legalità ed identità"Guarda chi si rivede. Il mare" porta scritto una bella cartolina illustrata che il Comune di Palermo ha fatto recapitare nelle cassette delle lettere di tutta la città. E i palermitani volentieri danno il benvenuto alla riapertura del Foro italico, come accolgono con gioia il prato di piazza Magione, il rifacimento del sagrato della Cattedrale, le luci a fibre ottiche di piazza Castelnuovo, la pulitura dei monumenti, le artistiche illuminazioni della via Libertà e quanto si è frettolosamente imbandito in occasione del vertice ONU. Si sono sentiti gratificati per essere stati il punto di incontro delle idee e delle decisioni che gli Stati rappresentati hanno espresso sulla mafia e sui mezzi per combatterla. Si sono anzi compiaciuti di avere rappresentato ancora una volta, dopo la Conferenza internazionale sulla legalità del Giugno ’99, la svolta significativa, l’inversione radicale di tendenza: da Palermo parte una posizione netta di contrasto e di lotta alla criminalità organizzata. "Palermo centro di legalità" è stato scritto e ripetuto più volte. E ci fa senza dubbio piacere che un’occasione come questa dia la possibilità di recupero di parte dei nostri beni artistici e naturali. Preferiremmo, però, che le cose siano fatte per le città e soprattutto per i cittadini. Passeggiando a piedi per il Foro italico lungo quel pezzo di terra faticosamente riguadagnato alla cittadinanza dopo più di mezzo secolo di letargo e di degrado, si sentono i commenti favorevoli dei cittadini pronti anche a dare consigli sul più corretto impiego di quell’ampio spazio ed anch’essi sembrano essersi svegliati. Il recupero, la cura, il restauro di qualcosa che appartiene a tutti, portano infatti al coinvolgimento, alla collaborazione, alla difesa del bene riconquistato. Attingendo alle tradizioni, rivisitando la storia, si viene gradualmente condotti a conoscere se stessi ed a riappropriarsi della propria identità culturale. Ma il primo modo, il più diretto ed il più naturale, per un popolo, di recuperare la propria fisionomia culturale è quello di approfondire la conoscenza della lingua locale, del dialetto che costituisce quasi l’impronta digitale del popolo stesso, perché unico e diverso da tutti perché formatosi alla fucina delle vicende umane e delle esperienze storiche vissute. Lo studio del dialetto, beninteso, va considerato come conoscenza e ricerca della lingua e della letteratura del popolo siciliano. Così propone la circolare dell’ex assessore regionale alla P.I. prof. Morinello, che recuperando i contenuti della legge regionale 85/86 è riuscito a destinare dei finanziamenti quanto meno per promuovere nelle scuole siciliane corsi di studio del dialetto per gli alunni. E sappiamo che entro il 30 Novembre u.s. circa il settanta per cento delle scuole dell’isola ha presentato progetti sul tema: risposta significativa ed indicativa di un’esigenza o, forse, di una scoperta. Sarebbe opportuno, naturalmente che si istituissero anche i corsi di formazione per i docenti di lettere, la maggioranza dei quali, sicuramente non ha avuto l’opportunità di perseguire studi di filologia siciliana. E non è strano che in un’epoca di standardizzazione e di forte assimilazione di costumi, modi di vivere e di linguaggio, si voglia rivalutare qualcosa di caratteristico, di assolutamente particolare e decisamente ‘delimitato’ culturalmente come il dialetto. Ma anche questo è un modo per risalire alle nostre radici e confermare la nostra identità, evitando per quanto possibile che i nostri giovani finiscano per comunicare esclusivamente attraverso il computer, o peggio, trasmettendo i barbarici messaggi siglati dei cellulari, dimenticando anche quel poco di lingua italiana già imbastardita dalla trascuratezza grammaticale, dalla superficialità e dall’approssimazione formale, dalla povertà lessicale e dalle ‘licenze linguistiche’ quotidianamente proposte ed accettate non si sa in base a quale benevola ed ingiustificata tolleranza. La lingua è mezzo di comunicazione, non solo, ma è espressione culturale, come si è detto, e non può essere globalizzata o massificata. È giunto il tempo che, come siciliani riconquistiamo il nostro ruolo di cultura nel cuore di quel mare per tanto tempo ignorato, con la piena consapevolezza della nostra storia e della nostra lingua: per sapere chi siamo. Anna Maria Ajovalasit (Pubblicato sul n°3 Anno 17 Settembre - Dicembre 2000)
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