L’Eritrea
fu
colonizzata,
già
prima
dell’era
volgare,
dalle
stesse
genti
dell’Arabia
meridionale
che
attraverso
la
progressiva
espansione
all’interno
del
paese,
fondavano
in
seguito
il
regno
d’Aksum.
Di
questo
fecero
parte,
per
secoli,
le
principali
regioni
eritree;
e
dal
porto,
fiorentissimo,
di
Adulis,
un’importante
arteria
commerciale
si
spingeva
fino
ad
Aksum,
la
capitale
del
regno.
Ma
nel
VII
secolo,
con
l’affermarsi
dell’Islam,
le
vie
dell’espansione
marittimo-commerciale
rimasero
precluse
all’impero
aksumita,
il
quale
venne
perciò
spostando
il
proprio
centro
politico
ed
economico
sempre
più
ad
occidente,
entro
l’altopiano
etiopico,
mentre
sul
litorale
si
stabiliva
la
dominazione
mussulmana.
Quindi
le
isole
Dahlac
divennero
il
centro
di
un
principato
islamico
indipendente,
dal
quale
dovette
dipendere,
salvo
brevi
interruzioni,
anche
Massaua.
Verso
la
metà
del
XVI
secolo
i
Turchi
s’impadronirono
stabilmente
di
Massaua
e
di
Archico,
donde,
negli
anni
successivi,
tentarono
inutilmente
la
conquista
dell’Etiopia.
Nel
1865
le
regioni
costiere
venivano
acquistate
dall’Egitto,
che
dalla
guerra
civile
abissina
trasse
dapprima
l’occasione
ad
espandersi
verso
l’interno
con
la
conquista
di
Cheren
nel
1872
ma
in
seguito,
divenuta
l’Eritrea
campo
di
lotta
tra
mussulmani
egiziani
e
cristiani
abissini,
fu
gravemente
sconfitto
in
battaglia
a
Gundat
(1875)
e
a
Gurà
(1876).
Sviluppatosi
nel
Sudan
il
movimento
del
Mahdì,
le
regioni
occidentali
dell’Eritrea
subirono
l’invasione
dei
Dervisci;
mentre
sulla
costa,
a
Massaua,
l’Italia,
che
aveva
istituito
ad
Assab,
nel
luglio
del
1882,
la
sua
prima
colonia
africana,
sostituiva
la
propria
alla
sovranità
egiziana,
nel
1885,
d’accordo
con
la
Gran
Bretagna.
L’occupazione
di
Massaua
provocava
la
reazione
abissina,
che
ebbe
un
episodio
nei
fatti
di
Dogali
nel
1887;
poco
dopo,
il
Negus
Johannes
scendeva
a
combattere
i
Dervisci
a
Metemma
e
vi
trovava
la
morte.
Dopo
Dogali
e
Saati
(1887)
ci
fu
la
battaglia
di
Saganeiti
(1888).
Dopo
la
morte
dell'imperatore
Johannes
(1889)
e
l'ascesa
al
trono
dì
Menelìk,
con
il
favore
degli
italiani,
si
andò
al
trattato
dì
Uccialli
con
l’occupazione
di
Cheren
(1889)
e
d’Asmara
(3
agosto
1889).
Il
1°
gennaio
1890
con
decreto
reale
i
vari
possedimenti
furono
riuniti,
entrando
a
far
parte
della
Colonia
Eritrea.
Ingrandita,
in
seguito
alla
vittoriosa
campagna
militare
contro
i
Dervisci,
Halat
(1891)
e
nel
1892
Agordat
e
Cassala
(ceduta,
quest’ultima,
nel
1896
al
Sudan
Anglo-Egiziano).
Nel
1895
furono
occupate
provvisoriamente
Axum
e
Adua,
dopo
la
battaglia
di
Coatti,
ed
infine
nel
dicembre
di
quell'anno
la
sconfitta
dell'Amba
Alagi
e
poi
quella
ancora
più
rovinosa
di
Adua
nel
marzo
1896.
Al
termine
della
lotta
(1895-1896)
che
vide
impegnata
l’Italia
contro
l’Abissinia,
l’Eritrea
poté
iniziare
un
pacifico
sviluppo
coloniale.
