FILM: "VOLEVO SOLO
VIVERE" DI MIMMO CALOPRESTI
Giovanna Boursier dal quotidiano "Il manifesto" del 28 gennaio
2006.
Giovanna Boursier è una studiosa che ha dedicato particolare
attenzione
ed importanti ricerche alla storia e alla cultura dei rom, ed allo
sterminio nazista.
Mimmo Calopresti (Polistena, 1955), regista cinematografico italiano
di forte impegno civile.
Tra le opere di Mimmo Calopresti: La seconda volta
(1995); La parola amore esiste (1998); Preferisco il rumore del mare
(2000)
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Trieste, settembre 1938: un'immensa folla gaudente radunata in
piazza non solo ad ascoltare le farneticazioni razziali di Mussolini
ma, soprattutto, ad applaudirle. "L'ebraismo mondiale - urla il duce
- è un nemico irriconciliabile" con tutte le conseguenze che queste parole
comportarono per gli ebrei del nostro paese, le leggi razziali e
l'internamento in Italia, prima, la deportazione nei lager, poi.
Bene ha fatto, quindi, Mimmo
Calopresti a cominciare con queste immagini rimosse dalla nostra
storia (insieme a gran parte delle nostre responsabilita') il
film-documentario "Volevo solo vivere" coprodotto da Steven Spielberg, Gage' Produzioni, Wildside Media e Rai Cinema e
distribuito, da ieri, nelle sale. E' un film basato su
documenti, soprattutto su alcune tra le centinaia di videotestimonianze raccolte in
Italia da Spielberg, con la sua Shoah Foundation, allo scopo di
videoregistrare la storia dei sopravvissuti alla Shoah e
trasformarla in memoria inequivocabile, mentre i testimoni diretti
stanno scomparendo. Volti e voci che Calopresti ha montato
magistralmente, con Massimo Fiocchi.
Dopo il duce a
Trieste, si passa subito ai ricordi: "Questa sono io da piccola, con
la mia famiglia, tutti deportati e morti ad Auschwitz", dice una
delle testimoni su una delle foto antiche che compaiono varie volte
davanti alla telecamera, ricordo di una vita tranquilla che
stentava a capire cosa stava accadendo.
Poi altri racconti: dal 25 luglio al 16 ottobre 1943, il
rastrellamento del ghetto di Roma, fino alla precisa e tragica
follia della deportazione nazifascista che il film riesce a
restituirci trasformando la descrizione in coinvolgimento, fino a fare entrare lo spettatore dentro
Auschwitz. Calopresti lascia parlare
uomini e donne: da Luciana Nissim, diventata psicanalista dopo la guerra
e
forse anche per
questo capace di raccontare la verita' del suo viaggio di giovane
innamorata che non sapeva la destinazione di quel convoglio, ma che
inorridisce subito tra le urla dell'arrivo, alla perentorieta' di
Giuliana Tedeschi che guarda i prigionieri all'ingresso e dice :"Non
voglio ridurmi così", alla semplicita' di Settimia Spizzichino,
vittima degli esperimenti medici che la ridussero cosi' piena di
piaghe da farla fuggire dallo specchio perche' "non mi riconoscevo
più". Poi Nedo Fiano, Andra Bucci, deportata a 4 anni e ancora oggi
annichilita dalla morte del cugino nelle camere a gas, Arminio
Wachsberger, interprete di Mengele. Sono storie di vittime che si addossano
persino colpe : "Forse sono stata cattiva?" dice Esterina Di Veroli
che accettò un po' di pane "dai più anziani che avevano meno
fame" .Sono racconti faticosi e strazianti, come quello di
Shlomo Venezia che aveva il compito di portare i cadaveri dalle camere a
gas ai forni e che ricorda la volta in cui vide suo cugino avviarsi alla morte
e gli porto' ancora qualcosa da mangiare: "Lui sapeva - dice - ma
sulla porta mi sorrise".
Cosi' ad ogni voce se ne aggiunge un'altra fino a comporre,
lentamente e inesorabilmente, solo l'orrore. Che resta, nonostante la
liberazione, quando Liliana Segre si ritrova vicino al comandante
del campo che per cambiarsi appoggia la pistola per terra e lei pensa di
prenderla e sparargli.
Poi, aggiunge, "Non l'ho fatto, era la
differenza tra me e lui e solo allora sono stata davvero una persona
libera".
In tempi di revisionismi e riabilitazioni, non è una
piccola differenza.
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