CHI E' HOWARD GARDNER |
Howard
Gardner è docente di Cognitivismo e Pedagogia alla Facoltà di Scienze
dell'Educazione all'Università di Harvard, dove è anche professore associato di
Psicologia. E' inoltre professore associato di Neurologia alla Facoltà di
Medicina all'Università di Boston, nonché co-direttore del Progetto Zero a
Harvard.
Ha ricevuto moltissimi riconoscimenti e moltissime
lauree ad honorem, fra cui quella dell'Università di Tel Aviv in occasione del
cinquantenario dello Stato di Israele. Autore di 18 libri e di parecchie
centinaia di articoli, Gardner è soprattutto noto nel campo dell'educazione per
la sua teoria delle intelligenze multiple, una critica serrata alla tesi che gli
uomini possiedono una sola intelligenza, misurabile con strumenti psicometrici
standard.
Ecco che cosa Gardner ha scritto di sè :
Harvard Graduate School
of Education
201 Larsen Hall
14 Appian Way
Cambridge, MA 02138
Le opere di Howard Gardner
tradotte in italiano sono pubblicate dalla casa editrice Feltrinelli.
Ricordiamo:
Formae mentis. Saggio sulla
pluralità dell'intelligenza (1987)
La nuova scienza della mente.
Storia della rivoluzione cognitiva (1988)
Aprire le menti. La creatività e i dilemmi
dell'educazione (1991)
Educare al comprendere.
Stereotipi infantili e apprendimento scolastico (1993)
Intelligenze creative.
Fisiologia della creatività attraverso le vite di Freud, Einstein, Picasso,
Eliot, Gandhi e Martha Graham (1994)
Personalità egemoni. Anatomia dell'attitudine
al comando (1995)
Sapere per comprendere. Discipline di studio e discipline della mente (1999)
H. Gardner, Formae mentis
Una bambina trascorre un’ora con un esaminatore. Questi la sottopone a varie domande per poter valutare la quantità di informazioni in suo possesso (Chi ha scoperto l’America? Che cosa fa lo stomaco?), la sua ricchezza di vocabolario (Che cosa significa incoerente? Che cosa significa cella campanaria?), le sue capacità aritmetiche (Se una tavoletta di cioccolato costa trecento lire, quanto costeranno otto tavolette?), la sua capacità di ricordare una sequenza di numeri (5, 1, 7, 4, 2, 3, 8), la sua capacità di cogliere la somiglianza fra due elementi (gomito e ginocchio, montagna e lago). L’esaminatore può chiederle anche di eseguire certi altri compiti, come, per esempio: risolvere un labirinto, o disporre una serie di immagini in modo che riferiscano una storia completa. Poco dopo l’esaminatore attribuisce un punteggio a ciascuna singola risposta e perviene infine a ottenere un singolo numero: il quoziente di intelligenza, o QI, della bambina. Questo numero (che spesso viene detto alla bambina) eserciterà probabilmente un effetto apprezzabile sul suo futuro, influendo sul giudizio che i suoi insegnanti si formeranno di lei o sul modo in cui la valuteranno quando si tratterà di assegnare determinati privilegi. L’importanza assegnata a questo numero non è del tutto fuori luogo: dopo tutto, il punteggio assegnato attraverso un test per la valutazione dell'intelligenza predice quale sarà il livello di abilità del soggetto nell’affrontare le materie scolastiche, anche se non ci consente affatto di predire quali risultati il soggetto otterrà invece nella vita.
Questa situazione si ripete migliaia di volte ogni giorno, in tutto il mondo, e di solito si attribuisce molta importanza al singolo punteggio. È ovvio che si usino versioni differenti del test per soggetti di età diversa e in ambienti culturali diversi. A volte il test viene somministrato con carta e matita anziché attraverso una conversazione con un esaminatore. Ma le grandi linee – un numero di domande a cui si può rispondere in un’ora, per ottenere una valutazione esprimibile con un solo numero – rappresentano il modo in cui si misura l’intelligenza in tutto il mondo.
