STORIA DELL'ERITREA

L’Eritrea fu colonizzata, già prima dell’era volgare, dalle stesse genti dell’Arabia meridionale che attraverso la progressiva espansione all’interno del paese, fondavano in seguito il regno d’Aksum. Di questo fecero parte, per secoli, le principali regioni eritree; e dal porto, fiorentissimo, di Adulis, un’importante arteria commerciale si spingeva fino ad Aksum, la capitale del regno. Ma nel VII secolo, con l’affermarsi dell’Islam, le vie dell’espansione marittimo-commerciale rimasero precluse all’impero aksumita, il quale venne perciò spostando il proprio centro politico ed economico sempre più ad occidente, entro l’altopiano etiopico, mentre sul litorale si stabiliva la dominazione mussulmana. Quindi le isole Dahlac divennero il centro di un principato islamico indipendente, dal quale dovette dipendere, salvo brevi interruzioni, anche Massaua.

Verso la metà del XVI secolo i Turchi s’impadronirono stabilmente di Massaua e di Archico, donde, negli anni successivi, tentarono inutilmente la conquista dell’Etiopia.

Nel 1865 le regioni costiere venivano acquistate dall’Egitto, che dalla guerra civile abissina trasse dapprima l’occasione ad espandersi verso l’interno con la conquista di Cheren nel 1872 ma in seguito, divenuta l’Eritrea campo di lotta tra mussulmani egiziani e cristiani abissini, fu gravemente sconfitto in battaglia a Gundat (1875) e a Gurà (1876).

Sviluppatosi nel Sudan il movimento del Mahdì, le regioni occidentali dell’Eritrea subirono l’invasione dei Dervisci; mentre sulla costa, a Massaua, l’Italia, che aveva istituito ad Assab, nel luglio del 1882, la sua prima colonia africana, sostituiva la propria alla sovranità egiziana, nel 1885, d’accordo con la Gran Bretagna. L’occupazione di Massaua provocava la reazione abissina, che ebbe un episodio nei fatti di Dogali nel 1887; poco dopo, il Negus Johannes scendeva a combattere i Dervisci a Metemma e vi trovava la morte.

Dopo Dogali e Saati (1887) ci fu la battaglia di Saganeiti (1888). Dopo la morte dell'imperatore Johannes (1889) e l'ascesa al trono dì Menelìk, con il favore degli italiani, si andò al trattato dì Uccialli con l’occupazione di Cheren (1889) e d’Asmara (3 agosto 1889).

Il 1° gennaio 1890 con decreto reale i vari possedimenti furono riuniti, entrando a far parte della Colonia Eritrea. Ingrandita, in seguito alla vittoriosa campagna militare contro i Dervisci, Halat (1891) e nel 1892 Agordat e Cassala (ceduta, quest’ultima, nel 1896 al Sudan Anglo-Egiziano).

Nel 1895 furono occupate provvisoriamente Axum e Adua, dopo la battaglia di Coatti, ed infine nel dicembre di quell'anno la sconfitta dell'Amba Alagi e poi quella ancora più rovinosa di Adua nel marzo 1896. Al termine della lotta (1895-1896) che vide impegnata l’Italia contro l’Abissinia, l’Eritrea poté iniziare un pacifico sviluppo coloniale. Con l’accordo a tre anglo-italo-etiopico del 15 maggio 1902 entrava a far parte del territorio eritreo anche la regione dei Cunama tra i fiumi Gasc e Setit, mentre per il trattato italo-etiopico del maggio 1908 il confine della Dancalia veniva fissato a 60 km di distanza dalla costa. Dopo questo periodo di guerre e di trattati l’Eritrea conobbe la pace fino al 1935 e prosperò moderatamente, la vita tranquilla della colonia fu movimentata dal terremoto di Massaua del 1921.

L’Eritrea costituì la base per le operazioni militari contro l’Impero etiopico, nel 1935-36; al termine del conflitto, per effetto della legge che istituiva il territorio dell’Africa Orientale Italiana, entrava a far parte di questa, ingrandita dei distretti già etiopici del Tigrai, della Dancalia e dell’Aussa (1° giugno 1936).

