Storie di amori, emigrazione, ritorni
Dal Venezuela a Cervaro
dopo 40 anni
di Gabriele D'Aguanno
La Guerra è rimasta nella memoria di nonna Iolanda, 73 anni, e di
nonno Ludovico, 77 anni, un ricordo forte e sofferente. Nonna che
all’epoca aveva circa la mia età, mi racconta sempre delle
tribolazioni e degli stenti sofferti. Io rimango un po’ incredulo
davanti alla triste realtà che mi rappresenta. Lei apparteneva a una
famiglia numerosa; sette figli, nati fra il 1924 e il 1938. L’ultima
delle sorelle, Rosa, muore il 26 dicembre del 1943, nei giorni dei
primi bombardamenti. Ha appena 5 anni. La famiglia si trova
all’aperto, sulle colline di uliveti alle spalle di Cervaro.
All’improvviso, degli aerei sganciano delle bombe. Rosa e suo padre,
Giuseppe, per ripararsi, si rifugiano vicino un muro di pietra
costruito a sostegno del terreno. Una bomba esplodendo fa crollare
il muro sul mio bisnonno e su Rosa. Miracolosamente rimane vivo lui,
anche se riporta gravi ferite alla colonna vertebrale; la bambina,
che per la paura si era aggrappata alle sue ginocchia, invece viene
uccisa. Dopo tante sofferenze e quando pensano di essere al sicuro,
anche il primo figlio, Luigi, muore. E’ il 22 ottobre del 1944, ha
solo 19 anni. Due ragazzi giocano con una bomba inesplosa trovata
nei pressi di piazza Casaburi a Cervaro. Luigi che va in paese per
incontrare un amico, si trova a passare, disgraziatamente, vicino a
questi ragazzi; cercano di smontare la bomba. All’improvviso lo
scoppio che uccide i due ragazzi e ferisce gravemente il fratello di
nonna. In condizioni disperate viene portato a casa del suo amico a
Cervaro dove il medico, insieme alla famiglia, cerca di salvarlo.
Purtroppo muore qualche giorno dopo, anche a causa della mancanza di
medicinali e di cure adeguate in un ospedale specializzato.
Sicuramente se fosse stato curato in modo giusto, si sarebbe potuto
salvare, Quando nonna mi racconta questi fatti, ancora oggi, a
distanza di tanti anni, ha la commozione negli occhi. Mi dice sempre
che sua madre non si era più ripresa dal dolore di aver perso due
figli durante la guerra. Inoltre, ogni volta mi raccomanda di non
sprecare le cose ed il cibo. All’inizio sono stati sfollati un
periodo vicino Verona. Quando sono tornati a casa non hanno trovato
quasi più niente, hanno patito la fame. Il mio bisnonno,che nel
frattempo si era ristabilito,andava a potare le viti a Roma, nei
grandi vigneti, per portare a casa i soldi per vivere; sua moglie ed
i figli, anche se piccoli, lavoravano duramente la terra per
coltivare qualcosa per mangiare. Mio nonno Ludovico, che allora era
molto giovane, partecipò alla guerra con l’esercito Italiano allora
alleato di quello tedesco. Quando la Guerra finisce, i giovani
rimasti tornano a casa ma non riescono a trovare lavoro. Nonno, per
aiutare
economicamente la famiglia, parte allora per il Venezuela,
nel 1948 .Vi lavora per molti anni mandando i soldi per sopravvivere
a sua madre e ai suoi fratelli più piccoli. In questo paese i miei
nonni ci sono vissuti per quasi quarant’anni, con la sofferenza di
non avere la famiglia vicino. Anche questa è una conseguenza della
guerra: i giovani non trovano lavoro e sono costretti ad emigrare in
paesi lontani dove all’inizio vengono trattati male e subiscono il
razzismo da parte dei Venezuelani. Devono inoltre affrontare grandi
privazioni per poter vivere e allo stesso tempo mandano soldi alla
famiglia rimasta in Italia. I miei nonni hanno fatto una vita dura,
hanno sofferto molte privazioni durante la guerra e hanno fatto una
vita di duro lavoro dopo. Per me sono un bel esempio da seguire.