Molti osservatori non vedono affatto di buon occhio questo stato di cose. Nell’intelligenza dev’esserci qualcosa che non si può ridurre a risposte brevi a domande brevi: risposte che consentono tutt’al piú di predire un buon rendimento scolastico; eppure, in assenza di un modo migliore di riflettere sull’intelligenza, e di modi piú attendibili per stimare le capacità di un individuo, questa situazione è destinata a ripetersi universalmente per l’immediato futuro.
Ma che cosa accadrebbe se lasciassimo briglia sciolta alla nostra immaginazione, se considerassimo la gamma piú vasta di prestazioni che vengono di fatto apprezzate in tutto il mondo? Consideriamo per esempio il ragazzo dodicenne delle isole Puluwat, nelle Caroline, che è stato scelto dai suoi anziani per diventare un maestro navigatore. Sotto la tutela di maestri navigatori esperti, egli imparerà a combinare la conoscenza della navigazione, delle stelle e della geografia in modo da sapersi orientare fra centinaia di isole. Consideriamo l’iraniano quindicenne che ha imparato a memoria l’intero Corano ed è pervenuto a padroneggiare la lingua araba. Ora viene inviato in una città santa a studiare per vari anni con un ayatollah, che lo preparerà a diventare un insegnante e capo religioso. Oppure consideriamo la quattordicenne adolescente parigina che ha imparato a programmare un computer e sta cominciando a comporre musica con l’aiuto di un sintetizzatore.
Un istante di riflessione ci rivela che ognuno di questi individui sta conseguendo un alto livello di competenza in un campo difficile e manifesta un comportamento intelligente, qualunque definizione del termine intelligenza si adoperi, purché si tratti di una definizione ragionevole. Dovrebbe essere però altrettanto chiaro che i metodi di valutazione correnti delle capacità intellettive non sono sufficientemente affinati per permettere di valutare i potenziali o le prestazioni di un individuo nella navigazione con le stelle, nella padronanza di una lingua straniera o nel comporre musica con un computer. Il problema qui consiste non tanto nella tecnica di valutazione per mezzo di test quanto nel modo in cui noi pensiamo abitualmente all’intelletto e alle nostre opinioni inveterate sull’intelligenza. Solo se amplieremo e riformuleremo le nostre opinioni su che cosa si intenda per intelletto umano, saremo in grado di escogitare modi piú appropriati per stimarlo e modi piú efficaci per educarlo.
In tutto il mondo, molti studiosi di pedagogia stanno pervenendo a conclusioni simili. C’è molto interesse per nuovi programmi (alcuni dei quali grandiosi) che tentano di sviluppare l’intelligenza umana in funzione di una cultura globale, di addestrare individui in capacità generali come la “conoscenza in vista della previsione”, per aiutarli a realizzare il loro potenziale umano. Esperimenti interessanti, che vanno dal metodo di Suzuki per imparare il violino al metodo LO, per apprendere le nozioni fondamentali della programmazione dei computer, si sforzano di ottenere prestazioni di buon livello da bambini piccoli. Alcuni di questi esperimenti hanno avuto un chiaro successo, mentre altri sono ancora nella fase di studi-pilota. È nondimeno probabilmente giusto dire che i successi, come pure gli insuccessi, si sono verificati in assenza di un adeguato quadro di riferimento sulle intelligenze. Senza dubbio non esiste in alcun caso una concezione delle intelligenze che includa la gamma di abilità che ho appena passato in rassegna. Pervenire a una tale formulazione è l’obiettivo del presente libro.
Nei capitoli seguenti delineerò una nuova teoria delle competenze intellettuali umane. Questa teoria mette in discussione la concezione classica dell’intelligenza che la maggior parte di noi ha assorbito esplicitamente (dalla psicologia o da testi di pedagogia) o implicitamente (vivendo in una cultura con una concezione forte ma forse circoscritta dell’intelligenza). Perché i nuovi caratteri di questa teoria possano essere identificati piú facilmente, in queste pagine introduttive prenderò in considerazione alcuni fatti della concezione tradizionale: da dove sia derivata, perché si sia imposta, quali siano alcuni fra i problemi piú vistosi che rimangono da risolvere. Solo allora passerò a considerare le caratteristiche della teoria revisionista che sto proponendo qui.