Con
l’accordo
a
tre
anglo-italo-etiopico
del
15
maggio
1902
entrava
a
far
parte
del
territorio
eritreo
anche
la
regione
dei
Cunama
tra
i
fiumi
Gasc
e
Setit,
mentre
per
il
trattato
italo-etiopico
del
maggio
1908
il
confine
della
Dancalia
veniva
fissato
a
60
km
di
distanza
dalla
costa.
Dopo
questo
periodo
di
guerre
e
di
trattati
l’Eritrea
conobbe
la
pace
fino
al
1935
e
prosperò
moderatamente,
la
vita
tranquilla
della
colonia
fu
movimentata
dal
terremoto
di
Massaua
del
1921.
L’Eritrea
costituì
la
base
per
le
operazioni
militari
contro
l’Impero
etiopico,
nel
1935-36;
al
termine
del
conflitto,
per
effetto
della
legge
che
istituiva
il
territorio
dell’Africa
Orientale
Italiana,
entrava
a
far
parte
di
questa,
ingrandita
dei
distretti
già
etiopici
del
Tigrai,
della
Dancalia
e
dell’Aussa
(1°
giugno
1936).
La
guerra
d'Etiopia,
voluta
da
Mussolini,
portò
un
benessere
insperato
all'Eritrea
che
in
cinque
anni
progredì
in
modo
prodigioso
dall'edilizia
ai
commerci,
dall'industria
all'agricoltura.
Nel
1940
l'Italia
entra
in
guerra,
al
fianco
della
Germania,
nel
secondo
conflitto
mondiale
e
la
colonia
era
del
tutto
impreparata
ad
affrontare
le
difficoltà
di
comunicazione
con
l'Italia,
tutto
ciò
la
costrinse
ad
affrontare
la
guerra
in
modo
autonomo.
I
primi
mesi
furono
tempi
dì
vittoria
sul
fronte
somalo,
con
la
conquista
di
Berbera,
e
su
quello
del
Sudan,
con
la
seconda
occupazione
di
Cassala,
e
poi
di
Gallabat.
Intanto
i
patrioti
etiopici,
che
sono
armati
dagli
inglesi,
combattono
gli
italiani,
mentre
gli
ascari
etiopici,
a
differenza
di
quelli
eritrei
e
somali,
disertano
i
nostri
reparti.
Nel
gennaio
1941
gli
inglesi
sferrano
un'offensiva
dal
Sudan
e
riconquistano
Cassala,
gli
italiani
ripiegano
su
Agordat
e
Cheren
e
colà
si
attestano.
La
famosa
battaglia
dì
Cheren
dura
due
mesi
e
il
26
marzo
1941
il
generale
Carnimeo
abbandona
Cheren
e
ripiega
verso
il
mare.
La
strada
per
Asmara
è
aperta,
gli
inglesi
entrano
in
Asmara
il
1
aprile
1941,
dopo
sette
giorni
sono
a
Massaua.
Tutta
l'Eritrea
passa
sotto
l'amministrazione
inglese
fino
al
1952
quando
passa
in
unione
federale
con
l’Etiopia.
Il
governo
federale
etiopico-eritreo
è
responsabile
per
la
difesa,
gli
affari
esteri
e
quelli
economici;
il
governo
eritreo
ha
invece
facoltà
di
decidere
in
materia
di
affari
locali
e
ha
un
suo
proprio
bilancio.
Nel
quadro
della
sua
autonomia
L’Eritrea
ha
un’assemblea
legislativa
di
50-60
membri,
eletti
parte
con
votazione
diretta,
parte
indiretta,
rinnovabile
ogni
quattro
anni.
Il
diritto
consuetudinario
coesiste
con
la
legge
italiana
nella
definizione
dei
rapporti
civili,
mentre
la
legge
penale
è
basata
sui
principi
del
diritto
italiano
e
di
quello
britannico;
questi
ultimi
quali
furono
codificati
nei
successivi
proclami
emessi
dall’amministrazione
inglese
nell’ex
colonia
italiana.
I
beni
mobili
ed
immobili
esistenti
in
Eritrea
di
cui
era
proprietario
lo
stato
italiano
sono
stati
trasferiti
senza
pagamento
al
governo
eritreo
il
30
gennaio
1952.