La guerra d'Etiopia, voluta da Mussolini, portò un benessere insperato all'Eritrea che in cinque anni progredì in modo prodigioso dall'edilizia ai commerci, dall'industria all'agricoltura. Nel 1940 l'Italia entra in guerra, al fianco della Germania, nel secondo conflitto mondiale e la colonia era del tutto impreparata ad affrontare le difficoltà di comunicazione con l'Italia, tutto ciò la costrinse ad affrontare la guerra in modo autonomo. I primi mesi furono tempi dì vittoria sul fronte somalo, con la conquista di Berbera, e su quello del Sudan, con la seconda occupazione di Cassala, e poi di Gallabat.

Intanto i patrioti etiopici, che sono armati dagli inglesi, combattono gli italiani, mentre gli ascari etiopici, a differenza di quelli eritrei e somali, disertano i nostri reparti.

Nel gennaio 1941 gli inglesi sferrano un'offensiva dal Sudan e riconquistano Cassala, gli italiani ripiegano su Agordat e Cheren e colà si attestano. La famosa battaglia dì Cheren dura due mesi e il 26 marzo 1941 il generale Carnimeo abbandona Cheren e ripiega verso il mare. La strada per Asmara è aperta, gli inglesi entrano in Asmara il 1 aprile 1941, dopo sette giorni sono a Massaua. Tutta l'Eritrea passa sotto l'amministrazione inglese fino al 1952 quando passa in unione federale con l’Etiopia. 

Il governo federale etiopico-eritreo è responsabile per la difesa, gli affari esteri e quelli economici; il governo eritreo ha invece facoltà di decidere in materia di affari locali e ha un suo proprio bilancio. Nel quadro della sua autonomia L’Eritrea ha un’assemblea legislativa di 50-60 membri, eletti parte con votazione diretta, parte indiretta, rinnovabile ogni quattro anni. Il diritto consuetudinario coesiste con la legge italiana nella definizione dei rapporti civili, mentre la legge penale è basata sui principi del diritto italiano e di quello britannico; questi ultimi quali furono codificati nei successivi proclami emessi dall’amministrazione inglese nell’ex colonia italiana. I beni mobili ed immobili esistenti in Eritrea di cui era proprietario lo stato italiano sono stati trasferiti senza pagamento al governo eritreo il 30 gennaio 1952.

Da questo momento comincia il declino dell'Eritrea, l'Imperatore Hailè Sellassìè, non rispettando le autonomie eritree, fin dal 1952 fece occupare dall'esercito etiopico i punti strategici del Paese, nel ‘53 è soppressa la libertà dì stampa, nel '55 destituisce il capo di governo legittimo sostituendolo con due ras etiopici, nel 1961 abolisce la bandiera eritrea e nel novembre del 1962 considerò decaduti gli accordi federali, l'Eritrea fu ridotta al rango dì provincia dell’Impero etiopico. Dopo iniziò un periodo di ”pulizia etnica” e di terrorismo di stato che durò fino al 1974 anno in cui fu deposto Hailè Sellassìè.

Per gli eritrei non cambiò nulla, la guerra di liberazione, iniziata il 1 settembre 1961, continuò contro il “Derg” di Menghistù fino al 1991, infatti, il 24 maggio di quell’anno, dopo trent’anni di lotta per l’indipendenza, gli eritrei conobbero finalmente la libertà.  

E del 1978 la prima delle otto massicce offensive che cancella quasi dalla scena il fronte di liberazione dell’Eritrea (ELF) e costringe, il fronte popolare di liberazione dell’Eritrea (EPLF), ad asserragliarsi nell’area montana e fortificata di Nakfa. Il tragico corollario è costituito da 1 milione circa di eritrei che abbandonano il loro paese (7000 si stabiliscono in Italia che li tratta come rifugiati politici, pur non riconoscendone ufficialmente lo status)
Il 1984 è l’anno della grande carestia in Etiopia e sull’altopiano eritreo. Gli aiuti internazionali vengono dati al governo etiopico di Mengistu che se ne serve largamente per sostenere le forze impegnate contro gli eritrei ormai anche sul territorio metropolitano contro la crescente guerriglia anticomunista nella quale va affermandosi come leader l’attuale primo ministro Meles Zenawi nell’ambito del Fronte popolare di liberazione del Tigray (TPLF). La carestia ricorrerà ancora nel 1987 e nel 1989.