Per molto piú di duemila anni, almeno a partire dall’avvento della città-stato greca, un certo insieme di idee ha dominato le discussioni della condizione umana nella nostra civiltà. Questo insieme di idee insiste sull’esistenza e l’importanza di poteri mentali: capacità che sono state variamente chiamate razionalità, intelligenza o manifestazioni della mente. La ricerca senza fine di un’essenza dell’umanità ci ha condotti, con apparente ineluttabilità, a concentrare il nostro interesse sulla ricerca del sapere che è cosí tipica della nostra specie cosicché sono state particolarmente apprezzate le capacità che hanno parte nella conoscenza.
[...]
Oggi possono essere maturi i tempi per una qualche chiarificazione sulla struttura della competenza intellettuale umana. Nella fattispecie, non abbiamo né un singolo progresso scientifico clamoroso né la scoperta di un grave errore di logica ma piuttosto il confluire di una grande quantità di materiali provenienti da una varietà di fonti. Una tale confluenza, che è andata preparandosi con forza sempre maggiore nel corso degli ultimi decenni, sembra essere riconosciuta (almeno in una sorta di visione periferica) da coloro che sono interessati alla cognizione umana. Solo di rado però, se pure è accaduto, le linee di convergenza sono state messe a fuoco direttamente ed esaminate sistematicamente in un’unica sede; e senza dubbio non ne è stato messo a parte il pubblico piú vasto. Un tale confronto e comparazione è il duplice intento di questo libro.
Nei capitoli che seguono sosterrò che esistono prove convincenti a conferma dell’esistenza di varie competenze intellettive umane relativamente autonome, che indicherò in seguito in modo conciso come “intelligenze umane”. Queste sono le forammo mentis del titolo del libro. L’esatta natura ed estensione di ciascuna “forma” intellettiva non è stata finora spiegata in modo soddisfacente, né è stato fissato il numero preciso di intelligenze. Mi sembra però sempre piú difficile contestare la convinzione che esistano almeno alcune intelligenze che queste siano relativamente indipendenti l’una dall’altra e che possano essere plasmate e combinate da individui e culture in una varietà di modi adattivi.
Gli sforzi anteriori (e ce ne sono stati molti) per identificare intelligenze indipendenti sono stati poco persuasivi, soprattutto perché si fondavano solo su approcci parziali. “Menti” o “facoltà” separate sono state supposte esclusivamente sulla base di un’analisi di carattere logico, o della storia delle discipline pedagogiche, o dei risultati dei test d’intelligenza, o delle informazioni fornite dagli studi sul cervello. Questi sforzi solitari hanno fornito molto di rado lo stesso elenco di competenze e hanno quindi fatto sembrare molto meno sostenibile la tesi che esistano intelligenze multiple.
Il mio modo di procedere è del tutto diverso. Formulando la mia tesi a favore delle intelligenze multiple, ho passato in rassegna i materiali forniti da un ampio gruppo di fonti, che nessuno finora aveva mai messo in relazione fra loro: studi di bambini prodigio, di individui dotati, di pazienti con lesioni cerebrali, di idiots savants, di bambini normali, di adulti normali, di esperti in diversi campi e di individui appartenenti a culture diverse. Un elenco preliminare di intelligenze candidate è stato appoggiato (e, a mio giudizio, parzialmente convalidato) da indicazioni convergenti provenienti da tutte queste fonti. Io mi sono convinto dell’esistenza di ogni forma particolare di intelligenza particolare ogni volta che si sia rivelato possibile trovarla in relativo isolamento in popolazioni specifiche (o assente in forma isolata in popolazioni altrimenti normali); che essa sia stata trovata in forma altamente sviluppata in individui specifici o in specifiche culture; e ogni volta che psicometristi, ricercatori sperimentali e/o esperti di particolari discipline riescono a supporre abilità elementari che, in effetti, definiscono una tale intelligenza. L’assenza di alcuni di questi indizi, o della loro totalità, elimina ovviamente un’intelligenza candidata. Nella vita comune, come mostrerò, queste intelligenze cooperano tipicamente in modo armonico, e la loro autonomia può quindi risultare invisibile. Quando però si inforchino occhiali appropriati, la natura peculiare di ogni intelligenza emergerà con sufficiente (e spesso sorprendente) chiarezza.
