Last Minute Market o del recupero del cibo

 


Della Robbia - Pistoia "dare pane a chi ha fame"

Cibi sprecati: dal rifiuto una risorsa


Anche lo spreco alimentare genera una filiera, parallela a quella produttiva ma in senso contrario. Si spreca all'origine nei campi agricoli poi nelle cooperative e nelle industrie di trasformazione, nelle imprese di distribuzione, nelle case dei consumatori. E così rinunciamo al 26% del pesce, al 36 dei cereali, al 41 della frutta e della carne, al 48 delle verdure. Buttiamo ogni anno 3,7 miliardi di euro, il valore di una media manovra economica, lo 0,3 per cento del Prodotto interno lordo. Non siamo i soli: secondo la Fao, la produzione agricola mondiale potrebbe nutrire 12 miliardi di persone. Ma questa è una magra consolazione.

L'analisi delle cause
Il Libro nero sullo spreco agroalimentare in Italia oltre a denunciare il volume degli sprechi, gli esperti ne analizzano le cause, individuano gli anelli della catena in cui avviene la «dispersione», provano a proporre soluzioni. Teoricamente, ogni italiano dispone ogni giorno di 3.700 chilocalorie di cibo: una volta e mezza il suo fabbisogno energetico. In realtà, «l'eccesso di calorie a disposizione degli italiani non sempre, anzi quasi mai, viene consumato» (se così fosse, l'intera popolazione soffrirebbe di obesità, mentre «solo» il 67% degli uomini, il 55 delle donne e il 33 dei bambini è in sovrappeso). In gran parte, dunque, l'eccesso di calorie a disposizione «viene perso lungo tutta la filiera. Ogni giorno, una certa quantità di cibo, pur essendo perfettamente consumabile, viene gestita come rifiuto». Un paradosso con conseguenze pesanti sotto diversi punti di vista: alimentare, ambientale, sociale, economico.

Il primo anello della catena è lo spreco nei campi. L'anno scorso, secondo i dati Istat, 17,7 milioni di tonnellate della produzione agricola è rimasta sui campi. Si tratta del 3,3 per cento. I picchi riguardano gli ortaggi (12,5), legumi e patate (5,2). I motivi? «Si va da ragioni meramente estetiche a quelle commerciali (prodotti fuori pezzatura) o di mercato (costi di raccolta superiori al prezzo di mercato)». «La quantità di ortofrutta sprecata nel 2009 avrebbe potuto soddisfare le esigenze di una seconda Italia, o di una Spagna».

Il secondo anello è lo spreco nelle cooperative o organizzazioni di produttori. In un anno 73 mila tonnellate di prodotti vengono ritirati dal mercato per evitare il crollo del prezzo (tra le destinazioni, il compostaggio e la distillazione). Di questi, solo il 4 per cento non viene sprecato. Con un ulteriore paradosso. L'Ue finanzia l'acquisto e la distruzione di questi prodotti. Un controsenso, uno spreco nello spreco. Contemporaneamente si finanziano gli agricoltori per rimanere in campagna per produrre e la distruzione di parte di quei prodotti.

Anche l'industria alimentare non è scevra dagli sprechi. Un'indagine a campione stima la dispersione in 2 milioni di tonnellate di prodotti, il 2,2 per cento. In gran parte, diventano rifiuti (un costo aggiuntivo). Quanto ai mercati all'ingrosso e alla distribuzione organizzata, la quota di spreco è stimata intorno all'1 per cento. Anche in questo caso, per motivi di mercato.

La situazione è ancora peggiore passando all'ultimo anello: noi consumatori. Nelle mense scolastiche lo spreco raggiunge il 13-16 per cento, nelle famiglie il 17 sull'ortofrutta e il 39 su latte, uova, carne, formaggi. Le cause sono le stesse: eccessi di acquisti e danneggiamento/deterioramento del prodotto per eccesso di giacenza in dispensa.

A livello nazionale sono sorte molte iniziative per il recupero dell'invenduto nelle industri alimentari e nei centri commerciali per recuperare l'invenduto in scadenza (ma non ancora scaduto) per darlo, attraverso le associazioni di volontariato, a chi fatica, anche nella nostra società opulenta, a mettere insieme il pranzo con la cena. Il "Last Minute Market" costituisce l'esperienza più organica di questa filiera "positiva": nata a Bologna si sta diffondendo in molte realtà territoriali in Italia. Anche nel Veneto molti comuni stanno avviando dei percorsi e una piccola esperienza sta partendo anche a Montebelluna.

"...Una società che disprezza i frutti della terra, che ha rotto il progetto della cura, che ha cancellato la gratitudine dai suoi sentimenti, che società può essere? Si possono distruggere montagne di cibo e poi avere dei bravi figli, dei cittadini rispettosi, degli adulti responsabili e compassionevoli? Davvero la nostra vita, come ci vuol far credere la post modernità, è fatta di compartimenti stagni, privi di relazione gli uni con gli altri, oppure ciò che sottende alla vita dell'uomo è il concetto di unità?
...Le montagne di cibo distrutto ogni giorno e i ragazzi che si ubriacano fino a svenire sono due lati della stessa medaglia. Il mito dell'Homo Economicus fa il resto. La vita è ragioneria: tutto quello che non rende va eliminato. O consumi o vieni consumato. Una società che risparmia sulla scuola, che si accanisce contro i più deboli, è una società che ha introdotto dentro di sé il seme della barbarie.
...L'uomo ha bisogno di essere riportato al centro della sua complessità che idealmente si manifesta nel cuore. Quel cuore che soffre l'umiliazione dello spreco è lo stesso cuore capace di provare amicizia e compassione, capace di dono e di attenzione, capace di riconoscere la bellezza e di emozionarsi per la sua gratuità. Gratuità! Non si vende, non si compra: non sarà forse questo l'orizzonte verso cui camminare per ritrovare un senso?"

da "Le tonnellate di cibo sprecato e l'ingratitudine verso la Terra. Nel disprezzo per i frutti del pianeta c'è il seme della barbarie" di Susanna Tamaro- corriere della Sera del 2/11/2010