All’inizio del 1988 il Fronte popolare di liberazione dell’Eritrea (EPLF) ormai guidato dall’attuale presidente dell’Eritrea Isaias Afworki riguadagna l’iniziativa e si allea con la guerriglia antigovernativa etiopica di Meles Zenawi (TPLF). Vengono definite le aree di competenza operativa e amministrativa. In questo risiede uno dei germi della crisi attuale. Il 21 maggio 1991 il dittatore etiopico Mengistu, ormai alle corde, fugge in Zinbawe (il dittatore somalo Siad Barre è fuggito da Mogadiscio quattro mesi prima). Zenawi assume il potere ad Addis Abeba e le forze eritree di liberazione entrano ad Asmara.
Il 1° luglio 1991 la Conferenza di riconciliazione nazionale riconoscere all’Eritrea il diritto all’autodeterminazione, mentre le nuove autorità di Asmara garantiscono all’Etiopia l’accesso al mare attraverso i porti di Assab e Massaua.
Il 23 aprile 1993 ha luogo in Eritrea il referendum nel quale il 98% della popolazione vota per l’indipendenza. Il 24 maggio 1993 (secondo anniversario della liberazione di Asmara) l’Eritrea viene dichiarata Stato indipendente. Seguono l’ammissione all’ONU, all’Organizzazione dell’unità africana e, l’anno successivo, al Fondo monetario internazionale.
L’Eritrea conta circa 300.000 morti.
L’Etiopia forse altrettanti, comprese 14.209 vittime accertate del “terrore rosso”.
I profughi sono centinaia di migliaia.
Abbondano solo gli ormai inutili arsenali di armi ed equipaggiamenti sovietici.
Gli anni dal ’93 al ’97 sono quelli della costruzione della democrazia nei due Stati, pur con qualche comprensibile contraddizione. Gli uomini forti sono in Etiopia Meles Zenawi, primo ministro e leader della coalizione di governo Ethiopian People Revolutionary Democratic Front (EPRDF) e Isaias Afworki presidente dello stato d’Eritrea, capo dell’esecutivo e leader del Fronte popolare per la giustizia e la democrazia (PFDI ex EPLF).
La comunità internazionale concede fiducia.
L’intesa tra il governo di Addis Abeba e quello di Asmara funziona: in Etiopia risiedono circa 150 000 eritrei (500 mila secondo Addis Abeba) impiegati nel commercio, nella pubblica amministrazione e nelle stesse forze armate; la moneta è il birr etiopico per entrambe le nazioni, con una quotazione tra 6,5 e 7 birr per 1 dollaro;   i porti di Assab e Massana assicurano l’80% dei traffici marittimi dell’Etiopia (il restante 20% è assicurato da Gibuti); commissioni miste esaminano i problemi comuni e quelli di confine; confine che da ambo le parti è riconosciuto, in linea di principio, come quello tra la “colonia italiana
d’Eritrea” e l’Etiopia (trattato italo-etiopico del 1902 e successivi).

Non mancano peraltro in Etiopia talune correnti politiche e lobbies economiche che accusano Meles di aver concesso tutto all’Eritrea e in particolare di non aver mantenuto uno sblocco al mare.
I problemi sorgono a mano a mano che l’Eritrea si consolida nelle sue strutture di Stato sovrano: la decisione di adottare una moneta nazionale, il Nakfa, nella seconda metà del 1997 provoca le prime incomprensioni fra le lobbies economiche dei due Paesi e le prime difficoltà pratiche specie nelle aree di confine, dove vige il frammischia mento, e in quelle portuali; la decisione del governo etiopico di applicare anche all’Eritrea il sistema della lettera di credito e di basare l’utilizzazione della moneta sui parametri monetari internazionali crea ulteriori contrasti. L’Eritrea infatti rigetta l’idea e sostiene che birr e nakfa debbono avere libero corso nei due Stati senza bisogno di riferimento al dollaro; la necessità, particolarmente dell’Eritrea, di attribuire nazionalità certa a chi vive nelle zone di confine dove hanno operato le due guerriglie e di stabilire, quindi, una struttura amministrativa e tributaria sicura. Il tutto “condito”, forse, da una certa sopravvalutazione che l’Eritrea fa delle proprie capacità politiche e militari.

