Kaleidoscope
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"The Band that never quite made it" - parte 3
From Home To Home (LP Vertigo 1970)
"From home to home" è lavoro estremamente pregevole, che non
segna affatto quel taglio netto con il passato che il cambiamento di nome e
di label avrebbero potuto far immaginare; al contrario gli episodi più
riusciti del disco evidenziano una chiara continuità con il suono dei
Kaleidoscope: la spaziosa "Aries" con le sue suggestioni pianistiche
non avrebbe sfigurato su "Faintly Blowing", lo spassoso refrain di
"Soldier of the Flesh" riafferma la mai sopita sensibilità
pop di Pumer, e c'è pure l'ennesimo affresco fantastico di "The
glorious house of Arthur", sulla quale si impone la voce sempre più
consapevole di Daltrey.
Ma è soprattutto la meravigliosa tristezza di "Emily"
a risaltare per fulgida bellezza: archi che costeggiano discreti la melodia,
deliziosi inserti di flauto, un coro che in un avvincente crescendo apre la
strada alla emozionata trasparenza del cantato, e un testo che strappa il cuore
per intensità.
I delicati ghirigori flautistici di Steve Clark ingentiliscono la leggera "Monkey"
e più in generale conferiscono una qualità "pastorale"
a tutto il disco, più melanconico e rilassato di ogni altra prova del
gruppo. I tentativi di escursione in territori "rock" appaiono per
converso incompiuti ("Sunnyside Circus", "In my Box"),
ma sono episodi sporadici di un ottimo album, chiuso in bellezza dalla sognante
ballata antimilitarista "The drummer boy of Shiloh". Ironicamente,
molta della stampa dell'epoca non riconosce i Kaleidoscope, e attribuisce al
nuovo gruppo "profonde radici folk".
L'album riceve tiepidi consensi di pubblico, e per smaltire la notevole quantità
di materiale inciso viene affiancato dal nuovo singolo (in realtà un
EP con quattro brani), "Just Another Day", delicato e crepuscolare,
ma forse eccessivamente debole per la pubblicazione su singolo.
Tutto ciò
avviene poco prima che Symond riuscisse ad assicurare al gruppo non solo la
partecipazione al festival di Wight del 1970, ma anche la realizzazione del
singolo scelto come "tema" della manifestazione. La canzone è
"Let the world wash in", gentile ballata folksie echeggiante di reminescenze
lennoniane, la melodia portata per mano da Pumer con chitarra e sitar verso
un coro scritto apposta per le "masse", ed è attribuita ai
fantomatici "I Luv Wight" (con Daltrey/Pumer nascosti sotto lo pesudonimo
di "Newnes and Baker"): gli autori del brano, che nelle intenzioni
dovrebbe venir suonato continuamente durante i cambi di gruppo del festival,
verranno resi noti solo durante la manifestazione. I Fairfield Parlour eseguono
un gradevole set dei loro brani più arcadici in apertura di festival,
ma per motivi che rimangono ignoti Let the world wash in non verrà mai
trasmessa e l'identità degli "I Luv Wight" mai dischiusa al
pubblico.
Ormai vi sarete fatti un'idea delle incredibili circostanze negative che caratterizzavano ogni nuova uscita del gruppo: tra errate distribuzioni ed accordi saltati, il successo eluse sempre la band con sadica puntualità, in una interminabile serie di occasioni mancate. Ma la beffa più grande doveva ancora arrivare.
Lavorando sul nuovo
materiale, la band decide di legare i numerosi brani composti attraverso un
tema comune: prende corpo l'idea di un concept album, con il filo narrativo
indicato da un racconto di Daltrey. Le canzoni già pronte sono talmente
numerose da richiedere la pubblicazione di un doppio album, e Symond negozia
un accordo in tal senso con Olaf Wyper, responsabile della Vertigo. Le registrazioni
di "White Faced Lady" cominciano a settembre del 1970 e terminano
nell'aprile dell'anno seguente, inframmezzate anche da un concerto alla Royal
Albert Hall con i Pentangle.
Ma al momento di reclamare i termini dell'accordo discografico, il gruppo scopre
che Wyper ha abbandonato la Vertigo per accasarsi alla RCA, da dove li informa
di "non avere il budget" per la pubblicazione di un album doppio.
E' il colpo finale: dopo sporadiche edibizioni live il gruppo si scioglie nel
1972 senza riuscire a vedere pubblicato l'album.
Nel 1976 viene tentata una episodica reunion, con la pubblicazione di un rifacimento
di "Bordeaux Rosé" (decisamente peggiore dell'originale) da
parte della piccola label Prism, allo scopo di richiamare l'attenzione sul gruppo
e tentare la pubblicazione del doppio LP. Inutile dire che nulla si mosse nemmeno
questa volta.
"White Faced
Lady" riceverà giustizia solo nel 1991, ventun anni (!) dopo la
sua registrazione, per merito della UFO records e grazie al rinnovato interesse
che la riscoperta della psichedelia ha creato attorno ai Kaleidoscope , oramai
assurti a gruppo di culto.