Da
questo
momento
comincia
il
declino
dell'Eritrea,
l'Imperatore
Hailè
Sellassìè,
non
rispettando
le
autonomie
eritree,
fin
dal
1952
fece
occupare
dall'esercito
etiopico
i
punti
strategici
del
Paese,
nel
‘53
è
soppressa
la
libertà
dì
stampa,
nel
'55
destituisce
il
capo
di
governo
legittimo
sostituendolo
con
due
ras
etiopici,
nel
1961
abolisce
la
bandiera
eritrea
e
nel
novembre
del
1962
considerò
decaduti
gli
accordi
federali,
l'Eritrea
fu
ridotta
al
rango
dì
provincia
dell’Impero
etiopico.
Dopo
iniziò
un
periodo
di
”pulizia
etnica”
e
di
terrorismo
di
stato
che
durò
fino
al
1974
anno
in
cui
fu
deposto
Hailè
Sellassìè.
Per
gli
eritrei
non
cambiò
nulla,
la
guerra
di
liberazione,
iniziata
il
1
settembre
1961,
continuò
contro
il
“Derg”
di
Menghistù
fino
al
1991,
infatti,
il
24
maggio
di
quell’anno,
dopo
trent’anni
di
lotta
per
l’indipendenza,
gli
eritrei
conobbero
finalmente
la
libertà.
E
del
1978
la
prima
delle
otto
massicce
offensive
che
cancella
quasi
dalla
scena
il
fronte
di
liberazione
dell’Eritrea
(ELF)
e
costringe,
il
fronte
popolare
di
liberazione
dell’Eritrea
(EPLF),
ad
asserragliarsi
nell’area
montana
e
fortificata
di
Nakfa.
Il
tragico
corollario
è
costituito
da
1
milione
circa
di
eritrei
che
abbandonano
il
loro
paese
(7000
si
stabiliscono
in
Italia
che
li
tratta
come
rifugiati
politici,
pur
non
riconoscendone
ufficialmente
lo
status)
Il
1984
è
l’anno
della
grande
carestia
in
Etiopia
e
sull’altopiano
eritreo.
Gli
aiuti
internazionali
vengono
dati
al
governo
etiopico
di
Mengistu
che
se
ne
serve
largamente
per
sostenere
le
forze
impegnate
contro
gli
eritrei
ormai
anche
sul
territorio
metropolitano
contro
la
crescente
guerriglia
anticomunista
nella
quale
va
affermandosi
come
leader
l’attuale
primo
ministro
Meles
Zenawi
nell’ambito
del
Fronte
popolare
di
liberazione
del
Tigray
(TPLF).
La
carestia
ricorrerà
ancora
nel
1987
e
nel
1989.
All’inizio
del
1988
il
Fronte
popolare
di
liberazione
dell’Eritrea
(EPLF)
ormai
guidato
dall’attuale
presidente
dell’Eritrea
Isaias
Afworki
riguadagna
l’iniziativa
e
si
allea
con
la
guerriglia
antigovernativa
etiopica
di
Meles
Zenawi
(TPLF).
Vengono
definite
le
aree
di
competenza
operativa
e
amministrativa.
In
questo
risiede
uno
dei
germi
della
crisi
attuale.
Il
21
maggio
1991
il
dittatore
etiopico
Mengistu,
ormai
alle
corde,
fugge
in
Zinbawe
(il
dittatore
somalo
Siad
Barre
è
fuggito
da
Mogadiscio
quattro
mesi
prima).
Zenawi
assume
il
potere
ad
Addis
Abeba
e
le
forze
eritree
di
liberazione
entrano
ad
Asmara.
Il
1°
luglio
1991
la
Conferenza
di
riconciliazione
nazionale
riconoscere
all’Eritrea
il
diritto
all’autodeterminazione,
mentre
le
nuove
autorità
di
Asmara
garantiscono
all’Etiopia
l’accesso
al
mare
attraverso
i
porti
di
Assab
e
Massaua.
Il
23
aprile
1993
ha
luogo
in
Eritrea
il
referendum
nel
quale
il
98%
della
popolazione
vota
per
l’indipendenza.
Il
24
maggio
1993
(secondo
anniversario
della
liberazione
di
Asmara)
l’Eritrea
viene
dichiarata
Stato
indipendente.
Seguono
l’ammissione
all’ONU,
all’Organizzazione
dell’unità
africana
e,
l’anno
successivo,
al
Fondo
monetario
internazionale.
L’Eritrea
conta
circa
300.000
morti.
L’Etiopia
forse
altrettanti,
comprese
14.209
vittime
accertate
del
“terrore
rosso”.
