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a cura di Vincenzo de Simone

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Castelnuovo - via san Benedetto, 28

 

Con l'ascesa al trono del regno di Sicilia della dinastia d'Angiò, nel1266, quella Casa acquisì i beni demaniali che erano stati degli Altavilla e che erano pervenuti agli Hohenstaufen con Enrico VI nel 1194. Fra essi vi era, almeno in teoria, il Castel Terracena, edificato da Roberto il Guiscardo sulle mura orientali di Salerno, pare al duplice scopo di creare un nuovo palazzo del potere diverso da quello dei principi longobardi (la Reggia di Arechi) e di fortificare il settore più vulnerabile delle difese cittadine.

In realtà, in circostanze che rimangono misteriose, il castello era andato distrutto già a cavallo dei regni degli ultimi Hohenstaufen, fra il maggio 1251, data della sua ultima citazione, e il 1261, anno della morte di papa Alessandro IV che, per diritti non specificati, aveva donato ai monaci di San Benedetto il suolo, prospiciente la loro abbazia, sul quale era stato edificato. Tardi giungeva, quindi, la disposizione di Carlo I del 20 aprile 1277 con la quale si individuavano nei cittadini di Salerno e negli abitanti di San Mango, Sant’Auditore, Cava, San Severino e loro casali i soggetti tenuti alle riparazioni della Torre Maggiore e del castello di Terracena.

Il 28 maggio 1301, Carlo II esortava lo stratigoto di Salerno ad adoperarsi affinché tornasse nel possesso della regia curia il luogo e la terra ove il castello di Terracena fu edificato e a non permettere che vi si edificasse alcunché di nuovo. Alla luce di questo documento, il precedente, registrato in Napoli in quello stesso 1301, pur riferendosi ad un avvenimento lontano oltre un quarantennio, assume una connotazione particolare, inducendo a ritenersi che esso fu parte di una successiva corrispondenza intercorsa sull’argomento fra lo stratigoto e il Re. In ogni caso, l’esortazione di Carlo II non sortì effetti poiché, nei secoli successivi, le dinastie regnanti, e di conseguenza i loro feudatari, non avranno residenza in Salerno oltre la Torre Maggiore sul cocuzzolo del colle, mentre i monaci di San Benedetto avranno il loro Castelnuovo (denominazione in chiara contrapposizione al vecchio Castel Terracena esistito sullo stesso luogo), nel quale, il 4 aprile 1412, sarà rogato un atto di donazione di Margherita di Durazzo a favore della cappella di San Giovanni del duomo. Il 4 gennaio 1534, il soggiorno dell’illustre dama veniva ricordato nell’atto con il quale i monaci fittavano al confratello Costabile della Badia di Cava alcuni ambienti del loro palazzo, fra i quali la camera della regina, avente il prospetto verso meridione.

Nell'Apprezzo del Catasto onciario, il 25 gennaio 1754, il Castelnuovo è distinto in sei particelle intestate al cardinale Domenico Orsini, abate commendatario di San Benedetto dal 1745 (foglio 460, particelle 5, 6, 7; foglio 451, particelle 1, 2, 3), per due stalle coperte a lamia, quattro piccoli appartamenti e il corpo principale in due bassi, tre stalle, dieci camere superiori con due cucine e sala, prospettante a tramontana sul cortile del monastero, in parrocchia di San Giovanni de Cannabariis.

Con l'avvento dei regimi napoleonici (1806-1815), l'abbazia è soppressa il 13 febbraio 1807, gli immobili passano all’amministrazione militare, che ne fa scempio come da tradizione per quel tipo di possesso, mentre il cortile fra il Castelnuovo e la chiesa è tagliato dall'apertura della via san Benedetto.         

Nel 1964 in Castelnuovo fu allocato il Museo archeologico provinciale, già ospitato nel palazzo della Provincia. Nel corso di lavori di ristrutturazione furono rinvenuti, al di sotto del livello stradale, in ambienti poi sistemati a depositi, resti delle mura longobarde che il Guiscardo volle rafforzare con la costruzione di Castel Terracena.       

La seconda immagine si riferisce ai lavori di recupero dell’immobile in previsione del trasferimento del Museo archeologico provinciale, in particolare del loggiato sul cortile d'ingresso.

 

 

 

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