L’odissea di Assunta Ruscillo
Da Cassino riparati in un convento di monache in Calabria
di Atanaska Pistrano
Quando inizio a intervistare mia nonna,Assunta Ruscillo, sulla 2°
Guerra mondiale ha ancora gli occhi lucidi per l’angoscia. Non potrà
mai dimenticare tutti quei corpi senza vita a terra, nei campi di
grano di Sant’Angelo in Theodice. Adesso nonna ha 76 anni,
all’inizio della guerra aveva appena 15 anni. In quel tempo aveva
due sorelle e un fratello: Teresa, Lisetta e Mario; negli anni
seguenti avrà altri due fratelli e una sorella: Italo, Armando e
Irma. Da adesso in poi lascio la parola a lei, che racconterà i
terribili episodi che hanno lacerato i cuori di tutti i cassinati.
“Io e la mia famiglia stiamo nascosti in un rifugio sotterraneo,
vicino al fiume Gari. Siamo qui perché i Tedeschi hanno distrutto la
nostra casa in via Folcara e siamo dovuti scappare per paura dei
bombardamenti, e anche per i colpi di mitragliatrici provenienti da
via Antridonati e dintorni degli americani. Nel rifugio si sentono
urla di madri e di bambini, è un vero e proprio incubo, dal quale
alcune persone non sono uscite più. In una casa non molto lontana
dalla nostra sono morti una decina di civili sotto le bombe degli
americani, che attaccavano i tedeschi. Ho timore di anch’io con la
mia famiglia. Dopo pochi mesi emigriamo verso Frosinone, ma dopo
pochi giorni ci prenderanno gli americani e ci porteranno al campo
di sfollamento dei civili a Capua qui gli americani ci disinfettano
e ci fanno risalire sui camion, diretti verso Cosenza, quindi a
Cetraro, dove siamo alloggiati in un convento di monache insieme ad
altri cassinati. Per mantenere la famiglia, mio padre Antonio aiuta
a fare lavori manuali nei giardini e negli orti; mia madre, Maria
Delicato, va in giro a chiedere del cibo; mio fratello Mario, 12
anni, va nella vicina caserma dei Carabinieri a fare dei lavoretti
manuali; in cambio gli danno da mangiare. Io e mia sorella Teresa
lavoriamo in una piccola fornace dove si fanno i canali (ciaramelli)
per 10 lire a testa. Lì siamo rimasti parecchi mesi. Io, mia sorella
e mio padre siamo ritornati nel ‘45 a Cassino per ricostruire la
nostra casa, mentre mia madre, mio fratello e le mie piccole sorelle
sono rimasti a Cetraro. In questo momento mi sento malinconica per i
tanti morti, ma mi sento felice perché sono ritornata a Cassino.
Ormai la guerra è finita e noi siamo salvi, per fortuna. Purtroppo
c’è ancora gente che muore qui, a causa delle mine che sono nei
campi; si cerca di recuperare il raccolto di grano. Muoiono
soprattutto bambini che giocano con le bombe a mano e non sanno che
cosa sono. A 21 anni mia sorella Teresa si sposa con un uomo di
campagna, Giuseppe, che mi fa conoscere il mio futuro marito,
Giovanni, mentre andiamo in chiesa. La madre di Giovanni si era
sposata due volte: il primo marito era morto durante la1°Guerra
mondiale, ed aveva una figlia di nome Lucrezia, con il secondo
marito ebbe un altro figlio di nome Giovanni. Non molti anni dopo ci
siamo sposati, non siamo rimasti a Cassino, per mancanza di lavoro e
siamo andati in Gran Bretagna a Peterborough un paese nel nord di
Londra. Giovanni lavora in ferrovia e io in un ospedale e in una
fabbrica di sottovuoti. Lì nasce un figlio, Luigino. Non sapete che
felicità essere madre. A Peterborough la gente è molto cordiale con
noi, anche perché ci sono molti italiani. Dopo quattro lunghi anni
ritorniamo a Cassino, dove i miei fratelli e i miei genitori ci
accolgono con grande amore.” Il racconto di mia nonna termina qui,
ed io sono venuta a conoscenza di molti episodi: sulla guerra, sullo
sfollamento dei civili dalle zone di guerra, la lenta ricostruzione
e l’emigrazione, le sofferenze ed i sacrifici, che è stata nel campo
di sfollamento a Capua e dell’episodio spiacevole di quella casa non
lontana dalla loro, dove erano morti tanti civili.
Nelle foto: Ludovico Marano a 25 anni; Iolanda Coletta
a 21 anni, Ludovico Marano e sua moglie Iolanda Coletta
oggi; Assunta Ruscillo da giovane
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