White
Faced Lady (CD UFO 1991)
Il disco è accompagnato da un breve racconto di Daltrey, "Angel",
che funge da collante per i vari brani e guida l'ascoltatore attraverso l'ascolto:
vi si racconta l'ascesa e la caduta di una dolce ragazza da stella del cinema
a donna sola e disperata, con qualche tenue richiamo alla storia di Marylin
Monroe. In tutta onestà non si tratta di una grande opera narrativa,
e spesso i collegamenti tra i brani appaiono quantomeno forzati, così
come sono evidentii certi imbarazzi narrativi e lirici ai quali Daltrey è
costretto dalla necessità di far aderire ogni canzone al suo racconto.
Abbozzarne un giudizio
a così grande distanza è difficile, anche perché il disco
non ebbe alcun impatto sul suo tempo, ma musicalmente, "White Faced Lady"
completa la normalizzazione dei Fairfield Parlour già avviata da "From
home to home": lasciate da parte le visionarie imprese che appartenevano
ai Kaleidoscope e definitivamente abbassato il volume degli amplificatori, il
tentativo di omogeneizzare i suoni appare vieppiù evidente: le atmosfere
si fanno più rarefatte e spesso gli accompagnamenti sono solo acustici;
la costruzione delle canzoni è affidata a chitarra e voce, alle quali
si aggiungono gradualmente e con estrema discrezione gli altri strumenti e gli
arrangiamenti orchestrali.
Non tutto funziona come dovrebbe: il gruppo appare troppo impegnato a salvaguardare
questa omogeneità e ciò ovviamente va a discapito dei singoli
brani, che non riescono ad elevarsi da una generale sensazione di appiattimento,
e lo stesso Daltrey pare talvolta in difficoltà nel dare adeguata consistenza
alle sue interpretazioni, preso com'è da esigenze di chiarezza espressiva.
Eppure dal lavoro traspare una notevole serenità, che lascia intendere
come il gruppo sia nella sua età più "matura": questo
è il suono dei Fairfield Parlour, originale ed esclusivo, che ha poco
a che spartire con il "progressive" che la Vertigo si attendeva o
con il folk rock più normalizzato esaltato da tanti critici e propone
invece una sintesi personale di entrambi i generi.
E' difficile
evidenziare le singoli canzoni, ma meritano una menzione l'iniziale "Broken
Mirrors", spaziosa e gentile introduzione alla vita che mescola le
ispirazioni strumentali di Pumer ai delicati inserti vocali, le dolorose "Long
way down" e "The Locket", o l'ispirata "Song
from Jon".
C'è pure l'ormai usuale epica Daltreyana: "The coronation of
the Fledging", anch'essa più misurata dei passati analoghi episodi,
da "The Sky Children" in poi.
E perseverando negli ascolti la visione pop/folk del gruppo penetra sotto pelle,
facendo apprezzare anche episodi a prima vista più scialbi, come la gradevole
"Angel's Song: dear Elvis Presley
", trattata con la consueta
maestria per le "letterine in musica" dalla voce di Daltrey e con
un puntuale arrangiamento orchestrale.
Così anche se il brano centrale del disco, "White Faced Lady"
non riesce a raggiungere le desiderate vette anthemiche, giunge puntuale il
riscatto nella conclusiva "Epitaph: Angel", che armonizza le
gioie ed i dolori sin qui espressi in forma corale ed euritmica, sebbene un
po' pomposa.
Si conclude la
storia dei Kaleidoscope UK. Restano da aggiungere la morte di Steve Clark, avvenuta
nel 1998, e una serie di album solisti di Peter Daltrey (quattro al momento
in cui scriviamo), lavori in gran parte elettronici ed intimisti pubblicati
a partire dal 1993.
Discografia.
Album:
1) Tangerine
Dream (LP Fontana 1967, CD Repertoire 1998 + 6 bonus tracks);
2) Faintly Blowing (LP Fontana 1968)
3) FAIRFIELD PARLOUR: From Home To Home (LP Vertigo 1970, Repertoire
1992 + 4 bonus tracks)
4) FAIRFIELD PARLOUR: White Faced Lady (CD UFO 1991)
5) Dive Into Yesterday (CD Fontana 1997, Antologia)
I due album dei FP sono stati raccolti nel cofanetto CD "Kaleidoscope: The Fairfield Parlour Years" (2000) della NMC/Burning Airlines. La versione di "From home to home" qui inclusa contiene tutti i brani dei singoli dei Fairfield Parlour e degli I Luv Wight (f,g,h,i), oltre al brano "Eye Witness" dalla colonna sonora del film omonimo (1970)
Singoli :
a) Flight From Ashiya / Holiday Maker (Fontana, 1967)
b) A Dream For Julie / Please Excuse My Face (Fontana, 1968)
c) Jenny Artichoke / Just How Much You Are (Fontana, 1968)
d) Do It Again For Jeffrey / Poem (Fontana, 1969)
e) Balloon / If You So Wish (Fontana, 1969)
f) I LUV WIGHT: Let The World Wash In / Medieval Masquerade (Philips, 1970)
g) FAIRFIELD PARLOUR: Bordeaux Rose / Chalk On The Wall (Vertigo, 1970)
h) FAIRFIELD PARLOUR: Just Another Day / Caraminda / I Am All The Animals /
Song For You (Vertigo, 1970)
i) FAIRFIELD PARLOUR: Bordeaux Rose / Baby, Stay for tonight (Prism, 1976)