Il marmo, uso e processi degradativi

di Luigi Massidda - Università di Cagliari

L'impiego dei materiali lapidei nelle costruzioni è antico quanto la storia dell'uomo. Disporre le pietre una sull'altra è infatti l'essenza stessa del costruire: in tutte le epoche i grandi monumenti caratterizzanti le diverse civiltà sono stati realizzati con l'uso spesso esclusivo di materiali lapidei.
Questo termine nella moderna tecnologia edilizia comprende differenti categorie di materiali. Si parla di marmi, graniti e travertini quando ci si riferisce a lapidei di particolari qualità, mentre il generico termine pietra è attribuito a litotipi che trovano impiego senza particolari lavorazioni.
Raffinate tecniche di segagione e di collegamento ai supporti murari consentirono ai romani di utilizzare le pietre più pregiate come paramento di nuclei realizzati con materiali poco nobili come il muro di mattoni.
Con il Medioevo l'impiego del marmo in architettura decade per riprendere anche se con differenti funzioni nel periodo Romanico e ancor più in quello Gotico. E' nel Rinascimento, tuttavia, che il marmo ritorna a essere un elemento prevalentemente decorativo perdendo ogni funzione statico- strutturale e anticipando, quindi, quella che è la funzione quasi esclusiva attribuita ai lapidei dall'architettura dei nostri giorni.
Quali sono le caratteristiche tecnologiche che devono essere prese in considerazione per un corretto impiego di questi materiali?
Come si è detto, nella società moderna l'impiego prevalente non è più quello di materiale strutturale, essendo questa funzione meglio assolta da altri materiali artificiali, più leggeri, più tenaci, più economici, ma è legato soprattutto a caratteristiche estetiche e di durevolezza.
Il valore estetico di una roccia ornamentale è fondamentalmente riconducibile al colore, alla tessitura e alla grana del materiale.
L'intensità di colore è in genere il fattore più importante e ciò vale soprattutto per i colori cosiddetti classici: nero e rosso per i graniti, bianco e verde per i marmi. Colori di minor pregio sono i grigi ed i rosa per i primi, marroncino e beige per i secondi.
Il colore originario di un materiale lapideo utilizzato in esterno, però, solo raramente rimane stabile nel tempo; le fasi mineralogiche pigmentanti risentono infatti delle azioni idrotermali che le solubilizzano, idrolizzano, ossidano, idratano con effetti talvolta particolarmente pesanti. I meccanismi di alterazione dei materiali lapidei sono in genere diversi e spesso concomitanti anche se è indubbio che spetta all'acqua il ruolo più importante nei processi di degrado.
In particolare, per quanto concerne le superfici il fattore che consente all'acqua di dare significatività in tempi storici a processi di degrado è senza dubbio la sua acidità.
La diminuzione del pH delle precipitazioni al di sotto dei valori considerati "naturali" (pH 5,6 - 5,8) fa attribuire ad esse il termine di piogge acide.
I composti dello zolfo in presenza di umidità formano acido solforico responsabile del deterioramento dei litotipi a matrice carbonatica e della solfatazione delle superfici dei marmi con formazione di "croste nere" la cui fase mineralogica principale è il gesso: esso infatti negli ambienti urbani inquinati ingloba particelle carboniose e idrocarburi incombusti assumendo colorazioni più o meno scure da cui il nome. Tali croste si formano nelle zone che meno subiscono l'azione meccanica della pioggia battente; in queste aree infatti i solfati di neoformazione e lo sporco vengono asportati ed esse appaiono bianche.

In figura è possibile osservare una esfoliazione (·) e abrasione (*) della pietra (per gentile concessione del Prof. Alfredo Negro, Politecnico di Torino).

In presenza di materiali calcarei porosi, come calcareniti, arenarie o marne, il degrado si può esplicare anche in profondità. Il risultato è quasi sempre la demolizione della fase legante carbonatica con formazione di sali che nella matrice porosa possono cristallizzare con notevoli variazioni di volume; si generano, quindi, microlesioni e si producono nuovi pori.
I risultati di tali aggressioni vanno così dalle modeste alterazioni superficiali dei marmi compatti, ad esfoliazioni e distacchi in sistemi più porosi, fino a profonde cavernizzazioni nel caso di alcune calcareniti organogene.
Il meccanismo di deterioramento dei graniti la cui costituzione mineralogica comprende diverse fasi cristalline, è più complesso di quello dei materiali carbonatici. I minerali costituenti mostrano, infatti, rispetto agli agenti aggressivi ambientali comportamenti alquanto diversi. Se il quarzo si può considerare praticamente inalterabile non altrettanto si può dire per gli altri componenti tipici come feldspati e biotite. I feldspati ad esempio vengono decomposti dall'azione dell'acqua che li trasforma in caolinite, sali solubili di K, Na e Ca, e silice.
Sono più spesso errori di progettazione o di esecuzione delle opere a causare fenomeni di degrado nei rivestimenti lapidei moderni. I più comuni sono riconducibili a: carenze di efficaci appoggi dei paramenti lapidei che in conseguenza alle perdite di aderenza degli incollaggi gravano con carichi insostenibili sulle lastre sottostanti; impiego di sostegni in acciaio che corrodendosi generano tensioni pericolose; vie di passaggio per l'acqua attraverso lastre non sigillate; impiego di manufatti con superfici che favoriscono il ristagno dell'acqua;  mancanza di giunti di dilatazione che determinano la nascita di forti tensioni rispetto al supporto. A questi e ad altri inconvenienti si può comunque ovviare con una progettazione che tenga in conto le proprietà dei materiali scelti e le condizioni di esercizio.

Bibliografia
Autori Vari "Manuale dei Materiali per l'Ingegneria" AIMAT, Ed. McGraw Hill Milano 1996