Periodo bellico a Mignano Montelungo - Un nostro compagno fa parlare i nonni

Nonno Antonio in campo di prigionia ai lavori forzati

di Antonio Migliozzi

Ho intervistato il mio nonno paterno, Antonio Migliozzi, ottant’uno anni, che durante la guerra partecipò alla Campagna di Grecia, fu preso prigioniero nel 1943 dai nazisti e portato in un campo di prigionia in Germania. Vi trascorse due anni e mezzo e riuscì fortunatamente a tornare al suo paese, Giano Vetusto, nel 1946. Questa è la sua condizione nel campo.

Dopo esser stati catturati, vengono trasportati in un campo di prigionia vicino Merseburg, in Germania.Delimitato dal filo spinato, vigilato giorno e notte da soldati tedeschi con mitragliatrici e faretti. Le baracche di legno dove Antonio e i suoi compagni vivono contengono ognuna una quarantina di persone: con letti a castello, senza luce elettrica e senza riscaldamenti. Le docce si possono fare quando si vuole in stanze con vasche e rubinetti collegati a lunghi tubi di metallo; l’acqua naturalmente fredda. Se qualcuno dimentica i rubinetti aperti si viene considerati dei sabotatori e duramente puniti. Nel campo quasi tutti i soldati sono ex combattenti mutilati o anziani soldati, perché i giovani sono in guerra. Il comandante è un maresciallo con un sottufficiale italiano loro alleato che fa da interprete.Spesso è dalla parte dei nazisti. Al mattino sveglia alle 5.30, appello e partenza per la fabbrica dove bisogna lavorare: la “Ammoniakverk Merseburg”, che produce ammoniaca.Dopo cinque, sei km di marcia nella neve, si arriva allo stabilimento. Il compito è quello di pulire dei blocchi quadrangolari d’ammoniaca in polvere, che vengono poi stipati in magazzini e subiscono altri trattamenti in altri stabilimenti. Antonio e i suoi amici lavorano dodici ore al giorno, dalle 6.30 del mattino alle 18.30 della sera. L’unica precauzione è una maschera antigas obbligatoria che devono portare attaccata alla cintura e indossare solo in caso di rottura dei tubi.In fabbrica vengono distribuiti dei “bollini” che, quando presentati ai soldati, corrispondono ad un mestolo di brodaglie. I pasti sono due: il pranzo, in fabbrica, e la cena, nelle baracche, che bisogna andare a prendere con le gavette in un altro edificio. Il Sabato e la Domenica si pranza soltanto e nelle rarissime occasioni di giornate libere bisogna ripulire la baracca e gli altri edifici del campo. Quando i morsi della fame sono insopportabili, di notte molti prigionieri scavano a mani nude vicino le latrine, dove crescono tuberi di patate per mangiarli.

Nonno Arturo e gli stivali dei soldati tedeschi

Mio nonno materno, Arturo Milone, ricorda molto bene la guerra e il periodo in cui tutto era distrutto e bisognava ricominciare. Oggi ha settant’otto anni, all’epoca ne aveva una ventina e cominciava a seguire il padre, macellaio, alle fiere, imparando ben presto il mestiere. Vive tutt’ora a Mignano Monte Lungo. La guerra distrusse il paese per l’86%; quando tutti vi ritornarono questa era la situazione:

LE ABITAZIONI. Le case del paese erano già state minate e distrutte dai tedeschi durante la guerra.Si sono salvate soltanto quelle periferiche e Delle campagne. Alcuni vivono nelle loro case semidistrutte, altri nelle grotte. Qualcuno costruisce baracche con le scatole di munizioni lasciate dai soldati durante la guerra: vengono riempite di terra, che isola e mantiene caldi, sono sovrapposte per costruire i muri; per fare il tetto si usano le lamiere. Un altro tipo di abitazione sono le baracche di legno fresco, più facile da segare e più leggero. Quelli che prima della guerra vivevano nelle campagne ed erano riusciti a nascondersi ai rastrellamenti tedeschi, stanno ora con le loro famiglie nelle case rurali o nei fienili. LE FESTE PATRONALI. Le feste patronali si continuano a fare, anche se sono un po’ “arrangiate”. Si svolgono le processioni e nella piazza si mettono i venditori con le bancarelle. Ci sono anche le luminarie a gas, perché l’energia elettrica arriverà soltanto molto tempo dopo. I GIOCHI. I ragazzi più piccoli giocano alla trottola o al “Cavaliere” (la Cavallina). Un altro gioco popolare è il “Tiro alla fune”, che molte volte si svolge in piazza. I REPERTI BELLICI. La maggior parte dei ragazzi sa che bombe e proiettili inesplosi sono pericolosi, perciò quando li trova avvisa gli incaricati perché li rimuovano. Ma ci sono anche i più piccoli che ignorano il rischio che corrono giocando con ordigni inesplosi.Sono attratti dal bagliore dell’ottone. Molti saltano in aria o restano mutilati durante i loro incauti “giochi”. I più grandi bucano i proiettili inesplosi e li svuotano oppure usano i bossoli dei cannoni per ricavarne dei rudimentali vasi. Alcuni conservano fucili, pistole ed altre armi che hanno sottratto ai cadaveri dei soldati e li nascondono nei fienili o in buche. LE NOTIZIE. Le notizie si apprendono dalla radio, ma quasi nessuno la possiede. GLI SPOSTAMENTI. Ci si sposta a piedi. I più fortunati possono permettersi gli asini. Per andare a Napoli si può prendere il treno con la locomotiva a vapore; la linea è ad un solo binario. LA SCUOLA. Per i primi anni la scuola si fa all’aperto, senza libri; per i più fortunati con un quaderno. L’ABBIGLIAMENTO. Chi può permettersi di pagare il sarto si fa cucire i vestiti. La stragrande maggioranza delle persone indossa divise da soldato o vecchi abiti laceri. Le scarpe si fanno fare dal calzolaio ma molti sono quelli che camminano scalzi Gli stivali di pelle dei tedeschi, indistruttibili ed impermeabili, li sfilano dai piedi dei cadaveri: impresa assai difficile visto che sono incastrati ai piedi stecchiti. Per rubarli o si tagliano dietro per farli uscire dai piedi del cadavere oppure si lega il corpo del soldato al tronco di un albero e si tirano gli stivali finchè non escono.

Nelle foto: Antonio Migliozzi, oggi, ha 81 anni e vive a Giano Vetusto (CE), Antonio Migliozzi nel 1943, il primo in basso a sinistra, immortalato con altri commilitoni, Arturo Milone, con la moglie, Giovannina Di Iorio, e i loro due figli, Carmine e Angela, negli anni ‘50 78, Arturo Milone oggi, macellaio in pensione.

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