I
profughi
sono
centinaia
di
migliaia.
Abbondano
solo
gli
ormai
inutili
arsenali
di
armi
ed
equipaggiamenti
sovietici.
Gli
anni
dal
’93
al
’97
sono
quelli
della
costruzione
della
democrazia
nei
due
Stati,
pur
con
qualche
comprensibile
contraddizione.
Gli
uomini
forti
sono
in
Etiopia
Meles
Zenawi,
primo
ministro
e
leader
della
coalizione
di
governo
Ethiopian
People
Revolutionary
Democratic
Front
(EPRDF)
e
Isaias
Afworki
presidente
dello
stato
d’Eritrea,
capo
dell’esecutivo
e
leader
del
Fronte
popolare
per
la
giustizia
e
la
democrazia
(PFDI
ex
EPLF).
La
comunità
internazionale
concede
fiducia.
L’intesa
tra
il
governo
di
Addis
Abeba
e
quello
di
Asmara
funziona:
in
Etiopia
risiedono
circa
150
000
eritrei
(500
mila
secondo
Addis
Abeba)
impiegati
nel
commercio,
nella
pubblica
amministrazione
e
nelle
stesse
forze
armate;
la
moneta
è
il
birr
etiopico
per
entrambe
le
nazioni,
con
una
quotazione
tra
6,5
e
7
birr
per
1
dollaro;
i
porti
di
Assab
e
Massana
assicurano
l’80%
dei
traffici
marittimi
dell’Etiopia
(il
restante
20%
è
assicurato
da
Gibuti);
commissioni
miste
esaminano
i
problemi
comuni
e
quelli
di
confine;
confine
che
da
ambo
le
parti
è
riconosciuto,
in
linea
di
principio,
come
quello
tra
la
“colonia
italiana
d’Eritrea”
e
l’Etiopia
(trattato
italo-etiopico
del
1902
e
successivi).
Non
mancano
peraltro
in
Etiopia
talune
correnti
politiche
e
lobbies
economiche
che
accusano
Meles
di
aver
concesso
tutto
all’Eritrea
e
in
particolare
di
non
aver
mantenuto
uno
sblocco
al
mare.
I
problemi
sorgono
a
mano
a
mano
che
l’Eritrea
si
consolida
nelle
sue
strutture
di
Stato
sovrano:
la
decisione
di
adottare
una
moneta
nazionale,
il
Nakfa,
nella
seconda
metà
del
1997
provoca
le
prime
incomprensioni
fra
le
lobbies
economiche
dei
due
Paesi
e
le
prime
difficoltà
pratiche
specie
nelle
aree
di
confine,
dove
vige
il
frammischia mento,
e
in
quelle
portuali;
la
decisione
del
governo
etiopico
di
applicare
anche
all’Eritrea
il
sistema
della
lettera
di
credito
e
di
basare
l’utilizzazione
della
moneta
sui
parametri
monetari
internazionali
crea
ulteriori
contrasti.
L’Eritrea
infatti
rigetta
l’idea
e
sostiene
che
birr
e
nakfa
debbono
avere
libero
corso
nei
due
Stati
senza
bisogno
di
riferimento
al
dollaro;
la
necessità,
particolarmente
dell’Eritrea,
di
attribuire
nazionalità
certa
a
chi
vive
nelle
zone
di
confine
dove
hanno
operato
le
due
guerriglie
e
di
stabilire,
quindi,
una
struttura
amministrativa
e
tributaria
sicura.
Il
tutto
“condito”,
forse,
da
una
certa
sopravvalutazione
che
l’Eritrea
fa
delle
proprie
capacità
politiche
e
militari.
Così
il
12
maggio
1998,
mentre
il
ministro
della
difesa
dell’Eritrea
si
trova
ad
Addis
Abeba
per
colloqui
pianificati,
unità
eritree
occupano
le
località
di
Badrue
e
Shiraro
(circa
400
km2)
in
zona
amministrata
dall’Etiopia
ma
dentro
il
confine
coloniale
eritreo,
secondo
il
governo
di
Asmara;
fuori
da
suddetto
confine
-
quindi
in
Etiopia
-
secondo
il
governo
di
Addis
Abeba.
Si
saprà
qualche
giorno
dopo
che
il
6
maggio
milizie
locali
etiopiche
avevano
aperto
il
fuoco
contro
6
funzionari
eritrei
uccidendone
alcuni.