Il compito principale che mi sono posto in questo libro è quindi quello di addurre tutti gli argomenti possibili a sostegno dell’esistenza di intelligenze multiple (in seguito abbreviate come “I.M.”). A prescindere dal fatto che la mia argomentazione risulti o no persuasiva, avrò almeno raccolto insieme vari filoni di conoscenza che finora erano rimasti relativamente separati. Questo volume si propone però, in aggiunta a questo, una varietà di altri obiettivi, non del tutto sussidiari: alcuni primariamente scientifici altri soltanto pratici.
Innanzitutto, cercherò di estendere l’ambito della psicologia cognitiva e dello sviluppo (le due aree a cui, come ricercatore, mi sento piú vicino). L’estensione a cui miro guarda, in una direzione, verso le radici biologiche ed evolutive della cognizione e, nell’altra, verso variazioni culturali nella competenza cognitiva. A mio avviso, le visite al “laboratorio” dello scienziato del cervello e al “campo” di una cultura esotica dovrebbero diventare parte integrante della formazione di individui interessati alla cognizione e allo sviluppo.
In secondo luogo, desidero esaminare le implicazioni pedagogiche di una teoria delle intelligenze multiple. A mio giudizio, dovrebbe essere possibile identificare il profilo intellettivo di un individuo (o le sue propensioni) già in età molto precoce e poi attingere a questa conoscenza per migliorare le opportunità e le scelte pedagogiche di questa persona. Si potrebbero in questo modo avviare gli individui dotati di talenti insoliti a programmi speciali, cosí come si potrebbero persino escogitare protesi e speciali programmi di arricchimento per individui che presentassero un profilo di competenze intellettuali atipico o disfunzionale.
In terzo luogo, spero che questa ricerca possa ispirare antropologi interessati a problemi pedagogici a sviluppare un modello di come certe competenze intellettuali possano essere promosse in vari ambienti culturali. Solo attraverso sforzi del genere sarà possibile determinare se le teorie dell’apprendimento e dell’insegnamento attraversino con facilità i confini nazionali o se debbano essere riformulate di continuo alla luce delle particolarità di ciascuna cultura.
Infine – e questa è la sfida piú importante ma anche la piú difficile – spero che il punto di vista che io esprimo qui possa rivelarsi genuinamente utile ai pedagogisti e agli educatori, preposti allo “sviluppo di altri individui”. I problemi dell’addestramento e del miglioramento dell’intelletto sono certamente “nell’aria” su scala internazionale il World Development Report della Banca Mondiale, il saggio del Club di Roma sull’apprendimento in vista del futuro e il progetto venezuelano sull’intelligenza umana sono solo tre esempi recenti ben noti.
Troppo spesso le persone impegnate in sforzi di questo genere hanno abbracciato teorie erronee dell’intelligenza o della cognizione e hanno poi sostenuto programmi che hanno dato ben pochi risultati o si sono rivelati addirittura controproducenti. Per aiutare queste persone, ho sviluppato un sistema di riferimento che costruendo sulla teoria delle intelligenze multiple, possa essere applicato a qualsiasi situazione educativa. Se il sistema di riferimento esposto in questo libro sarà adottato, esso potrebbe almeno scoraggiare gli interventi che sembrano condannati al fallimento e incoraggiare invece quelli che hanno concrete possibilità di successo.
Io considero lo sforzo affrontato in questo libro un contributo alla scienza emergente della cognizione. In una misura considerevole, sto compendiando i risultati delle ricerche di altri studiosi, ma, in una certa misura (e intendo chiarire dove) sto proponendo un orientamento nuovo. Una parte delle mie tesi sono controverse, e io mi attendo che gli esperti nella scienza cognitiva abbiano infine anche loro qualcosa da dire.
