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LA VALLE DELLE FARFALLE DI RODI
di Andrea Ustillani
Nella zona ovest dell'isola di Rodi, a circa 5 chilometri dal paese di Tolos, si trova la famigerata valle delle farfalle. La valle è percorsa dal fiume Pelecano il quale scorre tutto l’anno garantendo alla valle un microclima del tutto particolare per Rodi: fresco e umido anche durante i torridi mesi estivi.
Sono queste le condizione ideali che determinano il fenomeno, unico nel suo genere, della concentrazione nei mesi di luglio e agosto di milioni di farfalle della specie Panaxia quadripunctaria. Queste falene, perché di falene si tratta, appartengono alla famiglia degli Arctidi, farfalle notturne di qualche centimetro di dimensioni caratterizzate da colorazioni bruno-rossastre. Il nome della famiglia deriva da Arctos (in latino orso) perché i bruchi presentano una folta peluria bruna che ricorda il manto setoloso degli orsi.
Gli adulti, come si diceva, presentano una colorazione aposematica o di avvertimento con colori appariscenti e contrastati segnalando ai potenziali predatori che l’insetto ha un sapore sgradevole o è tossico. Sempre allo scopo di confondere i predatori, queste farfalle presentano un’altra strategia comune in molti altri insetti: il mimetismo flash. Il primo paio di ali, di colore bruno con striature bianche, garantisce un buon grado mimetico; il secondo paio di ali, di colore rosso vivace e nascoste dalle precedenti quando l’insetto è a riposo, determina un’esplosione di colore quando la farfalla spicca il volo (per l’appunto un flash) attirando l’attenzione del predatore sul colore vivace e distogliendolo dalla colorazione spenta e mimetica, permettendo così all’insetto di posarsi su un tronco o una roccia e sparire completamente alla vista del predatore.
La prima testimonianza sulle farfalle risale ai primi del ‘900 da parte di operai italiani che lavorarono alle opere di conformazione della valle. Ricerche storiche sul secolo precedente non riferiscono nulla riguardo a tale fenomeno. Secondo alcune testimonianze all’inizio del secolo scorso la vegetazione della valle era così densa da renderne impossibile l’accesso. Nel 1928 una compagnia italiana si stabilì nella comunità di Pelacanos cominciando un processo di valorizzazione della valle. Furono costruite alcune cisterne e venne sostituito il vecchio mulino. I lavori continuarono per un una decina di anni fino alla costruzione dell’acquedotto. E’ proprio in questo lasso di tempo che apparvero le prime farfalle. Alcuni sostengono che furono proprio gli italiani ad introdurle sull’isola. Altre testimonianze tra gli abitanti più anziani della valle dicono che le farfalle ci sono sempre state e che furono solamente scoperte in quei tempi. Fatto sta che solo dopo gli anni sessanta le farfalle, e con loro la valle, cominciarono a diventare famose. Da allora in poi il numero dei turisti è sempre aumentato arrivando a picchi di 200.000 visitatori in un solo anno.
Ma da dove ha origine questo fenomeno e perché si perpetua nel tempo da quasi un secolo?
P. quadripunctaria si concentra in questa zona dell’isola perché necessita di biotopi con caratteristiche ambientali particolari, tipiche di valli strette, con precipizi ripidi su entrambi i lati, provvisti di una folta copertura arborea di specie sempreverdi e sclerofile che impediscano la penetrazione della radiazione solare nel profondo del sottobosco. Così, benché al di fuori della valle ci sia una temperatura altissima con punte superiori a 40 C°, all’interno è sempre presente un gradiente termico negativo con un più alto tasso di umidità dell’aria, garantito dall’evaporazione dell’acqua e dalla traspirazione degli alberi.
Nei caldi mesi estivi, per le farfalle diviene una questione di vita o di morte ricercare luoghi con queste caratteristiche e poter così superare indenni l’estate. Questo fenomeno, comune anche in altre specie di lepidotteri, prende il nome di “estivazione”. Durante questo periodo l’insetto adulto non si nutre e sopravvive grazie alle riserve di grasso accumulate durante gli stadi giovanili in forma di bruco (liposomi). Per questo motivo è importante che le farfalle non vengano disturbate altrimenti corrono il rischio di esaurire anzitempo le riserve nutritive necessarie per arrivare all’accoppiamento e alla deposizione delle uova tra fine agosto e i primi di settembre.