Così il 12 maggio 1998, mentre il ministro della difesa dell’Eritrea si trova ad Addis Abeba per colloqui pianificati, unità eritree occupano le località di Badrue e Shiraro (circa 400 km2) in zona amministrata dall’Etiopia ma dentro il confine coloniale eritreo, secondo il governo di Asmara; fuori da suddetto confine - quindi in Etiopia - secondo il governo di Addis Abeba. Si saprà qualche giorno dopo che il 6 maggio milizie locali etiopiche avevano aperto il fuoco contro 6 funzionari eritrei uccidendone alcuni.
Le operazioni militari, che comprendono anche attacchi aerei da entrambe le parti, si estendono rapidamente all’area di Zalambessa (settore centrale) e a quella di Bure (settore orientale).
I programmi di riorganizzazione riduttiva delle forze dei due paesi lasciano subito il posto a programmi di potenziamento e quindi di approvvigionamento di materiali più moderni e di parti di ricambio per i vecchi sistemi d’arma sovietici.
Inizia l’espulsione degli eritrei dall’Etiopia, presto seguita da quella degli etiopi dall’Eritrea; spesso senza alcuna informazione né al Comitato internazionale della Croce Rossa né all’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati.
Una recente, verosimile valutazione fa aumentare a circa 15 000 gli etiopi espulsi dall’Eritrea e a circa 60 000 gli eritrei espulsi dall’Etiopia. A ciò si aggiunge l’esodo spontaneo dei residenti dalle zone contese: forse 400-500 000 persone cui i governi nazionali e le organizzazioni internazionali riescono a offrire ben poco, date anche le difficoltà ambientali. Si mobilita la diplomazia. I primi a muoversi sono gli Stati Uniti che, con il Ruanda, propongono: il cessate il fuoco; - il ritiro delle forze eritree sulle posizioni occupate prima del 6 maggio 1998; il ripristino dell’amministrazione civile etiopica e l’invio di osservatori; l’invio di tecnici per la demarcazione del confine che dovrà essere accettato dalle parti con atto giuridico; la smilitarizzazione delle aree prima possibile.

La proposta viene respinta dall’Eritrea che non vuole il ripristino dallo status quo ante - particolarmente il ritorno delle milizie etiopiche armate - quale precondizione per l’apertura delle trattative. Stessa sorte ha la proposta dell’OUA (giugno 1998) che ricalca quella statunitense e la risoluzione n. 1177 dell’ONU che appoggia tale linea d’azione corredandola con l’offerta di sostegni tecnici.
Si continua a combattere ed a morire per offese dirette e per fame. Nel febbraio 1999, con l’operazione “Sunset”, gli etiopi riconquistarono gran parte della piana di Badrue. Gli Eritrei si attestano sulle colline. La guerra diventa di logoramento. Nel luglio, alla conferenza dell’OUA di Algeri, la proposta di pace, da poco accettata in linea di principio dai due contendenti, viene completata da documenti tecnici di “inplementazione” (technical agreements). è sul contenuto di quest’ultimo che questa volta l’Etiopia non concorda perché, a suo avviso, non sarebbe sufficientemente garantito il ritorno allo status quo ante. pertanto, nel settembre 1999 l’Etiopia respinge ufficialmente la proposta.
La situazione globale si aggrava: il 13 settembre 1999 la Banca mondiale sospende i finanziamenti sia all’Etiopia che all’Eritrea fino che non finisca la guerra. Erano programmati investimenti per migliaia di miliardi di dollari nei due paesi; l’economia dei contendenti è al collasso; le perdite complessive ammontano a circa 700 000 unità; gli uomini alle armi sono circa 450 000 per l’Etiopia e 200 000 - forse più - per l’Eritrea. E' in questa situazione che, alla fine del marzo 2000, i contendenti accettarono di aderire a una trattativa indiretta - i cosidetti proxy talks - sotto la regia dell’OUA che cerca di rendere accettabile la parte tecnica della proposta sul tappeto.

