Guida all'apprendimento
L’obiettivo
che Giddens si pone inizialmente in questo Capitolo è
quello di definire lo specifico della società
umana in quanto distinta da quella animale: si tratta
cioè di affrontare il concetto di cultura
Darwin
nel suo libro “L’origine della specie” del 1859 sostanzialmente sostenne
l’idea di una continuità dello sviluppo dagli animali agli esseri
umani, sviluppo risultante da un processo casuale il cui principio fondamentale
è quello della selezione naturale: sopravvivono gli organismi che
meglio si adattano all’ambiente e alle sue mutazioni.
La
specie umana rappresenta una delle forme più evolute
di adattamento/interazione
col proprio ambiente.
La
sociobiologia
Sebbene
il dibattito sia tuttora piuttosto acceso e controverso, con la formazione
di due ‘partiti’ distinti e per certi versi antagonisti (con autori che
propendono più per analisi di tipo biologico ed altri che sono più
nettamente su posizioni antropologico-sociologiche), vi sono scarse prove
scientifiche a sostegno dell’ipotesi che l’eredità genetica determini
forme complesse del comportamento umano.
È
uno dei motivi ricorrenti nell’analisi della condotta
umana, come si può notare anche nel capitolo sulla
devianza (cfr.
Capitolo VII)
Addirittura
Giddens ricorda come la maggior parte di biologi e sociologi concordi nell’affermare
che gli esseri umani non abbiano istinti nel senso proprio del termine
(ovvero istinti come comportamento complesso geneticamente determinato).
Ciò va anche contro il senso comune, laddove si tende a pensare
come istintivi atti che dovrebbero forse essere più correttamente
essere definiti come reazioni e riflessi, o essere ricondotti a motivazioni
di ordine socio-culturale.
Non
si può certo negare che gli esseri umani abbiano bisogni primari
(cibo, bevande, riposo, attività sessuale), ma il modo in cui tali
bisogni vengono soddisfatti è culturalmente variabile.
E
occorre sottolineare come la varietà della cultura umana sia davvero
notevole, passando dalle credenze religiose alle relazioni di genere, dai
modelli di comportamento sessuale alle tradizioni culinarie, agli stili
di vita quotidiana. All’interno di macro aree culturali, poi, si possono
rinvenire diverse sub-culture, a volte internamente antagoniste l’una verso
l’altra, e/o conflittuali verso la cultura ‘ufficiale’.
Avvalendosi
dell’emblematico brano tratto da un lavoro di H. Miner
sugli usi e costumi del popolo degli Inacirema (gli Americani,
a rovescio), Giddens ricorda come una cultura debba essere
studiata sulla base dei significati e dei valori
che le sono propri, evitando ogni forma di etnocentrismo.
Salendo
lungo la scala evolutiva si nota come i soggetti più giovani debbano
apprendere dagli adulti i modi di comportamento appropriati.
Come
per gli altri temi sociologici trattati all’interno del
manuale, la Socializzazione
viene considerata secondo diverse visuali, in modo da
poterne rendere tanto il significato generale, quanto
le articolazioni che essa può assumere in rapporto
alle dimensioni ed ai significati ad essa riferibili.
In
questo capitolo, l’attenzione deve focalizzarsi principalmente su 5 punti,
che costituiscono già una prima ‘mappa’ del percorso che bisognerà
compiere per comprendere ed apprendere il tema preso in esame.
a)
Questioni concettual-definitorie
b)
Teorie ed autori (ed esempi tratti dalla ricerca sociologica)
c)
Tipi, aspetti, ‘problemi’ della socializzazione
(socializzazione del bambino, agenti della socializzazione,
risocializzazione, ecc.)
e)
Collegamenti con altri temi e concetti sociologici
L’ultimo punto, in particolare, è essenziale per passare da una fase di apprendimento passivo ad una di apprendimento attivo della sociologia. La trasmissione
intergenerazionale ed anche, in alcune fasi ed occasioni,
intragenerazionale delle conoscenze e dei comportamenti
adeguati all’interno di una specifica cultura viene
definita socializzazione Ecco,
dunque, le coordinate concettuali del concetto di SOCIALIZZAZIONE:
1)
la socializzazione
è un processo;
Evidentemente
il processo di socializzazione è un fenomeno complesso
Prima
di passare alle teorie che riguardano la formazione della
personalità nella fase della socializzazione
primaria, cioè nei primi anni di vita, Giddens
sottolinea l’importanza della fase neonatale-infantile,
tra sviluppo percettivo, sollecitazioni esterne ed interpretazioni
che gli adulti danno delle espressioni dei bambini, interpretazioni
che variano al variare della cultura cui si appartiene.