Il ciclo biologico di questa specie è “univoltino”, ovvero si ripete una sola volta all’anno. Durante il periodo delle piogge i bruchi si trovano nella macchia mediterranea, tra corbezzoli e mirti, dove si nutrono di erbe e accumulano riserve energetiche. Quando si avvicina la fine del periodo umido, verso la fine di maggio, il bruco si impupa divenendo crisalide e trasformandosi in breve tempo in insetto “perfetto” (la farfalla adulta con l’aspetto che conosciamo). L’adulto quindi si sposta verso zone di maggiore umidità e con temperature più fresche viaggiando di notte quando l’umidità dell’atmosfera è maggiore e le temperature più basse. La pellegrinazione è casuale e non segue una rotta predefinita, ma la particolare struttura dell’isola di Rodi, fa sì che le farfalle sopraggiungano alla valle dove sosteranno per tutta l’estate. Alla fine di agosto si accoppieranno e a settembre cominceranno nuovamente a disperdersi sull’isola per depositare centinaia di uova nella macchia mediterranea. Con le prime piogge dalle uova fuoriusciranno i bruchi che per tutto l’inverno si nutriranno e si accresceranno per mute successive fino all’anno seguente, quando il ciclo biologico si ripeterà imperturbabile come da sempre accade.
Almeno così dovrebbe essere. In realtà questa specie sta subendo un forte declino a causa dell’impatto antropico. Il turismo di massa e il cattivo comportamento dei visitatori della valle fa sì che le farfalle volino inutilmente sprecando preziose riserve energetiche. Il battito delle mani, il fischiettio, lo scuotimento di monete, causano ultrasuoni simili a quelli prodotti dai pipistrelli per la localizzazione delle loro prede. Quindi le farfalle, credendo di essere soggette a predazione, cominciano a volare come impazzite. Così facendo consumano però la loro riserva lipidica. Ricordando che le farfalle adulte durante il periodo estivo non si nutrono, possiamo capire che alla fine muoiono di esaurimento e di inedia. Così ogni anno nasce un numero minore di farfalle con conseguente progressiva diminuzione della specie.
Questa specie non è però presente solo nell’isola di Rodi ma la si può incontrare in tutta l’area del mediterraneo, in particolare nel centro Europa (Germania, Svizzera, Italia, Spagna, ecc.). Il fenomeno di Rodi, unico nel suo genere, però consiste nella massiccia presenza e concentrazione, in un sol luogo, di questa specie dando origine così alla valle delle farfalle (denominata, in lingua greca, Petaludes).
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PASSEGGIANDO PER LA VAL AURINA IN COMPAGNIA DELLE EREBIE
di Andrea Ustillani
Montagne imponenti, valli modellate in tempi remoti dai ghiacciai e oggi percorse da torrenti cristallini, ondulate distese erbose … e ancora, praterie che si estendono ad un altitudine di 2000 metri, fra versanti boscosi di pini cembri, abeti e larici delle valli sottostanti e la brulla e impervia montagna vera e propria. Prati ricchi di vegetazione, circondati da un grandioso scenario di creste e vette, solcati da ruscelli limpidi e spumeggianti.
Sono questi i paesaggi che caratterizzano la Val Aurina, zona del Sudtirolo al confine con l’Austria. E sono questi gli ambienti tipici in cui è possibile incontrare le erebie, farfalle diurne caratterizzate da colorazioni tutt’altro che appariscenti che è impossibile non notare inserite in una tale policromia paesaggistica. Passeggiando lungo i sentieri, da quelli di fondovalle ai margini dei boschi a quelli in quota della brughiera montana, passando per radure, prati umidi e pendii rocciosi, è possibile essere circondati da centinaia di questi piccoli “elfi” volanti. Facciamo la loro conoscenza.
Con il termine generico di erebie si intendono le numerose specie appartenenti al genere Erebia spp. tra cui possiamo citare la comune Erebia alberganus, la meno comune Erebia montana e la più grande tra queste la Erebia aethiops. Le erebie appartengono alla grande famiglia dei Satiridi, farfalle contraddistinte da colorazioni brune e dotate di vistosi puntini (tecnicamente chiamati ocelli) vicini al margine esterno delle ali. Tali ocelli hanno l’importante ruolo di eludere l’attacco dei predatori, in particolare degli uccelli, distogliendone l’attenzione dalla testa, vero punto debole di quest’ordine di insetti.