Le
operazioni
militari,
che
comprendono
anche
attacchi
aerei
da
entrambe
le
parti,
si
estendono
rapidamente
all’area
di
Zalambessa
(settore
centrale)
e
a
quella
di
Bure
(settore
orientale).
I
programmi
di
riorganizzazione
riduttiva
delle
forze
dei
due
paesi
lasciano
subito
il
posto
a
programmi
di
potenziamento
e
quindi
di
approvvigionamento
di
materiali
più
moderni
e
di
parti
di
ricambio
per
i
vecchi
sistemi
d’arma
sovietici.
Inizia
l’espulsione
degli
eritrei
dall’Etiopia,
presto
seguita
da
quella
degli
etiopi
dall’Eritrea;
spesso
senza
alcuna
informazione
né
al
Comitato
internazionale
della
Croce
Rossa
né
all’Alto
commissariato
dell’Onu
per
i
rifugiati.
Una
recente,
verosimile
valutazione
fa
aumentare
a
circa
15
000
gli
etiopi
espulsi
dall’Eritrea
e
a
circa
60
000
gli
eritrei
espulsi
dall’Etiopia.
A
ciò
si
aggiunge
l’esodo
spontaneo
dei
residenti
dalle
zone
contese:
forse
400-500
000
persone
cui
i
governi
nazionali
e
le
organizzazioni
internazionali
riescono
a
offrire
ben
poco,
date
anche
le
difficoltà
ambientali.
Si
mobilita
la
diplomazia.
I
primi
a
muoversi
sono
gli
Stati
Uniti
che,
con
il
Ruanda,
propongono:
il
cessate
il
fuoco;
-
il
ritiro
delle
forze
eritree
sulle
posizioni
occupate
prima
del
6
maggio
1998;
il
ripristino
dell’amministrazione
civile
etiopica
e
l’invio
di
osservatori;
l’invio
di
tecnici
per
la
demarcazione
del
confine
che
dovrà
essere
accettato
dalle
parti
con
atto
giuridico;
la
smilitarizzazione
delle
aree
prima
possibile.
La
proposta
viene
respinta
dall’Eritrea
che
non
vuole
il
ripristino
dallo
status
quo
ante
-
particolarmente
il
ritorno
delle
milizie
etiopiche
armate
-
quale
precondizione
per
l’apertura
delle
trattative.
Stessa
sorte
ha
la
proposta
dell’OUA
(giugno
1998)
che
ricalca
quella
statunitense
e
la
risoluzione
n.
1177
dell’ONU
che
appoggia
tale
linea
d’azione
corredandola
con
l’offerta
di
sostegni
tecnici.
Si
continua
a
combattere
ed
a
morire
per
offese
dirette
e
per
fame.
Nel
febbraio
1999,
con
l’operazione
“Sunset”,
gli
etiopi
riconquistarono
gran
parte
della
piana
di
Badrue.
Gli
Eritrei
si
attestano
sulle
colline.
La
guerra
diventa
di
logoramento.
Nel
luglio,
alla
conferenza
dell’OUA
di
Algeri,
la
proposta
di
pace,
da
poco
accettata
in
linea
di
principio
dai
due
contendenti,
viene
completata
da
documenti
tecnici
di
“inplementazione”
(technical
agreements).
è
sul
contenuto
di
quest’ultimo
che
questa
volta
l’Etiopia
non
concorda
perché,
a
suo
avviso,
non
sarebbe
sufficientemente
garantito
il
ritorno
allo
status
quo
ante.
pertanto,
nel
settembre
1999
l’Etiopia
respinge
ufficialmente
la
proposta.
La
situazione
globale
si
aggrava:
il
13
settembre
1999
la
Banca
mondiale
sospende
i
finanziamenti
sia
all’Etiopia
che
all’Eritrea
fino
che
non
finisca
la
guerra.
Erano
programmati
investimenti
per
migliaia
di
miliardi
di
dollari
nei
due
paesi;
l’economia
dei
contendenti
è
al
collasso;
le
perdite
complessive
ammontano
a
circa
700
000
unità;
gli
uomini
alle
armi
sono
circa
450
000
per
l’Etiopia
e
200
000
-
forse
più
-
per
l’Eritrea.
