde sfrenate di giovani punk e dark. Un evento testimoniato nello splendido doppio live Nocturne (1983) e nell'omonimo film, che vede una Siouxsie scatenata ballare a piedi nudi, gettarsi a terra e grondare rimmel dal suo impressionante "mascherone".

La carriera di questa inquieta Pierrot della suburbia londinese, però, comincia a scricchiolare. A Kiss In The Dreamhouse (1982), infatti, propone una versione edulcorata del dark-punk degli esordi, ben esemplificata dal suadente singolo Slowdive, nel segno dei più melensi New Order. Pur mantenendosi su quelle sonorità, l'altro singolo Melt è però un saggio di bravura assoluta della cantante, qui nei panni di una affascinante dark-lady animata da neanche tanto velati intenti necrofili: "Can you see?/ See into the back of a long, black car/ Pulling away from the funeral of flowers/ With my hand between your legs/ Melting...". Tra gli altri brani, si segnalano l'ipnotica Obsession, persa tra sospiri, muraglie di synth e inserti d'archi; Green Finger, up-tempo con un basso melodico alla Joy Division; e Painted Bird, che gioca soprattutto sul dialogo voce-batteria. Ma forse il vero vertice del disco è rappresentato dai 4'29'' di Cocoon, sorta di cabaret dell'orrore, con Siouxsie nei panni di una Marlene Dietrich "dark", accompagnata da un arrangiamento pop-jazz.

Nel 1983 esce Feast primo lavoro a firma dei Creatures, il side-project di Siouxsie e Budgie, destinato a svilupparsi in modo più consistente negli anni successivi.

Robert Smith torna in pianta stabile nel gruppo, alle chitarre e alle tastiere, per l'album Hyaena (1984). La sua collaborazione contribuisce ad addolcire ulteriormente il sound dei Banshees. Miglior saggio di questo nuovo corso è la pomposa sinfonia per archi e tastiere di Dazzle (con un'interpretazione meravigliosa di Siouxsie). Degni di nota anche la pianistica Swimming Horses e l'interessante cover di Dear Prudence dei Beatles.

Tinderbox (1986) è un'altra tappa del progressivo riallineamento di Siouxsie a più convenzionali canoni pop. Si salva, al solito, il singolo: Cities In Dust, sinuosa dark-dance propulsa da un sintetizzatore che mima anche il suono delle campane. ll resto dell'album, però, affoga in massicce dosi di melassa e quando tenta di recuperare un pizzico di verve (l'incalzante Candyman), lo fa senza brillare particolarmente.

La pressione della casa discografica sul gruppo, nel frattempo, è divenuta quasi insostenibile: neanche undici mesi dopo Tinderbox, "deve" uscire Through the Looking Glass, album di cover, in cui Siouxsie omaggia alcuni dei suoi artisti preferiti (dai Doors di You're Lost Little Girl ai Roxy Music di Sea Breezes, dal Bob Dylan di This Wheels On Fire ai Television di Little Johnny Jewel, passando per i Kraftwerk di Hall Of Mirrors). Un solo brano, comunque, riesce a diventare un hit: la cover della leggendaria The Passenger di Iggy Pop, che Siouxsie riesce a rendere ancor più oscura e ammaliante.

La discreta verve mostrata nel rivisitare classici del passato manca però a Siouxsie in fase di scrittura, quando si tratta di dar vita alle composizioni del nuovo album Peepshow (1988). Per l'occasione, la line-up cambia ancora: alla sezione ritmica (Budgie e Severin) si affiancano ora il violoncellista Martin McCarrick e il chitarrista Jon Klein (ex Specimen). Ma i risultati sono modesti. Si salva soltanto una manciata di brani sostanzialmente pop: il minaccioso singolo Peek-A-Boo, la serenata romantica di Last Beat Of My Heart e la trascinante Turn To Stone. Il resto è all'insegna dello smarrimento e della confusione, con la band che, persa la sua direttrice-guida, sembra non sapere più quale rotta imbroccare.

Siousxie e Budgie, d'altra parte, da diverso tempo si stanno dedicando al nuovo disco dei Creatures, Boomerang, che esce finalmente nel 1989, con sonorità di stampo decadente, ispirate all'esistenzialismo francese del dopoguerra (Pluto Drive).

Quando esce Superstition (1991) appaiono ormai chiari due fatti: i Banshees hanno del tutto esaurito le loro cartucce e Siouxsie è ormai presa unicamente dal progetto-Creatures. Difficile, altrimenti, spiegarsi il senso di un disco così vacuo e inconsistente, che il solito singolo ad effetto (Kiss Them For Me) e una sincera ballata su Tien An Men (The Ghost In You) non possono bastare a riscattare. L'ex regina della notte è giunta al capolinea, con ormai stuoli di fan accumulati in anni di successi, ma con poche e confuse idee in testa.

