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Scritti

I mei scritti

Cadere o volare?

Quando assale , quando morde, quando ti si attacca alla pelle , questa malinconica goccia invade come un mare di brace il tuo piccolo spazio, lasciandoti lì in un angolo, a pensare che non tutto quello che hai fatto è bene e non tutto il male è cattivo.
A volte sto bene dentro la malinconia, in un volo solitario verso il basso senza fondo, fatto di lame di rasoio, tinto di grigi e nebbie, dove mi piace perdermi, senza paura di non tornare.
Facile lasciarsi andare all’oblio, senza dover rendere più conto a nessuno. Nemmeno un senso di colpa in fin dei conti. E poi, chi se ne frega. Si sta bene nell’oblio. Nessuno che ti cerca, nessuno da salvare, nemmeno se stessi.
C’è pace quaggiù, in questa terra di niente, con i pensieri spenti e le braccia lungo i fianchi.
Chi me lo fa fare di restare in piedi quando i piedi son seduti.
Quando vince questa sensazione, mi accorgo cos’è il nulla. Mi accorgo di cosa sarei io senza uno stimolo.
Perché in fin dei conti rimanere nel nulla è un privilegio. Non c’è niente, né di buono né di cattivo. È un lento lasciarsi cadere dalla più alta delle rupi. E chi se ne frega…se cadi.
Tutto questo è cotone, è un bagno di latte, è un tuffo dentro un cuscino di piume, una carezza che cancella i cattivi pensieri.
Non è facile tornare! C’è da combattere.
E mentre cadi, è difficile imparare a volare!
Non ci sono corsi che ti permettano di riemergere, di tirare fuori la testa mentre rischi di annegare.
Sei tu che, un bel momento, ti convinci che è meglio lottare tutti i giorni perché, nonostante tutto, c’è del buono in questa vita. Solo dopo aver capito questo, impari che il male non è sempre così brutto e che si può imparare anche dal peggio.
Colui che è forte vede il sole nella pioggia!
…ma non è facile!
Meglio cadere o imparare a volare?

L'incedere lieve dell'anima.

Questo incedere lieve dell’anima sopra un mercato di ricordi, dentro un magazzino di idee, gettate per terra come fotografie di una vecchia Polaroid. La pioggia scende e suona un pianoforte di vento, fatto con tasti di pensieri.

Mi sento sospeso in questo deserto d’aria, in un viaggio di follia che scende al terzo piano di un amore.
C’è una fine a questo inizio, che a volte è tiepida e a volte sfugge, lingua dalle tonalità del tempo.
Quest’ultima nota che ha un suono diverso, salta da un muro ad una tenda, scheggia impazzita della bacchetta di un malinconico direttore d’orchestra.
Ondeggio sotto un mare profumato, fra gli occhi di Beethoven e le mani di Mozart.
In questo mercato di strada, dove la gente assaggia il bello della gente, dove queste note dorate le sentono tutti, dove anche il bambino capisce l’infinito, qui, in questo mare, mi siedo e sorrido.
Vedo le persone che passano e scivolano sulla strada che non è più strada, ma un fiume in piena dal sapor dell’aranciata e ridono e ridono e…si danno la mano.
Orchestra, prego, suonate ancora che ho le tasche bucate e devo riempirle d’amore.
Se solo sapessi di questo amore di luna che ogni sera si adagia e si accende. Non posso vedere il tuo mondo con quella luce fioca.
Se piango, è solo perché non vedo!
E mi accorgo che questa pioggia sono le mie lacrime e questo buio è il buio dei miei occhi chiusi.
Voglio annegare anch’io in quel fiume d’aranciata, con la bocca bella larga a catturar le bolle.
C’è un filo appeso al cielo. Mi ci appendo.
Fosse mai che tu che sei il mio angelo avessi una caviglia legata a questo filo.
Mi sveglio. Sei qui, fuori dal sogno, lieve come l’anima sopra un mercato di ricordi.


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