La parte seconda, il “cuore” del libro, è costituita dalla descrizione di varie competenze intellettuali della cui esistenza mi sento ragionevolmente certo. Ma, come si conviene a un potenziale contributo alla scienza, passerò prima in rassegna (nel cap. 2) gli sforzi compiuti da altri autori per caratterizzare profili intellettuali, e poi, dopo avere esposto le prove a sostegno della mia teoria, sottoporrò (nel cap. 11 ) tale punto di vista a possibili critiche. Nell’ambito del mio intento di ampliare lo studio della cognizione, in tutta la parte seconda adotterò una prospettiva biologica e interculturale e dedicherò inoltre un capitolo a sé alle basi biologiche della cognizione (cap. 3 ) e alle variazioni culturali nell’educazione (cap. 13). Infine, data l’agenda “applicata” che ho appena abbozzato, nei capitoli conclusivi del libro affronterò piú direttamente questioni concernenti l’educazione e la sua organizzazione.
Una parola, per finire, sul titolo di questo capitolo. Come ho indicato, l’idea di intelligenze multiple è una vecchia idea e io non posso certo rivendicare una grande originalità per aver tentato di richiamarla in vita ancora una volta. Usando la parola idea intendo in ogni caso sottolineare che la nozione di intelligenze multiple non è certo un fatto scientificamente dimostrato: essa è, al piú, un’idea che ha recuperato recentemente il diritto di essere discussa seriamente. Tenuto conto dell’ambizione e dell’ampiezza di questo libro, è inevitabile che quest’idea presenti molte manchevolezze. Quel che spero di riuscire a dimostrare è che quella delle “intelligenze multiple” è un’idea ormai matura.
R. Fornaca-R. S. Di Pol, Dalla certezza alla complessità. La pedagogia scientifica del Novecento, Principato, Milano, 1993, pagg. 442-448
OTTO INTELLIGENZE E MEZZA
Fiorenzo Alfieri
a colloquio con Howard Gardner
indietro
Prof. Gardner lei nei suoi ultimi lavori ha dimostrato interesse per l'educazione come dimensione fondamentale umana. Quali sono state a suo parere le costanti dell'educazione attraverso i secoli?
R. Per molti anni, nelle nostre scuote in particolare, l'educazione è stata caratterizzata da quattro elementi costanti. Il primo è l'insegnamento della scrittura e dei numeri, quindi l'alfabetizzazione. Il secondo è lo studio di una serie di discipline che si è andata modificando nel tempo. Il terzo è l'aiuto che si dà ai singoli per permettere loro di svolgere il ruolo richiesto dalla società e quindi l'istruzione in funzione della professione Il quarto riguarda la trasmissione dei valori. Nessuna società può sopravvivere se i suoi valori fondanti non vengono trasmessi ai giovani.
D. In genere il riferimento ai valori assume contorni vaghi e fuggenti. Lei cosa intende per valori?
R. Credo che I' istruzione e l'educazione dovrebbero concentrarsi su tre elementi: che cosa è il vero, che cosa è il bello, che cosa è il bene.
Parlando della verità e della falsità intendo riferirmi a ciò che la società accetta o rifiuta. La maggior parte della cosiddetta verità è oggi determinata dalla scienza, ma non bisogna dimenticare la saggezza popolare. Ogni società ha inoltre i propri criteri di bellezza e bruttezza, così come è presente in ogni società il senso di quello che è bene e di quello che è male.
Un esempio di verità riconosciuta è la teoria dell'evoluzione di Darwin. Non è l'ultima possibile verità, ma certamente ci fa capire da dove veniamo noi esseri umani. Un esempio di bellezza è la musica di Mozart. Per quanto riguarda il bene e il male io credo che l'esempio più calzante sia l'Olocausto: esso ci dimostra il male di cui gli esseri umani siano capaci.
Al termine del percorso educativo bisogna arrivare ad avere un'idea di ciò che per la nostra società sono il vero, il bello, il bene (e i loro contrari ovviamente).
L'effetto scuola
D. Da lei gli educatori italiani si aspettano indicazioni su quelle che potremmo chiamare le "circostanze del capire". Quali sono le sue più recenti riflessioni al proposito?
R. Quando si parla di comprensione ci si riferisce normalmente ad un evento che parte dall'orecchio e arriva al cervello. Io vorrei suggerire un nuovo modo di considerare il problema. La compre4nsione è una performance pubblica è qualcosa che noi facciamo utilizzando le nostre capacità e la nostra conoscenza pregressa, quando ci troviamo di fronte ad una situazione nuova. Per me la comprensione è l'uso appropriato di qualcosa che si è già appreso, nel momento in cui si deve affrontare ciò che non si è mai visto o incontrato prima.