E'
in
questa
situazione
che,
alla
fine
del
marzo
2000,
i
contendenti
accettarono
di
aderire
a
una
trattativa
indiretta
-
i
cosidetti
proxy
talks
-
sotto
la
regia
dell’OUA
che
cerca
di
rendere
accettabile
la
parte
tecnica
della
proposta
sul
tappeto.
Le
operazioni
tuttavia
non
si
fermano
e
a
maggio
2000,
con
una
forte
offensiva
generale,
le
forze
etiopiche
raggiungono
Barentu
e
Tesseney,
sul
fronte
occidentale,
e
Tsorona
e
Sanafé
sul
fronte
centrale.
L’ONU
ha
nel
frattempo
decretato
l’embargo
sulle
forniture
militari
per
entrambi
i
contendenti
per
12
mesi
o
fino
alla
firma
dell’accordo
di
pace.
Ora
l’Etiopia
può
accettare
tale
accordo
così
come
“aggiustato”
dall’OUA
durante
la
35a
sessione
ordinaria
dei
capi
di
stato
e
di
governo
tenuta
ad
Algeri
dal
29
maggio
al
12
giugno
2000.
Il
18
giugno
2000
i
ministri
degli
esteri
di
Etiopia
ed
Eritrea
firmano,
finalmente,
l’intero
accordo
per
il
cessate
il
fuoco.
In
breve:
nel
preambolo
le
parti
convergono
sui
seguenti
principi:
risoluzione
delle
crisi
con
mezzi
pacifici
e
legali,
in
linea
con
la
Carta
dell’OUA
e
dell’ONU;
quindi
rigetto
dell’uso
della
forza;
rispetto
dei
confini
esistenti
all’atto
dell’indipendenza,
secondo
quanto
stabilito
dalla
risoluzione
dell’OUA
adottata
al
Cairo
nel
1964
e,
a
tal
proposito,
determinazione
di
tali
confini
sulla
base
di
pertinenti
trattati
coloniali
e
di
leggi
internazionali
applicabili
e,
in
caso
di
controversia,
ricorso
ad
appropriati
meccanismi
di
arbitrato;
nei
15
articoli
successivi
le
parti
accettano:
•il
ritiro
delle
forze
etiopiche
dalle
posizioni
occupate
dopo
il
6
febbraio
1999
e
che
non
erano
sotto
l’amministrazione
etiopica
prima
del
6
maggio
1998.
La
dislocazione
delle
unità
sarà
controllata
da
forze
di
pace
-
Keapling
dell’Onu
“sotto
gli
auspici
dell’OUA”;
lo
stabilimento
di
una
“Zona
di
sicurezza
temporanea”
(TSZ),
all’interno
del
territorio
eritreo,
profonda
25
km
(dalla
linea
del
nuovo
schieramento
delle
forze
etiopiche).
Tale
zona
sarà
pattugliata
dalle
forze
di
peace-keeping,
fino
alla
demarcazione
del
confine.
il
possibile
uso
della
forza
da
parte
delle
forze
di
peace-keeping
in
caso
di
violazione
degli
impegni
assunti
da
una
o
da
entrambe
le
parti
(previsione
del
Cap.
VII
della
Carta
dell’ONU).
E'
evidente
che
non
mancano
punti
critici
tanto
che
a
fine
ottobre,
durante
i
colloqui
per
trasformare
l’accordo
sul
cessate
il
fuoco
in
accordo
di
pace,
le
parti
si
scambiano
ancora
accuse.
Il
più
importante
accordo
sta
nella
frase
“...
rispetto
dei
confini
esistenti
al
momento
dell’indipendenza,
come
stabilito
dalla
risoluzione
adottata
dall’OUA...
e,
a
tale
riguardo,
loro
determinazione
sulla
base
dei
pertinenti
trattati
coloniali
e
della
legge
internazionale
applicabile...”
Per
la
maggior
parte
dei
Paesi
africani
“indipendenza”
vuol
dire
indipendenza
dalle
potenze
coloniali.
In
caso
di
disputa
territoriale
tra
due
di
essi,
l’OUA
esaminerà
i
trattati
coloniali
per
stabilire
dove
correva
il
confine
nell’epoca
coloniale
e
dove
correva
il
“giorno
dell’indipendenza”.