Le operazioni tuttavia non si fermano e a maggio 2000, con una forte offensiva generale, le forze etiopiche raggiungono Barentu e Tesseney, sul fronte occidentale, e Tsorona e Sanafé sul fronte centrale.
L’ONU ha nel frattempo decretato l’embargo sulle forniture militari per entrambi i contendenti per 12 mesi o fino alla firma dell’accordo di pace. Ora l’Etiopia può accettare tale accordo così come “aggiustato” dall’OUA durante la 35a sessione ordinaria dei capi di stato e di governo tenuta ad Algeri dal 29 maggio al 12 giugno 2000.
Il 18 giugno 2000 i ministri degli esteri di Etiopia ed Eritrea firmano, finalmente, l’intero accordo per il cessate il fuoco.
In breve: nel preambolo le parti convergono sui seguenti principi: risoluzione delle crisi con mezzi pacifici e legali, in linea con la Carta dell’OUA e dell’ONU; quindi rigetto dell’uso della forza; rispetto dei confini esistenti all’atto dell’indipendenza, secondo quanto stabilito dalla risoluzione dell’OUA adottata al Cairo nel 1964 e, a tal proposito, determinazione di tali confini sulla base di pertinenti trattati coloniali e di leggi internazionali applicabili e, in caso di controversia, ricorso ad appropriati meccanismi di arbitrato; nei 15 articoli successivi le parti accettano: •il ritiro delle forze etiopiche dalle posizioni occupate dopo il 6 febbraio 1999 e che non erano sotto l’amministrazione etiopica prima del 6 maggio 1998. La dislocazione delle unità sarà controllata da forze di pace - Keapling dell’Onu “sotto gli auspici dell’OUA”; lo stabilimento di una “Zona di sicurezza temporanea” (TSZ), all’interno del territorio eritreo, profonda 25 km (dalla linea del nuovo schieramento delle forze etiopiche). Tale zona sarà pattugliata dalle forze di peace-keeping, fino alla demarcazione del confine. il possibile uso della forza da parte delle forze di peace-keeping in caso di violazione degli impegni assunti da una o da entrambe le parti (previsione del Cap. VII della Carta dell’ONU). E' evidente che non mancano punti critici tanto che a fine ottobre, durante i colloqui per trasformare l’accordo sul cessate il fuoco in accordo di pace, le parti si scambiano ancora accuse.
Il più importante accordo sta nella frase “... rispetto dei confini esistenti al momento dell’indipendenza, come stabilito dalla risoluzione adottata dall’OUA... e, a tale riguardo, loro determinazione sulla base dei pertinenti trattati coloniali e della legge internazionale applicabile...”
Per la maggior parte dei Paesi africani “indipendenza” vuol dire indipendenza dalle potenze coloniali. In caso di disputa territoriale tra due di essi, l’OUA esaminerà i trattati coloniali per stabilire dove correva il confine nell’epoca coloniale e dove correva il “giorno dell’indipendenza”. Lo stato di Eritrea però non è nato in un giorno dall’indipendenza dall’Italia che non c’è mai stato e, al momento della liberazione dell’Eritrea dall’Etiopia, il confine era inteso con qualche diversità da quanto descritto dai trattati coloniali e da quanto riportato sulle carte topografiche italiane.
Infatti, in qualche area di territorio della “colonia eritrea”, si era affermata la guerriglia etiopica anti-menghistu.
Ma, nonostante dubbi e possibili lunghe future discussioni, hanno prevalso il buon senso e la stanchezza in entrambi i paesi.

Con la firma del 12 dicembre 2000 da parte del primo ministro dell’Etiopia Meles Zenawi e del presidente dello Stato d’Eritrea Isaias Afworki, comincia la delicata fase della gestione della pace di cui sottolineo tre passaggi importanti: una commissione arbitrale neutrale deciderà sulle controversie di confine e se le sue decisioni non saranno accettate da entrambi i governi, si adirà alla Corte Internazionale dell’Aia per la decisione finale; una seconda commissione quantificherà i danni prodotti da atti bellici diretti e i danni subiti dai civili assoggettati a espulsione e conseguente abbandono di beni; un’altra commissione, ancora da definire, svolgerà un’inchiesta sulle origini del conflitto al termine della quale verrà quantificato il risarcimento reciproco fra i due Stati. Sul versante operativo, intanto, l’ONU fin dal luglio 2000 (risoluzione 1312) autorizza la costituzione della “United Motions Mission in Etiopia and Eritrea” (UMMEE) formalizzandole poi con la risoluzione 1320 del 15 settembre. 

La missione deve - e lo sta già facendo: controllare il rispetto del cessate il fuoco e degli impegni di sicurezza assunti dalle parti; controllare il ripiegamento delle forze etiopiche; controllare che le forze eritree si mantengano a 25 km dalle posizioni etiopiche; pattugliare la “Zona di Sicurezza Temporanea”; presiedere la Military Coordination Commission ONU - OUA; - coordinare e fornire assistenza tecnica per lo sminamento della TZZ e aree contigue; coordinare le sue attività in TZZ e aree contigue con quelle umanitarie promosse dall’ONU e da altre organizzazioni internazionali. L’entità autorizzata delle forze e di 4200 unità di cui 220 osservatori e 398 uomini comprensivi di 3 battaglioni e supporti logistici.
Lo schieramento è così articolato: 1 comando a livello divisione ad Asmara; 3 settori di brigata: occidentale, centrale, orientale con rispettivi comandi a Barentu, Adigrat e Assab.