Finché la situazione ci è familiare, basta utilizzare la memoria; ma quando ci troviamo di fronte all'ignoto allora bisogna mobilitare la conoscenza che già si ha, lanciarla in campo, metterla alla prova. La nuova scienza cognitiva ha dimostrato che anche gli studenti delle nostre migliori scuole non comprendono granché. Magari danno la risposta giusta ad un test perché l'hanno memorizzata; ma si propone loro una situazione nuova, in cui devono applicare le conoscenze acquisite, normalmente falliscono. I migliori studenti di fisica, ad esempio, se devono spiegare come agiscono le forze quando si fa saltare una monetina danno più o meno la stessa risposta che darebbe un bambino di cinque anni. Tutta la loro istruzione non serve quasi a nulla
Molto presto nella loro vita i bambini sviluppano idee sul mondo: idee giuste o sbagliate. Poi vanno a scuola e lì su quelle idee si accumulano qualità enormi di informazioni che, come dei macigni le coprono e le schiacciano. Quando la scuola finisce, le montagne di informazioni scompaiono e si scopre che la comprensione non ne è stata influenzata per niente. Possiamo dire che finito l'effeto-scuola ognuno di noi si ritrova ad essere il bambino di cinque anni che era; un bambino non scolarizzato che si costruisce spontaneamente idee sul mondo che possono essere giuste o sbagliate
D. Non le sembra di esagerare?
R. No, assolutamente. Dite a una persona: hai un oggetto pesante in una nano e un oggetto leggero in un'altra. Se li fai cadere nello stesso momento quale di questi due oggetti cade per primo a terra? Galileo è salito sulla Torre di Pisa per fare questo esperimento e ci ha dimostrato che gli oggetti accelerano allo stesso modo indipendentemente dal peso, e quindi colpiscono il terreno nello stesso istante. Grazie a Newton abbiamo scoperto tante cose sul movimento e perché l'accelerazione si comporla in questo modo. La nostra intuizione però ci dice che l'oggetto pesante cade prima La cosa stupefacente è che quasi tutti gli studenti di fisica, presi a bruciapelo, vi danno la risposta intuitiva esattamente come i bambini di cinque anni Quando gli esseri umani sono piccoli sviluppano senza l'aiuto di nessuno, teorie intuitive basate sul buon senso. Un esempio di teoria della materia: gli oggetti pesanti cadono più rapidamente degli oggetti più leggeri. La teoria della vita: se una cosa si muove è viva se non si nuove è morta. Una teoria della mente: se tu sei come me anche la tua mente è come la mia, quindi vai bene: ma se sei diverso anche la tua mente è diversa e quindi non vai bene, sei cattivo. Queste sono teorie che gli individui sviluppano molto presto nella vita, sono molto potenti molto ben radicate nel cervello e di conseguenza nella mente. Però non sono vere. La scuola dovrebbe fare qualcosa per cambiare ma non lo fa. Come ho già detto, copre tutto con mucchi di informazioni e quando l'adulto lascia la scuola riprende a pensare come quando era bambino. Anzi sarebbe meglio dire che l'individuo ha sempre continuato a pensare allo stesso modo malgrado ciò che gli è stato insegnato a scuola. La scuola si è collocata su un binario parallelo e non ha avuto alcuna influenza sulla capacità di capire dell'individuo
Nel mio libro che in italiano è stato intitolato "Educare al comprendere" ho dimostrato i modi di ragionare degli adulti nei differenti settori: le scienze, la matematica la storia, le arti, la letteratura Anziché proporre una comprensione sofisticata dei fatti di realtà, gli adulti continuano a pensare più o meno come quando erano bambini. Facciamo l'esempio della teoria dell'evoluzione. Essa afferma che gli animali (compresi gli umani) e le piante cambiano a causa delle mutazioni e soltanto quelli che riescono a sopravvivere in una determinata nicchia si riprodurranno. Ebbene persone che hanno studiato per due anni la teoria dell' evoluzione pensano ancora ad un processo di perfezionamento guidato da una mano invisibile, che ha raggiunto il suo massimo con gli esseri umani. Anche se i biologi ci dicono che i parassiti possono sopravvivere più a lungo degli umani che i virus riescono a riprodursi infinitamente meglio di noi, il nostro pensiero intuitivo è che noi siamo i migliori e che le scimmie stanno al secondo posto.
