Questo centro che ebbe un ruolo molto importante nella lontana
storia del litorale, non conserva tracce significative del
proprio passato ed affida le sue attrattieve turistiche alla
bella spiaggia di eraclea Mare, attualmente in fase di
pianificazione, al limite meridionale di una pineta che è una
delle più ricche della zona. In epoca antica questa parte del
territori era occupata da paludi e lagune e separata dal mare da
dune costiere. Il maggiore centro della zona era Melidissa, un
toponimo per noi ancora oscuro, che sorgeva probabilmente su di
un'isola e doveva la sua floridezza all'essere il porto naturale
di Oderzo.
La prima ricostruzione di oderzo da parte del re longobardo
Rotari indusse i suoi abitanti, guidati dal vescovo San Magno, a
trasferirsi nella più sicura Melidissa che nel 638 prese il nome
di Eraclea e divenne sede vescovile. Il nome stesso di Eraclea
dichiara i suoi legami col mondo bizantino e le ragioni del
prestigio che il centro godeva nella zona, al punto da essere
prescielto, dopo la vittoria del 690 sui rivali di Iesolo, a
Fiumicello come sede del nascente dogado dei veneti delle lagine,
e il primo doge, Paoluccio Anafesto, si vuole fosse appunto di
Eraclea.
La perdurante rivalità con Jesolo indusse tuttavia gli abitanti
delle lagune a trasferire il loro centro da Eraclea a Malamocco e
quindi rialto, dando così luogo alla nascita di Venezia. Iniziò
un lungo periodo di decadenza, dovuto soprattutto al progressivo
interramento delle lagune. Eraclea non potè sfuggire al
saccheggio dei Franchi e invano il doge Angelo Partecipazio, che
proveniva da Eraclea, cercò di rianimarla costruendovi nel 920
un palazzo per la villeggiotura. Fu forse in quell'occasione che
sorse il nuovo centro di Cittanova la cui vita fu poco dopo messa
a repentaglio dalle ripetute scorrerie degli Ungari e dall'occupazione
di Giovanni II vescovo di Belluno (970-998).
Alla fine del secolo XIV l'abbandono era quasi completo e gli
stessi vescovi, per quanto scelti tra gli ordini monastici per la
maggiore disponibilità al sacrificio, ormai si recavano a
Cittanova solo saltuariamente fino a che nel 1440 papa Eugenio IV
soppresse il vescovado aggregando il territorio alla diocesi di
Grado. Questa poco dopo doveva essere a sua volta incorporata da
papa Nicolò V nella diocesi veneziana di castello la quale
veniva elevata a Patriarcato di Venezia.
La storia di Cittanova, similmente a quella della vicina Jesolo,
divenne allora lea storia delle iniziative prese dai veneziani
per dare uno sbocco non dannoso alle acque del Piave. Si arrivò
nel seicento a recingere con argini una grande zona in cui le
acque del Piave potessero sfogarsi, formando in questo modo il
"Lago del Piave". Una piena del fiume nel 1693
sconvolse presto questo assetto e si lasciò allora che il Piave
defluisse nel nuovo letto che si era aperto da Palazzolo al mare.
Più tardi il nobile Almorò Giustinian Lolin
fece costruire una chiesa, dedicata a S.Maria e
consacratsìa nel 1728, in uno dei punti più elevati della nuova
sponda sinistra del Piave. Fu l'inizio di Grisolera, che doveva
il nome all'abbondante presenza di canne di palude, la "grisiola"
o "grisola", un nuovo centro che era una semplice
frazione della podesteria di Torcello e che diventò comune col
Regno d'Italia del 1806. Regredita nuovamente a frazione dopo il
1815 per l'esiguità della sua popolazione, veniva però poco
dopo ricostituita in comune nel 1818.
Le bonifiche si svilupparono soprattutto dopo l'annessione al
Regno d'Italia, ma la crescita economica venne interrotta, come
nella vicina Jesolo, durante la prima guerra mondiale. Si vuole
che proprio ad Eraclea, allora chiamata Grisolera, sia nata la
canzone, tanto cara ai soldati della prima guerra mondiale, che
comincia con i versi famosi "Di qua di là del
Piave - ci sta un'osteria". Si sarebbe trattato
di due osterie effettivamente esistenti che si fronteggiavano
sulle rive del Piave, ora ricostruite, ma appartenenti alle
stesse famiglie di allora. Si trattava della "Scimmia d'oro",
più nota come osteria dei Boletina, e del'osteria dei Pasini.
Nel 1926 Marco Aurelio Pasti, appartenente
ad una famiglia che ebbe parte determinante nel prosciugamento
del territorio, seminò l'attuale pineta che si stende tra il
Piave ed il Livenza. L'attività turistica della zona iniziò in
questo secondo dopoguerra dopo che, durante l'occupazione tedesca,
il territorio era stato nuovamente allagato.