Il consumo
Il consumo sembra oggi l'unica cosa che ci garantisce
un'identità, un senso di libertà, uno stato sociale. Un
ben-essere ma senza essere, tutto teso sull'avere. Se
il fine ultimo è la produzione è ovvio che bisogna consumare
e assistiamo oggi che sì la produzione di merci soddisfa i
bisogni, ma anche che bisogna produrre bisogni per garantire
la produzione di cose. La pubblicità sempre più invadente ha
dunque questo scopo, convincerti che hai bisogno, che "devi"
aver bisogno di qualcosa di nuovo, per sentirti vivo. E la
moda non è che una strategia per opporsi alla resistenza dei
prodotti per rendere ciò che è materialmente utilizzabile in
socialmente inadeguato e quindi da eliminare.
Le cose quindi assumono un valore sempre più evanescente. Ma
questo meccanismo dalle "cose" si estende anche alle
persone, all'altro. Gunther Anders scrive "L'umanità che
tratta il mondo come un mondo da buttar via, tratta anche se
stessa come un'umanità da buttar via". dalle cose alle
persone, tutto è intercambiabile, l'usa e getta vale anche
per i rapporti umani e le relazioni (anche affettive) che
diventano sempre più spesso "senza impegno".
Questo modo di agire, a volte inconsapevole, sotto la
spinta del consumo fa slittare "il senso" dalla profondità
alla superficie. E' una mutazione antropologica in atto che
ci presenta una modernità liquida, superficiale che scioglie
le griglie sociali e polverizza i rapporti. La profondità è
un ostacolo e un freno al consumo perché ha bisogno di
tempo, di riflessione e se riflettiamo un po' va a
finire che ci rendiamo conto che non serve acquistare
"quella" cosa, che forse ne possiamo fare a meno.