A questo proposito però bisognerebbe anche parlare di intelligenza.
Le intelligenze multiple
1). Di intelligenza o di intelligenze?
R. Appunto: questo è il problema. A causa del tipo di società in cui viviamo e a causa delle idee che stanno alla base di questa società molti sono indotti a pensare che ognuno di noi possegga una certa quantità e un certo tipo di intelligenza, con i quali viene al mondo e che non possono cambiare. Gli psicologi possono dirci quanto siamo in gamba e questo è il nostro QI. E' interessante notare che questa idea di intelligenza non esiste in altre società, è tipicamente occidentale.
Buona parte del mio lavoro è proprio mirata a sfidare questo tipo di opinione. Ho dovuto eliminare tra i miei strumenti di ricerca innanzitutto i test, non perché siano del tutto inutili ma perché inducono inevitabilmente a considerare la capacità delle persone dal punto di vista linguistico o da quello logico. Il mio approccio all'intelligenza è completamente diverso, perché si basa sullo studio del cervello e del sistema nervoso e in particolare dell'evoluzione del cervello attraverso molte decine di migliaia di anni. Le mie convinzioni sull'intelligenza derivano dai confronto tra culture diverse e dal confronto tra soggetti diversi all'interno di una stessa coltura. Nel mio libro "Formae mentis" dicevo che ogni persona dispone di una serie di intelligenze molto diverse tra loro e che in ciascuno di noi una forma di intelligenza finisce per prevalere su tutte le altre. Allora parlavo di sette intelligenze (linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, fisico-cinestetica, intersociale e intrasociale.
Adesso sono sicuro che sono otto, forse otto e mezza. Infatti c'è senza dubbio un'intelligenza naturalistica, che implica il saper distinguere gli esseri viventi fra tutti gli altri oggetti. E sono fortemente tentato di pensare che esista anche un'intelligenza esistenziale che implica la capacità di riflettere, di pensare a che cosa siamo, da dove veniamo, dove andremo dopo la morte, che cosa è l'amore che lega le persone tra di loro.
Non ha alcun senso definire intelligenti solamente le persone che sono brave nel settore linguistico o nel settore logico-matematico. Non c'è alcun motivo intrinseco per considerare un'intelligenza più importante di un'altra. Sembra un fatto banale e invece è di cruciale importanza Sentiamo continuamente definire intelligente una persona solo perché, poniamo, scrive bene su un giornale. In qualche caso la si manda addirittura in Parlamento e si ha poi la sgradita sorpresa di scoprire che di politica non capisce nulla Se fossimo stati capaci di ragionare in termini di intelligenza multiple avremmo potuto dire con tutta tranquillità che quella persona ha una spiccata intelligenza linguistica e una scarsissima intelligenza intrasociale. Avremmo in questo modo evitato lo spreco di un seggio in Parlamento. Non mi pare, davvero, cosa da poco.
D. C'è chi dice che la teoria delle intelligenze multiple ha poco fondamento scientifico.
R. Partiamo dalla teoria dell'evoluzione. Noi in quanto specie ci siamo evoluti sino ad avere Otto, otto e mezza intelligenze. Invece di definire gli esseri umani come esseri razionali potremmo benissimo considerarli animali dotati di otto intelligenze e mezza. Se è vero che la ragione, l'intelligenza è una caratteristica della specie umana è altrettanto vero che vi sono grandi variazioni intellettuali tra un essere e l'altro. Mi pare molto aderente alla realtà dire che tutti siamo dotati di otto intelligenze e mezza e che però non tutti hanno le loro intelligenze nella stessa combinazione. Non troverete mai due persone, neanche due gemelli che abbiano intelligenze identiche. È talmente evidente la diversità esistente tra di noi che è difficile capire per quale motivo la psicologia non abbia prima d'ora, elaborato modelli interpretativi di tale diversità. Il passaggio dalla scienza cognitiva all'educazione, da questo punto di vista, è estremamente naturale. Quale teoria della mente hanno gli educatori? Come si rappresentano quelle intelligenze che per professione dovrebbero aiutare a crescere? Se consideriamo l'educazione da un punto di vista storico vediamo che la scuola per tanto tempo ha cercato di uniformare i suoi utenti, di farli parlare allo stesso modo delle stesse cose, di valutarli con gli stessi parametri. Ma questo avrebbe avuto senso se tutti avessero la mente conformata allo stesso modo. Oggi appare chiaro che la scuola deve rivolgersi agli individui, deve prendere seriamente in considerazione le differenze tra i bambini, cercando di insegnare ad ognuno di loro ciò che può essere capito nel modo migliore. lo non sono un fanatico delle tecnologie. Dal punto di vista che stiamo esaminando è indubbio però che esse potrebbero aiutarci nel mettere a disposizione di un gruppo di bambini modi diversi per imparare a capire.