Da un lato, però, l'insistenza dei discografici, che si ostinano a spremerla come un limone, dall'altro la sua immedesimazione in un ruolo, quello della dark-star di successo, che le si è ormai cucito addosso portano all'uscita di un nuovo, e stavolta ultimo disco firmato Siouxsie And The Banshees: Rapture (1995). La lunga title-track (undici minuti), orchestrata addirittura da un quartetto d'archi, si rivela tanto sofisticata quanto velleitaria. E, nel complesso, il disco affonda in un mainstream pop senza capo né coda, con la sola eccezione del ruggito di Not Forgotten, che per un attimo fa sobbalzare sulla sedia l'ascoltatore, facendogli balenare davanti i fantasmi delle notti magiche del decennio 80.

Nel frattempo sono usciti anche la seconda raccolta di singoli Twice Upon A Time e l'ipnotico brano Face To Face, contenuto nella colonna sonora del film "Batman Returns". Ma l'unica vera perla di Siouxsie nel declino irreversibile degli anni Novanta è la splendida ballata Interlude (1994), interpretata in duetto con Morrissey, ex-leader degli Smiths.

L'avvento del Duemila, però, segna un brusco cambiamento, sia nella vita privata che nell'attività artistica della cantante londinese. L'ex regina della notte si è trasferita in un placido villaggio francese nei dintorni di Tolosa dove vive, in una dimora del XIV secolo, insieme a Peter Clarke in arte Budgie, l'ex-batterista dei Banshees che ha sposato nel 1991. Ed è sempre con Budgie che la cantante londinese continua a portare avanti il discorso dei Creatures, di cui è nel frattempo uscito il terzo album, Anima Animus (1999). Un lavoro che privilegia le percussioni, con pulsazioni elettroniche, sprazzi dance (il singolo 2nd floor) e un intrigante pezzo acustico chitarra-voce (I was me). Per presentare il disco, i Creatures hanno affrontato una lunga tournée mondiale, che ha toccato anche l'Italia. "Ero stanca del cinismo dei discografici - ha raccontato in quell'occasione Siouxsie -. Loro pensavano soltanto a sfruttare i miei successi passati per fare soldi, riciclando le stesse cose e infischiandosene della musica che volevo fare. Così ho deciso di fondare una mia etichetta indipendente, la Sioux Records, e di puntare definitivamente sul progetto-Creatures".

Stanca del suo personaggio e soffocata dalla macchina discografica, Siouxsie ha così deciso di imprimere una svolta radicale alla sua carriera. Ha lasciato la caotica routine di Londra, che "dopo tanti anni cominciava a stare stretta", per la vita rurale nelle valli dei Pirenei. "Quasi nessuno da queste parti sa chi sono - racconta -. Qualcuno tutt'al più mi definisce "quella cantante un po' strana, che viene dall'Inghilterra...". Ed è difficile immaginare la regina del gotico intenta a dare da mangiare agli animali e a zappare l'orto nella sua magione. Eppure anche Anima Animus, ispirato da un concetto di Carl Jung, è stato concepito in casa. "Era fantastico - racconta Budgie -. Mentre suonavo la batteria in sala da pranzo, Siouxsie ascoltava e cantava dall'altra parte della casa. Molte canzoni sono nate così".

La cantante inglese, che è anche autrice dei testi, ha sempre preferito l'istinto alla programmazione. "Molte delle mie storie - spiega - nascono di getto, magari da sogni che sto ricordano proprio in quel momento. E qualcosa di simile accade per la musica. Gli argomenti delle canzoni sono in parte cambiati, ma mi piace sempre confondere i confini tra buio e luce, tra uomo e donna". Siouxsie, che ha giocato a lungo su temi come necrofilia e ambiguità sessuale, ammette il proprio debito con la rivoluzione glam-rock di Marc Bolan e David Bowie che incendiò l'Inghilterra dei primi anni Settanta. "Dopo di loro, è stato tutto diverso; i cantanti volevano essere effeminati, le cantanti mascoline. E' stata un'epoca di grande libertà sessuale. Il punk, poi, ha accentuato la rivolta; così le ragazze hanno cominciato a diventare sempre più dure e aggressive, a fare paura". E la proverbiale scontrosità di Siouxsie non è certo venuta meno. Ne sa qualcosa un malcapitato drappello di spettatori dell'ultimo concerto romano, che aveva provato a importunarla ed è stato brutalmente zittito. Così, fa un certo effetto sentire l'ex-"riot-girl" della suburbia londinese confessare il suo "storico" punto debole: "Adoro i gatti e non riesco a capire chi non li ama".

Nel 2003 Siouxsie è tornata con i Creatures per incidere Hai!, lavoro più marcatamente sperimentale, realizzato insieme a Leonard Eto, percussionista giapponese dei Kodo. L'album è diviso in due parti: la prima parte più "tribale", la seconda più "romantica", sia dal punto di vista dei suoni, sia da quello dei testi. Brilla soprattutto l'iniziale Say Yes!, una cavalcata percussionistica caratterizzata dal daiko (grande tamburo giapponese) di Eto, e in cui la voce di Siouxsie appare solo in coda per pronunciare le parole "No more maybe, no more could be. Say Yes!". La nuova frontiera dell'ex regina delle notti dark d'Albione sembra ormai quella di una raffinata (anche se non sempre ispiratissima) musicista d'avanguardia, decisa a pubblicare solo i dischi che realmente le interessano.

 

 
Discography