Il
rapporto con la figura materna, in particolare, diventa
forte dopo circa sei mesi di vita del bambino. Evidentemente
anche la madre apprende il proprio ruolo,
sia rispetto al modo in cui esso viene prevalentemente
a definirsi nella specifica cultura e nell’ambiente di
vita, sia attraverso l’interazione
con il bambino stesso.
Un
certo grado di autonomia si raggiunge all’incirca verso i 5 anni di vita.
Il percorso che conduce a questa acquisizione è fatto di interazioni
che inizialmente avvengono in prevalenza entro la famiglia.
Una
delle principali caratteristiche che distinguono gli esseri umani dagli
altri animali è la loro autocoscienza.
Con
le Teorie sullo sviluppo della personalità
Gli
autori presi in esame si possono ricondurre alla teoria psicoanalitica
(Freud), interazionista (Mead), cognitiva (Piaget), secondo la matrice
che caratterizza l’opera di ognuno di essi. Occorre saper ricostruire i
concetti principali relativi ad ogni teoria, e quindi ad ogni autore.
In
Freud è fondamentale il concetto di inconscio
In
Mead si ritrovano quelle idee che hanno poi portato a definire un pensiero
teorico sistematizzato in termini di “interazionismo simbolico”.
Fondamentale
nello sviluppo della personalità è l’interazione
con l’ambiente ed i soggetti che ci circondano: ciò
permette attraverso diverse fasi e modalità di
diventare ‘esseri sociali’.
Inizialmente
i bambini imitano le azioni di quanti li circondano, prevalentemente con
il gioco.
Successivamente
i giochi si fanno più complicati, superano la fase
imitativa e il bambino assume ruoli adulti, imparando
cosa significa essere nei panni di un’altra persona. Attorno
agli 8-9 anni il bambino giunge ad un terzo stadio dello
sviluppo, in cui il gioco si fa strutturato e richiede
l’apprendimento di regole, nonché lealtà
e partecipazione. In questa fase il bambino comincia ad
afferrare il significato di ‘altro generalizzato’, ovvero
l’insieme di valori
e norme morali della cultura in cui è inserito.
Secondo
Mead nel processo che porta all’autoconsapevolezza la percezione del sé
passa per l’acquisizione della capacità di distinguere tra ‘io’
(che rappresenta il bambino non socializzato, un aggregato di bisogni e
desideri spontanei) e ‘me’ (che rappresenta il sé socializzato,
ovvero se stessi visti attraverso gli occhi degli altri).
Piaget
assegna fondamentale importanza alla capacità infantile di dare
attivamente senso al mondo.
Come
afferma Giddens, Piaget ritiene che gli individui attraversino “diversi
stadi distinti di sviluppo cognitivo, vale a dire del processo attraverso
cui imparano a pensare se stessi e il proprio ambiente. Ciascuno stadio
comporta l’acquisizione di nuove capacità e dipende dal riuscito
completamento del precedente” (p. 42).
Abbiamo
così lo stadio ‘sensomotorio’ (0-2 anni, apprendimento fisico-tattile);
lo stadio ‘preoperazionale’ (2-7 anni, periodo egocentrato, acquisizione
del linguaggio e della capacità di rappresentare il proprio ambiente);
lo stadio delle ‘operazioni concrete’ (7-11 anni, acquisizione di nozioni
logico-astratte); infine lo stadio delle ‘operazioni formali’ (11-15 anni,
capacità di condurre ragionamenti altamente astratti ed ipotetici,
stadio non universalmente raggiunto da tutti gli individui, come invece
accade per i precedenti).
Secondo
Piaget lo sviluppo di quest’ultimo stadio dipende in parte dal processo
di scolarizzazione.