Il problema della comprensione
D. Fatta questa disgressione sulla intelligenza, anzi sulle intelligenze, possiamo ritornare al problema del capire?
R. Ribadisco che l'obiettivo principale che dobbiamo raggiungere è aiutare gli individui a capire che cosa è vero, che cosa è bello, che cosa è buono. Tutti studiano la fisica nucleare, i dipinti di Raffaello, le opere di Shakespeare, il fascismo. Se si vuole che le persone oltre a studiare capiscano cose di questo genere, c'è una sola cosa che dobbiamo fare. Una cosa molto difficile da accettare perché implica un cambiamento radicale dei modo di gestire le scuole. Deve essere abbandonata l'abitudine di coprire le conoscenze spontanee, implicite, autentiche (anche se sbagliate; dobbiamo smetterla di voler andare avanti comunque. Se vogliamo toccare tutti gli argomenti, imparare ogni tipo di regola geometrica, studiare tutte le teorie scientifiche, cercare di diventare tutti dei grandi artisti, ricostruire tutti i possibili eventi storici, dobbiamo sapere che la comprensione sarà impossibile. Qualche nostro allievo potrà vincere un quiz alla TV, ma la sua comprensione dei fatti non sarà molto diversa da quella di un bambino di cinque anni. Primo Levi ci ha fatto capire che cosa è stato l'Olocausto, ci ha insegnato cose sugli esseri umani che noi non conoscevamo, ci ha insegnato quanto cattivo può essere l'uomo, quanto crudele. E ci ha anche insegnato la bontà impressionante di certi esseri umani. Allora capire l'Olocausto si può, ma a certe condizioni. Primo Levi ci può aiutare.
Se vogliamo che le persone capiscano veramente, dobbiamo trovare la forza per spenderci, per passare con loro tutto il tempo che è necessario, per utilizzare le intelligenze multiple. Qualunque argomento al quale siamo disposti a dedicare del tempo può essere avvicinato in almeno sei modi diversi. Il primo approccio, a mio parere, è quello narrativo: le persone vengono agganciate facilmente mediante le storie, i racconti. Un secondo punto di vista è quello quantitativo: si ha bisogno di parlare di numeri, di frequenze, di medie statistiche. Un terzo angolo visuale è quello delle collocazioni e delle scansioni temporali. Un quarto pulito di vista è quello esistenziale che attiene al perché gli uomini fanno certe cose, agli scopi che si propongono. Un quinto punto di vista è quello artistico che porta a considerate le rappresentazioni creative che hanno riguardato nel tempo quell'argomento. Il sesto punto di vista lo potremmo definire cooperativo: riguarda l'importanza che riveste l'occuparsi in gruppo di un certo argomento, l'interagire con gli altri, l'ottimizzare il contributo di tutti.
Forse non è necessario che ogni argomento sia visto da questi sei diversi punti di vista: è però importante che vengano usati più modi di guardare uno stesso fatto di realtà. Ciò che importa è "scoprire anziché coprire ". Allora succederanno due cose stupende. La prima è che permetteremo a ciascun bambino di utilizzare l'approccio più adatto alla sua propria intelligenza. La seconda è che daremo a tutti la sensazione di aver capito, di avere conquistato confidenza con l'argomento, di poterlo gestire senza paura in ogni momento e in ogni evenienza.