Lo
stato
di
Eritrea
però
non
è
nato
in
un
giorno
dall’indipendenza
dall’Italia
che
non
c’è
mai
stato
e,
al
momento
della
liberazione
dell’Eritrea
dall’Etiopia,
il
confine
era
inteso
con
qualche
diversità
da
quanto
descritto
dai
trattati
coloniali
e
da
quanto
riportato
sulle
carte
topografiche
italiane.
Infatti,
in
qualche
area
di
territorio
della
“colonia
eritrea”,
si
era
affermata
la
guerriglia
etiopica
anti-menghistu.
Ma,
nonostante
dubbi
e
possibili
lunghe
future
discussioni,
hanno
prevalso
il
buon
senso
e
la
stanchezza
in
entrambi
i
paesi.
Con
la
firma
del
12
dicembre
2000
da
parte
del
primo
ministro
dell’Etiopia
Meles
Zenawi
e
del
presidente
dello
Stato
d’Eritrea
Isaias
Afworki,
comincia
la
delicata
fase
della
gestione
della
pace
di
cui
sottolineo
tre
passaggi
importanti:
una
commissione
arbitrale
neutrale
deciderà
sulle
controversie
di
confine
e
se
le
sue
decisioni
non
saranno
accettate
da
entrambi
i
governi,
si
adirà
alla
Corte
Internazionale
dell’Aia
per
la
decisione
finale;
una
seconda
commissione
quantificherà
i
danni
prodotti
da
atti
bellici
diretti
e
i
danni
subiti
dai
civili
assoggettati
a
espulsione
e
conseguente
abbandono
di
beni;
un’altra
commissione,
ancora
da
definire,
svolgerà
un’inchiesta
sulle
origini
del
conflitto
al
termine
della
quale
verrà
quantificato
il
risarcimento
reciproco
fra
i
due
Stati.
Sul
versante
operativo,
intanto,
l’ONU
fin
dal
luglio
2000
(risoluzione
1312)
autorizza
la
costituzione
della
“United
Motions
Mission
in
Etiopia
and
Eritrea”
(UMMEE)
formalizzandole
poi
con
la
risoluzione
1320
del
15
settembre.
La
missione
deve
-
e
lo
sta
già
facendo:
controllare
il
rispetto
del
cessate
il
fuoco
e
degli
impegni
di
sicurezza
assunti
dalle
parti;
controllare
il
ripiegamento
delle
forze
etiopiche;
controllare
che
le
forze
eritree
si
mantengano
a
25
km
dalle
posizioni
etiopiche;
pattugliare
la
“Zona
di
Sicurezza
Temporanea”;
presiedere
la
Military
Coordination
Commission
ONU
-
OUA;
-
coordinare
e
fornire
assistenza
tecnica
per
lo
sminamento
della
TZZ
e
aree
contigue;
coordinare
le
sue
attività
in
TZZ
e
aree
contigue
con
quelle
umanitarie
promosse
dall’ONU
e
da
altre
organizzazioni
internazionali.
L’entità
autorizzata
delle
forze
e
di
4200
unità
di
cui
220
osservatori
e
398
uomini
comprensivi
di
3
battaglioni
e
supporti
logistici.
Lo
schieramento
è
così
articolato:
1
comando
a
livello
divisione
ad
Asmara;
3
settori
di
brigata:
occidentale,
centrale,
orientale
con
rispettivi
comandi
a
Barentu,
Adigrat
e
Assab.
Forniscono
personale
34
nazioni.
Il
comandante
è
il
maggior
generale
olandese
Cammaert
che
è
l’attuale
comandante
di
quella
Stending
Higt
Deadiness
Brigate
(SHIRBIGADE)
formata
da
forze
che,
all’occorrenza,
varie
nazioni
mettono
a
disposizione
dell’ONU.
I
paesi
che
hanno
dato
il
maggiore
contributo
in
uomini
per
i
tre
battaglioni
di
fanteria
sono
Olanda
(784),
Danimarca
(288),
Canada
(241)
e
Giordania
(193).
La
permanenza
in
teatro
è
di
6
mesi.
Il
Gen
Cammaert
rimarrà
per
1
anno,
prorogabile.
L’Italia
partecipa
con
un
aliquota
di
forze
assegnate
e
un’aliquota
sotto
comando
nazionale
per
complessivi
190
uomini
circa.