(Siamo
dunque al secondo dei cinque aspetti inizialmente evidenziati come ‘mappa’
del percorso conoscitivo, cioè quello relativo a “Teorie ed autori”).
Successivamente
si può passare ad esaminare il terzo dei punti della ‘mappa’, ovvero
“Tipi, aspetti e ‘problemi’ della socializzazione”.
All’interno
di questo punto della ‘mappa’ si può collocare
l’illustrazione dei cosiddetti ‘agenti della socializzazione’.
Tra questi, la famiglia occupa certamente ancora un ruolo
centrale, pur in una società
policentrica: si ha un’analisi delle trasformazioni e
delle caratteristiche di questa fondamentale istituzione
sociale nel Capitolo VI “Famiglia, matrimonio e vita individuale”.
Anche la scuola
è uno degli agenti di socializzazione più rilevanti: al suo
interno, naturalmente, agiscono alcuni fattori di differenziazione del
percorso degli studenti che sono presi in considerazione in maniera più
approfondita all’interno del Capitolo XIV “Istruzione”.
In
questo terzo punto della ‘mappa’, inoltre, è importante capire e
memorizzare concetti ed espressioni come “risocializzazione”
In
chiusura del capitolo sulla socializzazione, occorre sottolineare
come esistano delle variabili (siamo dunque nella quarta
fase della nostra ‘mappa’ conoscitiva) che influiscono
sulla socializzazione: in particolare possiamo riferirci
all’influenza della fase del ciclo di vita in cui ci si
trova a vivere – come poc’anzi sottolineato -, a differenze
di classe (si veda
il Capitolo VII, “Stratificazione e struttura di classe”),
alle differenze etniche, di cultura. Un esempio di influenza
culturale sulla socializzazione è visibile nell’apprendimento
delle differenze di genere.
Per
ciò che riguarda le fasi del corso della vita,
Giddens suggerisce di considerare con attenzione e separatamente
l’infanzia, l’adolescenza, la condizione del tutto contemporanea
del ‘giovane adulto’, la piena maturità e la vecchiaia.
Tali fasi si riferiscono a differenti esperienze di vita
e, quindi, alla sperimentazioni di differenti ruoli, identità,
aspettative, bisogni l’una dall’altra. Inoltre le diverse
fasi si sono modificate nel tempo e tuttora divergono
a seconda della cultura, dei valori,
della struttura sociale e delle regole prevalenti in questa
o quella società/comunità.
Interessante,
al riguardo, è l’atteggiamento verso la morte tra passato e presente
e tra una generazione e l’altra, come osservato da E. Kübler-Ross.
Concludendo,
ci si può domandare allora se la socializzazione non sia forse ‘un’arte
imperfetta’, ovvero se essa non abbia al proprio interno una serie di variabili,
percorsi e discontinuità che ne fanno un processo
tutt'altro che lineare e scontato
Riflettendo
sulla considerazione finale, cioè in definitiva sul rapporto tra
socializzazione e libertà individuale e, in termini macro, sul rapporto
tra socializzazione e riproduzione/cambiamento dei modelli socio-culturali,
si riprenda il capitolo verificando i concetti fondamentali e le connessioni
tra loro, così come rispetto ad altri temi contigui (quinto punto
della ‘mappa’).
Esercizi
di verifica del percorso di comprensione e studio
1)
Quale significato riveste il concetto di cultura nella distinzione tra
società umana e società animale? suggerimento
2)
Qual è stato il contributo ‘rivoluzionario’ di Darwin sullo sviluppo
umano ed animale? suggerimento
3)
Quali sono i punto principali del dibattito tra origine culturale ed origine
biologica del comportamento umano? suggerimento
4)
Qual è una definizione sufficientemente approfondita e generalizzabile
del concetto di socializzazione? suggerimento
5)
Quali sono le principali teorie dello sviluppo infantile? suggerimento
6)
Cosa significa dire che le fasi del corso della vita umana sono di natura
sociale oltre che biologica? suggerimento
7)
Secondo E. Kübler-Ross l’adattamento all’imminenza
della morte è un processo concentrato di socializzazione.
Quali fasi prevede? suggerimento
8)
A quali temi sociologici è contiguo quello della socializzazione?
suggerimento
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