Esiste un dimorfismo sessuale che differenzia leggermente gli individui di sesso maschile da quelli di sesso femminile: i primi più piccoli e di colorazione più scura, mentre i secondi più grandi e con una peluria più folta sul tronco e sull’addome. La colorazione scura svolge l’importante ruolo di assorbire il calore prodotto dal sole permettendo a queste specie di rimanere attive anche in condizioni di temperatura dell’aria troppo basse per altre specie (condizioni climatiche tipiche della montagna). E’ infatti molto comune osservarle posate ad ali distese (aperte) sulle infiorescenze, sulle rocce o sulla vegetazione del sottobosco.
In compagnia delle erebie è comune incontrare altre specie, alcune tipicamente di montagna altre cosmopolite. Tra queste ultime possiamo citare la comune vanessa del cardo (Vanessa o Cinthia cardui), l’atalanta (Vanessa atalanta) e la vanessa occhi di pavone (Inachis io). Queste tre farfalle appartengono alla famiglia dei Ninfalidi e sono tutte caratterizzate da una colorazione della parte superiore delle ali (tecnicamente chiamata pagina superiore) estremamente variegata e brillante, mentre la parte inferiore delle ali (pagina inferiore) presenta colorazioni scure e criptiche in un gioco cromatico decisamente mimetico; quando la farfalla adulta è a riposo su una pianta o si sta nutrendo su un fiore mantiene le ali chiuse sopra al torace mostrando la pagina inferiore mimetica “scomparendo” quasi del tutto ad un potenziale predatore o ad un osservatore poco attento. Sono tutte ottime volatrici e si possono incontrare un po’ in tutti gli ambienti, dalla pianura a oltre i 2000 metri di quota. Assolutamente da citare sono le migrazioni di migliaia di chilometri compiute dalla vanessa del cardo in grado di trasvolare il mare Mediterraneo per passare dall’Europa all’Africa e viceversa.
Un’altra specie molto comune, appartenente sempre alla famiglia dei Ninfalidi, è la vanessa dell’ortica (Aglais urticae). Questa vanessa si può incontrare dalla pianura (dove è molto rara) fino alle cime più alte ai piedi dei ghiacciai (oltre i 3000 metri durante le migrazioni). E’ comunque legata alle ortiche per la nutrizione delle larve ed è caratterizzata da una folta peluria marrone che ricopre il corpo e la base delle ali; queste ultime presentano la pagina superiore con margini neri e una colorazione sgargiante che varia da un arancione intenso ad un giallo paglierino con smarginature azzurre. La pagina inferiore è invece completamente scura e svolge lo stesso ruolo mimetico descritto in precedenza per gli altri Ninfalidi.
Specie tipicamente di montagna è il piccolo vergadoro (Heodes virgaureae) appartenente alla famiglia dei Licenidi, comune nei prati fioriti e ai margini dei boschi e comunque tipico di ambienti aperti come gli alpeggi in quota. La sua colorazione arancione diviene estremamente brillante quando è colpita dalla luce solare rendendolo estremamente evidente sui verdi pascoli di montagna. Anche la maera (Lasiommata maera), presente sporadicamente in pianura, ma più comune dai 500 fino ai 2000 metri di quota, è legata a boschi radi, radure e sentieri. Appartiene anch’essa alla stessa famiglia delle erebie e con queste ha in comune una colorazione bruno-aranciata e ocelli neri sulla pagina superiore delle ali.
Ma sicuramente il rappresentante più tipico delle farfalle di montagna è l’apollo (Parnassius apollo). E’ una farfalla di grandi dimensioni appartenente alla famiglia dei Papilionidi, con ali di colore bianco candido dotate di ocelli rossi piuttosto grandi. Ha un volo leggero e la si può incontrare abbastanza facilmente da giugno ad agosto sui pendii pietrosi e prati fioriti dei pascoli alpini attorno ai 2000 metri dove sono presenti le sue piante nutrici (ovvero le piante che servono per la nutrizione dei bruchi) tra cui il genere Sempervivum spp. appartenente alla famiglia delle Crassulacee. Come piante nettarifere (ovvero le piante che servono per la nutrizione della farfalla adulta) predilige senz’altro i cardi selvatici, su cui è usuale vederla posata sui versanti assolati, aridi e stepposi.
Parente strettissimo dell’apollo è il mnemosine (Parnassius mnemosyne). A differenza dell’apollo questa specie è più piccola e non presenta i tipici ocelli rossi sulle ali. Presenta però delle nervature di un colore nero marcato. E’ una specie localizzata, talvolta abbondante dove presente, legata a prati fioriti, sponde di ruscelli, sentieri e radure umide e nelle faggete dove cresce la sua pianta nutrice.