Forniscono personale 34 nazioni.
Il comandante è il maggior generale olandese Cammaert che è l’attuale comandante di quella Stending Higt Deadiness Brigate (SHIRBIGADE) formata da forze che, all’occorrenza, varie nazioni mettono a disposizione dell’ONU.
I paesi che hanno dato il maggiore contributo in uomini per i tre battaglioni di fanteria sono Olanda (784), Danimarca (288), Canada (241) e Giordania (193).
La permanenza in teatro è di 6 mesi. Il Gen Cammaert rimarrà per 1 anno, prorogabile. L’Italia partecipa con un aliquota di forze assegnate e un’aliquota sotto comando nazionale per complessivi 190 uomini circa.
Dell’aliquota assegnata fanno parte: 10 osservatori dell’Esercito; personale per il comando della missione; un nucleo cartografico dell’Istituto geografico militare; un reparto autonomo di volo dell’Aeronautica con 2 aerei da trasporto G-222, 2 elicotteri NH-500, 2 aerei P166; un nucleo sanitario del Corpo militare della CRI; un nucleo di conduttori-istruttori per la consegna di 50 autocarri; una compagnia Carabinieri (410 uomini circa).
Dell’aliquota sotto comando nazionale fanno parte: il capo della missione italiana (Senior National Rapresentative) che è un colonnello dell’Aeronautica; personale per il comando e l’amministrazione; personale per le telecomunicazioni; un nucleo di vigilanza.

L’unica cosa di cui Etiopia ed Eritrea non avevano proprio bisogno è questa guerra che - si capiva sin dall’inizio - avrebbe solo peggiorato le carenze che affliggono entrambe le nazioni, senza risolvere i problemi di confine che non erano affatto i più drammatici. Si potevano subito adire gli idonei concessi internazionali giungendo allo stesso stadio al quale si è ora, dopo 60 000 morti e 100 000 feriti.
Nessun insegnamento era stato trattato dalla crisi del 1996 tra Eritrea e Yemen per l’appartenenza delle isole Hanish.
Si discuterà a lungo sulle cause di questa guerra ma non credo si approderà a qualcosa di diverso da quanto detto. Certo, non è facile per degli analisti di rango attribuire un valore anche alle casualità.
Nel Corno d’Africa, però, è un fattore da tener presente.
Ora bisogna risistemare circa 15 000 etiopi espulsi dell’Eritrea e Circa 60 000 eritrei espulsi dall’Etiopia.
A questi vanno aggiunti circa 400 000 persone del cosiddetto esodo spontaneo (o forzato) dalle zone d’operazione.
Capire la verità (che spesso sarà solo la “loro” verità), trasportarli, ricostruire case e strutture varie sarà possibile solo mediante una seria collaborazione fra i due governi, le agenzie dell’ONU, la Croce Rossa Internazionale, le organizzazioni governative e non governative, le forze militari dell’ONU. In particolare, il coordinamento con queste ultime deve essere rigoroso (rispetto delle regole, collaborazione informativa, ecc.).

Bisogna riavviare due economie. I dati disponibili dicono che: per l’Etiopia: il birr è scivolato da 6,8 all’inizio della guerra a 8,3 per 1 dollaro; il prezzo dei generi alimentari è aumentato dal 19,8%; gli introiti da esportazione sono diminuiti dal 15%; per l’Eritrea: il nakfa è scivolato da 7,2 all’inizio del conflitto a 9,5 per 1 dollaro; lo sviluppo economico si è abbassato dal 7-8% del 1995 al 4% del 1999.

Bisogna smobilitare circa 433 000 militari; 2/3, cioè , dei 450 000 etiopi e dei 200 000 eritrei. è chiaro che si potrà fare poco senza il forte sostegno dei paesi donatori e delle istituzioni finanziarie internazionali. Qualche segno incoraggiante c’è: l’Etiopia ha concordato con la Banca Mondiale, a fine dicembre 2000, un prestito di 400 milioni di dollari (230 per progetti di sviluppo e lotta alla povertà; 170 per spese di smobilitazione); L’Eritrea ha definito, dal luglio 2000 un programma di ricostruzione per 3000 milioni di dollari che saranno forniti dalla Banca mondiale, dalla Commissione europea e dall’Italia. 

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