il sito di storia salernitana

a cura di Vincenzo de Simone

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Fucsia: corpo della reggia.

Azzurro: limite delle corti, addossate, verso il mare, al muro della città prearechiana. 

Rosso: muro longobardo.

Freccia: porta di Mare longobarda

 

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  Reggia di Arechi - via Arechi

 

La reggia fu fatta costruire dal principe Arechi II fra il 758 e il 787, quando trasferì la residenza della corte da Benevento a Salerno. Essa fu in parte impostata su un complesso termale romano in parte del quale era stato impiantato un luogo di culto paleocristiano e un sepolcreto. Il cantiere arechiano, ancorché intervenisse in modo massiccio ricoprendo il luogo, pure salvaguardò la preesistente chiesa che divenne ipogea alla cappella palatina sotto il titolo dei santi Pietro e Paolo, attualmente San Pietro a Corte. La residenza si estendeva, in un blocco lungo e relativamente sottile, dal meridione della cappella ad una torre del muro lungo il mare che era stato della città prearechiana, a ridosso della porta di Mare. Al suo oriente e al suo occidente furono create due corti: la prima, la grande, fino al preesistente monastero di San Giorgio, come documentato al febbraio 1137 e al settembre 1139; l'occidentale, la minore, fino alla via della porta di Mare, dalla quale si accedeva al palazzo tramite una scalea documentata all'ottobre 1149. Nella parte settentrionale di questa corte piccola insisteva un giardino documentato agli anni Settanta del X secolo, quando la reggia era abitata da Gisulfo I, da Gemma, sua moglie, e da Pandolfo, loro figlio adottivo. Sul giardino e sul rimanente della corte era possibile affacciarsi dal lungo loggiato che dalla cappella palatina si apriva lungo l'intero fronte occidentale del palazzo. Le due corti erano poste in comunicazione da una serie di passaggi ad arco creati sotto il corpo della costruzione, documentati al maggio 1119 e al novembre 1279, di cui oggi sopravvivono quelli rappresentati delle vie Dogana Vecchia, Giovanni da Procida e Pietra del Pesce.       

La costruzione del complesso intervenne a modificare pesantemente l'urbanistica cittadina, poiché tagliò l'attraversamento meridionale della città fra le porte di Elino e di Busanola, oggi rappresentato dalla direttrice via dei Mercanti - Dogana Vecchia - via Portacatena, e determinò, nel tempo, la nascita del toponimo Capite Platearum, Capo delle Strade, (poi italianizzato in Capopiazza) attribuito all'area dell'innesto della via delle Botteghelle su via dei Mercanti, poiché lì le due strade sembrava avessero origine, a ridosso del muro, quasi certamente dotato di una porta, della corte maggiore.

Con la caduta del principato longobardo e l'edificazione del castello di Terracena, il sacrum salernitanum vetustum palatium, come lo definiva nel maggio 1119 il duca Guglielmo, andò in disuso e le sue corti furono aperte e cedute dal demanio come suolo edificatorio. Nasceva, così, il nuovo quartiere della Corte Dominica e fra le nuove costruzioni furono tracciate nuove strade che andarono assumendo le denominazioni dai mestieri che si esercitavano nelle botteghe su di esse prospicienti: la ruga Parmentariorum, prima citazione 1232; la ruga Saracolorum, 1253; la ruga Petitorum, 1269; il loco Sutorum, oggi identificabile con il vicolo dei Sartori, 1269; la ruga Pelisanorum, 1304; la ruga Coppulariorum, 1307. L’urbanizzazione della Corte Dominica si completa nel 1423 con l’edificazione, a spese di Pacilio Surdo, e l’erezione canonica databile al 24 maggio di quell’anno, della chiesa di San Salvatore de Drapparia a ridosso del fronte del palazzo principesco. Anche i varchi sotto il palazzo, ormai aperti verso la via della porta di Mare, diverranno vie pubbliche: la ruga Corbiseriorum e Ferrariorum, oggi Dogana Vecchia, prime citazioni 1269 e 1282; la ruga Speciariorum, oggi Giovanni da Procida, 1279. Del luglio 1193 è la notizia che sul luogo ove era stato il giardino dominico era sorta una casa che viene acquistata dalla badia di Cava.

Il palazzo, passando di mano fra le varie dinastie regnanti susseguitesi, trasformato, in gran parte demolito e ricostruito, addossato da altri edifici sul fronte orientale, lottizzato nella parte meridionale, lo ritroviamo nel Cinquecento come palazzo badiale di San Pietro a Corte.

Nell'Apprezzo del Catasto onciario (foglio 485, particella 8 e foglio 486, particella 7), febbraio 1754, troviamo i beni della badia a confine con l'ex cappella palatina consistenti in tre magazzini, un basso per uso di ferraro, altri tre bassi nel cortile e undici stanze superiori, mentre nel corpo fra le attuali vie Giovanni da Procida e Pietra del Pesce sopravvive il possesso di un magazzino (foglio 490, particella 4). 

Rovescio di un doppio follaro di Roberto il Guiscardo. Comunemente, l'immagine è ritenuta una raffigurazione delle fortificazioni di Saòerno, ma potrebbe raffigurare la reggia di Arechi edificata sugli archi ancora visibili e la scritta victoria potrebbe riferirsi allo scontro con Gisulfo II.  .   

 

 

 

In alto: archi del fronte orientale del palazzo su via Arechi.

A lato: archi, in parte tompagnati, del loggiato sul fronte occidentale visti dall'interno dell'ex cappella palatina.