1956 Armando Testa manifesto per la Facis
[ ... ] Un giorno, mentre ero tutto preso a disegnare dei cartelli per una campagna pubblicitaria dell'olio Sasso, allora la stampa fotografica a colori non esisteva ancora e tutte le illustrazioni dei manifesti o dei pieghevoli venivano fatte a mano, venne a trovarmi un amico, Elio Bravetta: era un uomo colto, un giornalista che aveva visto lontano nello sviluppo della pubblicità e si era trasformato in venditore di spazi antelitteram.
Mi disse: "C'è per te un'occasione insolita, creare un marchio, un cartello per la Facis".
lo tentennavo: "Guarda, in questo periodo ho tanto lavoro, sono piuttosto impegnato, non si può rimandare più avanti?"
"Sei pazzo" mi rispose Bravetta "non sai come può essere importante questo cliente, è un'azienda in pieno sviluppo e poi dal,manifesto può nascere tutta una campagna!"
E inutile dire che mi aveva convinto; lavorando anche di notte, presentai il mio primo cartello/marchio: l'ornino che corre con il vestito sotto il braccio.
Il mio amico aveva avuto ragione ad insistere, non solo perché mi aveva aperto le porte per una lunga e proficua collaborazione con il Gruppo Finanziario Tessile, ma anche per i contatti umani che questo lavoro ha comportato. Ricordo con simpatia Piergiorgio Rivetti, uomo di una capacità comunicativa eccezionale, appassionato di viaggi.
Aveva girato tutto il mondo: sentirlo parlare del Messico, degli Stati Uniti, del Sud America era affascinante.
In questi giorni ho riguardato il mio cartello Facis e devo dire che pensando a cos'è la confezione oggi mi sembrava, nella comunicazione, di tornare alla preistoria o al Basso Medio Evo.
Come ho potuto nella mia vita disegnare un uomo che corre con sotto il braccio un abito tirato come un merluzzo! Forse però sono ingiusto con me stesso perché allora il 93 % degli italiani si serviva del sarto il quale modellava l'abito a misura dell'ampiezza, delle eventuali protuberanze e cavità del corpo del cliente.
Il plus da evidenziare al massimo nel manifesto era dunque l'idea della velocità offerta dalla confezione pronta, oltre alla necessità tutta cartellonistica di risaltare sul muro e di rimanere impressi nella memoria del consumatore.
Occorre dire che l'ornino che corre rimase a lungo parcheggiato nella memoria della gente.
Oggi il rapporto tra chi acquista pronto e chi va dal sarto si è totalmente capovolto: solo un ristretto 5% cerca ancora l'abito su misura.
Non solo: anche pubblicità e mass media sono molto cambiati e nella moda tutto è diverso.
Gli stilisti hanno creato una nuova architettura degli abiti che domina sul corpo di chi li indossa; tutte le sottigliezze, curvature, rilievi, difetti sono spregiudicatamente messi in ombra dalla confezione scolpita in serie.
Nessuno o pochissimi ormai pretendono l'abito che modelli accuratamente il corpo nel bello e nel brutto come le divise degli ufficiali negli anni Cinquanta: paghi di fruire della bellezza formale dell'abito stesso ci avvolgiamo trionfalmente nella sua firma.
È meglio così, liberi dalle preoccupazioni linear-fisiche, si può fare della moda un fatto veramente creativo; oggi l'abito, sovrapponendosi deciso all'anatomia spicciola, può offrire tocchi di novità a questo antichissimo corpo umano così simmetrico ed uguale: sempre due gambe, due braccia, una testa, le orecchie e i seni allo stesso posto.
Tornando ai miei lavori per la Facis devo dire che pur con l'obbligo di presentare quasi al vero i modelli, qualche volta mi concedevo delle libertà espressive.
Alcuni miei cartelli su fondo nero, con il protagonista realizzato a tinte piatte fluorescenti, li guardo ancora con amore perché dopo tanti anni sembrano moderni.
Altre volte il pittoricismo mi prese la mano come in quel manifesto dove c'era un uomo con la giacca mezzo chiara e mezzo scura. Pensavo il pubblico comprendesse che si trattava di una libertà pittorica per descrivere la zona più illuminata e quella più buia del corpo.
Mi sbagliavo, la gente andava nei negozi e chiedeva con sicurezza l'abito Facis bicolore [ ... ]
Armando Testa, Un merluzzo in doppio petto, Archivio Storico GFT, fascicolo n. 2,Torino, ottobre 1989
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