Dell’aliquota
assegnata
fanno
parte:
10
osservatori
dell’Esercito;
personale
per
il
comando
della
missione;
un
nucleo
cartografico
dell’Istituto
geografico
militare;
un
reparto
autonomo
di
volo
dell’Aeronautica
con
2
aerei
da
trasporto
G-222,
2
elicotteri
NH-500,
2
aerei
P166;
un
nucleo
sanitario
del
Corpo
militare
della
CRI;
un
nucleo
di
conduttori-istruttori
per
la
consegna
di
50
autocarri;
una
compagnia
Carabinieri
(410
uomini
circa).
Dell’aliquota
sotto
comando
nazionale
fanno
parte:
il
capo
della
missione
italiana
(Senior
National
Rapresentative)
che
è
un
colonnello
dell’Aeronautica;
personale
per
il
comando
e
l’amministrazione;
personale
per
le
telecomunicazioni;
un
nucleo
di
vigilanza.
L’unica
cosa
di
cui
Etiopia
ed
Eritrea
non
avevano
proprio
bisogno
è
questa
guerra
che
-
si
capiva
sin
dall’inizio
-
avrebbe
solo
peggiorato
le
carenze
che
affliggono
entrambe
le
nazioni,
senza
risolvere
i
problemi
di
confine
che
non
erano
affatto
i
più
drammatici.
Si
potevano
subito
adire
gli
idonei
concessi
internazionali
giungendo
allo
stesso
stadio
al
quale
si
è
ora,
dopo
60
000
morti
e
100
000
feriti.
Nessun
insegnamento
era
stato
trattato
dalla
crisi
del
1996
tra
Eritrea
e
Yemen
per
l’appartenenza
delle
isole
Hanish.
Si
discuterà
a
lungo
sulle
cause
di
questa
guerra
ma
non
credo
si
approderà
a
qualcosa
di
diverso
da
quanto
detto.
Certo,
non
è
facile
per
degli
analisti
di
rango
attribuire
un
valore
anche
alle
casualità.
Nel
Corno
d’Africa,
però,
è
un
fattore
da
tener
presente.
Ora
bisogna
risistemare
circa
15
000
etiopi
espulsi
dell’Eritrea
e
Circa
60
000
eritrei
espulsi
dall’Etiopia.
A
questi
vanno
aggiunti
circa
400
000
persone
del
cosiddetto
esodo
spontaneo
(o
forzato)
dalle
zone
d’operazione.
Capire
la
verità
(che
spesso
sarà
solo
la
“loro”
verità),
trasportarli,
ricostruire
case
e
strutture
varie
sarà
possibile
solo
mediante
una
seria
collaborazione
fra
i
due
governi,
le
agenzie
dell’ONU,
la
Croce
Rossa
Internazionale,
le
organizzazioni
governative
e
non
governative,
le
forze
militari
dell’ONU.
In
particolare,
il
coordinamento
con
queste
ultime
deve
essere
rigoroso
(rispetto
delle
regole,
collaborazione
informativa,
ecc.).
Bisogna
riavviare
due
economie.
I
dati
disponibili
dicono
che:
per
l’Etiopia:
il
birr
è
scivolato
da
6,8
all’inizio
della
guerra
a
8,3
per
1
dollaro;
il
prezzo
dei
generi
alimentari
è
aumentato
dal
19,8%;
gli
introiti
da
esportazione
sono
diminuiti
dal
15%;
per
l’Eritrea:
il
nakfa
è
scivolato
da
7,2
all’inizio
del
conflitto
a
9,5
per
1
dollaro;
lo
sviluppo
economico
si
è
abbassato
dal
7-8%
del
1995
al
4%
del
1999.
Bisogna
smobilitare
circa
433
000
militari;
2/3,
cioè
,
dei
450
000
etiopi
e
dei
200
000
eritrei.
è
chiaro
che
si
potrà
fare
poco
senza
il
forte
sostegno
dei
paesi
donatori
e
delle
istituzioni
finanziarie
internazionali.
Qualche
segno
incoraggiante
c’è:
l’Etiopia
ha
concordato
con
la
Banca
Mondiale,
a
fine
dicembre
2000,
un
prestito
di
400
milioni
di
dollari
(230
per
progetti
di
sviluppo
e
lotta
alla
povertà;
170
per
spese
di
smobilitazione);
L’Eritrea
ha
definito,
dal
luglio
2000
un
programma
di
ricostruzione
per
3000
milioni
di
dollari
che
saranno
forniti
dalla
Banca
mondiale,
dalla
Commissione
europea
e
dall’Italia. |