Infine, come non citare la bella galatea (Melanargia galathea). Satiride di medie dimensioni con disegno inconfondibile a formare una reticolatura nera su sfondo bianco. Questa specie è presente sporadicamente dal livello del mare a oltre 2000 metri di quota, dove è senz’altro più diffusa (segnalazioni la riportano addirittura fino ai 3000 metri in Italia); è legata a boschi, radure, siepi e prati fioriti, ovunque siano presenti le sue piante nutrici: alcune graminacee come le specie Phleum pratense, Agropyron repens, ecc.
Queste farfalle fino ad ora descritte e raccontate sono solo una piccola parte di quelle realmente presenti nel territorio della Val Aurina. Potremmo ancora citare il macaone (Papilio macaon) e il podalirio (Iphiclides podalirio), entrambe specie abbastanza comuni di grandi dimensioni e presenti anche in parchi e giardini, appartenenti alla famiglia dei Papilionidi. Queste sono solo alcune delle specie, forse quelle più rappresentative, della biodiversità che contraddistingue tali ambienti.
La ricchezza di flora e di habitat diversificati e spesso incontaminati offrono riparo e sostentamento non solo alle farfalle diurne, ma anche a quelle notturne e altri insetti, come Coleotteri e Sirfidi (tipi di mosche che simulano api e vespe). E ancora anfibi, rettili e uccelli …
Per poter realmente apprezzare la sensazione della vita brulicante di questo territorio ed entrare in piena comunione con essa vale realmente la pena passeggiare lungo le centinaia di sentieri che si diramano ed intrecciano in questi luoghi. “Armati” di binocolo, macchina fotografica e di tanta pazienza è possibile assaporare il gusto profondo della natura che ci circonda.
NEL REGNO DELLE FARFALLE
di Alice Paglia
Ciò che colpisce l’occhio umano è innanzitutto l’esteriorità. Del fiore ci si meraviglia dei petali coloratissimi, del mare ci sorprende la vastità dell’azzurro, di una persona ci colpisce l’aspetto fisico: l’uomo è ininterrottamente affascinato da ciò che è esterno.
Questa realtà non è da considerarsi affatto negativa per l’uomo, perché, come ci tramanda il celebre Aristotele, è la meraviglia che induce l’essere umano alla ragione: quando guardiamo le stelle, per esempio, non è forse quel loro splendore, quella loro lucentezza che stimola la nostra mente a coltivare l’astronomia?
Ecco dunque che l’esteriorità diviene qualcosa di indispensabile per tutti noi. In ragione di questo, se una persona osserva solo l’esteriorità delle cose, rischia giorno per giorno di non saper riconoscere i veri significati della vita e tende anche a guardare solo con gli occhi e non più con l’occhio della mente: la conoscenza profonda rischia di non esistere più.
Dunque, è vero che è l’esteriorità e lo stupore che essa suscita, che incita l’uomo alla ragione, ma è tanto vero che se l’essere umano si limitasse all’osservare, si ritroverebbe un giorno a conoscere solo le cose che più lo attraggono. Quindi, dal momento che ogni individuo su questa terra pensa, osserva, parla e vive in maniera diversa, noi tutti dobbiamo imparare a guardare le cose nella loro interiorità, affinché il nostro sapere non si limiti al nostro interesse.
Come afferma il grande filosofo Aristotele, voglio invitare chiunque stia leggendo il mio messaggio a riflettere su ciò che ha fatto la storia di una data cosa, su ciò che esiste per quella data cosa e su ciò che c’è in quella data cosa.
Una farfalla per infiniti saperi
APOLLO, IL PARNASO E LE NOVE MUSE Il Museo “nel Regno delle Farfalle” mira alla cultura completa. Infatti, la farfalla che noi esponiamo alla vista dei visitatori non è solamente da intendere come lepidottero colorato, ma intorno ad essa ruotano in un ciclo interminabile tantissimi concetti, soprattutto riguardanti la mitologia, l’astronomia, la storia, la filosofia o anche lingue antiche come il greco e il latino.
Pensiamo ad esempio alla farfalla chiamata Parnassius apollo. Il nome ovviamente latino può essere tradotto letteralmente “Apollo del Parnaso”. Apollo, secondo la cultura greca, era uno degli Déi più rinomati dell’Olimpo: egli si dedicava all’arte e alla musica, alla ragione e alla filosofia ed era il Dio del Sole e dell’iniziazione, in quanto uccise il Pitone. Sede di Apollo era la celeberrima Delfi, ma viene spesso rappresentato sul monte Parnaso.
Cominciamo dunque a riflettere: perché la farfalla è stata chiamata “Apollo”? Perché si è deciso di darle il nome “Parnassius” invece di “Delphicus”? La spiegazione è semplice: da una parte si chiama “Apollo” in quanto lepidottero di notevole forza e bellezza e perché ciascun punto rosso sulle ali bianche sembra un Sole, di cui Apollo era Dio; dall’altra è stata denominata “Parnassius” perché farfalla di montagna.
Esiste poi un’altra farfalla detta Parnassius, ma questa volta si chiama mnemosyne. Mnemosyne è la personificazione della memoria. Ella era figlia di Urano: il cielo, e di Gea: la terra, e unitasi per nove giorni con Zeus: Dio di tutte le divinità, diede alla luce nove figlie: le cosiddette “Muse” (dette in seguito Pieridi poiché nate in Pieria). Ora, cosa lega Mnemosyne al monte Parnaso? Molto semplicemente le figlie di Mnemosyne: le Muse, erano le compagne di vita del Dio Apollo, che proprio sul monte Parnaso dirigeva i loro canti.
ORIONE E LE PIRAMIDI DI GIZA Pensiamo ora alla farfalla Scolitantides orion. Come vedete nella foto, il rovescio della farfalla è marcato da punti neri molto evidenti. Se osservate l’attaccatura delle ali anteriori, noterete in particolare tre punti distinti fra loro abbastanza distanziati.
Tali punti appariranno assai familiari ad un astronomo: infatti in primavera nel cielo si vede un’importante costellazione, quella di Orione. La particolarità di questa costellazione sono le tre stelle centrali, volgarmente chiamate “cintura di Orione”, che nella loro disposizione sono tali eguali a quei tre punti della “Scolitantides Orion”.
Orione, secondo la mitologia greca, è stato il primo eroe-cacciatore e fu anche il primo a essere soggetto di catasterismo, ovvero quel fenomeno per cui un eroe o un animale viene trasformato in costellazione della volta celeste. Egli ebbe la cattiva idea di dare la caccia alle Pleiadi, le sette bellissime figlie di Atlante che componevano il corteo della dea Diana (Artemide alla greca). Orione rincorse le Pleiadi finché gli Dèi decisero di trasformare queste in stelle e porle nella costellazione del Toro. Diana, tuttavia, volle punire Orione mandandogli contro un enorme Scorpione che lo uccise con il suo veleno. Anche Orione e lo Scorpione furono posti fra gli astri, e ancor oggi nel cielo troveremo Orione e Scorpione situati in zone opposte dell’emisfero celeste.
Ma non finisce qui il nostro excursus, perché questi punti interni alla base dell’ala anteriore della Scolitantides orion sono collegabili al magnifico complesso delle piramidi di Giza. Sono stati attuati molti studi riguardo a queste piramidi, giacchè la loro disposizione è molto simile, per non dire identica, alla cintura della costellazione di Orione. Si dice infatti che gli Egizi rimasero talmente affascinati dalla costellazione della volta celeste, tanto da voler costruire un complesso di piramidi che ne riportassero la disposizione. Qui sopra a sinistra possiamo osservare una veduta aerea delle piramidi di Giza. Notate quanta somiglianza c’è tra l’ordine di queste piramidi, i punti dell’ala anteriore della “Scolitantides Orion” in alto a destra e la cintura della costellazione di Orione in basso a destra.
Quante cose si possono imparare dalle farfalle!
Il più delle volte ciò che sembra di poca importanza può nascondere un patrimonio infinito di sapienza, perché spesso l’apparenza inganna. Dunque, come avrete potuto leggere, da una semplice farfalla diffusa dalle Alpi Marittime alle Alpi Giulie della nostra bella Italia, siamo giunti in Egitto, da cui poi ci siamo elevati sino al cielo azzurro. E ancor prima, da due farfalle di montagna siamo tornati al tempo degli antichi greci, che ci hanno tramandato una cultura straordinaria.
Nel Museo “nel Regno delle Farfalle” si possono imparare queste e ben altre cose, perché mai ci stancheremo di imparare e conoscere.