La Dottoressa Federica Carlieri Odontoiatra Riceve Presso L' ambulatorio Polispecialistico Dental-Kappa a Roma Via Asinari di San Marzano, 23-25-27-29 - Roma tel. 06-89010165 |
IMPLANTOLOGIA
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Attualmente esistono
circa 300 tipi di impianti concettualmente diversi, ogn'uno con il suo
protocollo, strumenti dedicati per forare, filettare, inserire, avvitare, con
relativi manipoli e micromotori con raffreddamento e riduzione della velocità,
con il controllo elettronico della torque, con tappi di guarigione con viti di
parallellizzazione, con esagono incassato, con attacco conico, con fixture,
abutment, transfert ecc.
ecc. ecc.
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Spesso
attrezzarsi per eseguire degli impianti in Titanio, con i suoi accessori,
costa al dentista più di 10.000 euro. E se poi ci si accorge che l'impianto
scelto, consigliato da un rivenditore che magari vi ha fatto frequentare un
corso GRATUITO di implantologia, non corrisponde affatto alle aspettative
promesse, che fate? frequentate un nuovo corso suggerito da un altro
fornitore con la speranza che questa sia la volta buona e che finalmente
potrete anche voi avviarvi alla carriera di "implantologo". -
La difficoltà è riuscire a concentrare, in una ridotta tipologia di impianti, quanto può servire per la soluzione della maggior parte dei casi. Gli impianti devono essere prodotti da una ditta seria, devono essere semplici, affidabili, e con una grande casistica che ne certifichi la predicibilità del risultato. Questa
scelta, che potrà cambiare la vostra vita professionale, vi offrirà la
possibilità garantita di poter inserire degli impianti nel breve tempo di
due mesi. Nel mio libro - Manuale Operativo Di Implantologia- sono
spiegate le metodologie pratiche per la scelta del tipo di impianto da usare, le dime per l'inserimento, la procedura chirurgica sia per il singolo impianto che
per un circolare di 14 elementi. -
ELEMENTI DI IMPLANTOLOGIA (Anno 1998)
La
protesi su impianti osteointegrati rappresenta la branca più giovane dell’odontoiatria
protesica quella che senz’altro necessita ancora di conferme dettate dai
risultati clinici a distanza di anni. Numerose
sono ancora le problematiche che si prestano ad interpretazioni differenti e ad
indirizzi terapeutici spesso molto diversi; si pensi alle discussioni, tuttora
esistenti, riguardanti le differenze tra protesi cementate o avvitate, la
possibilità di unire in un’unica soluzione protesica denti e impianti, i
materiali con cui costruire i manufatti protesici. Oggigiorno
il concetto d'osteointegrazione è oramai completamente conosciuto e accettato
da tutta la comunità scientifica; rimane però ancora da discutere su come
mantenere nel tempo quell’integrità strutturale e funzionale tra osso e
impianto, raggiunta al termine della fase chirurgica della riabilitazione
implantare, poiché in campo odontoiatrico il posizionamento degli impianti è
solo il fatto prodromico che deve poter permettere la realizzazione della vera
finalità: ripristinare protesicamente l’integrità anatomica e funzionale
dell’articolato dentale e delle funzioni dell’apparato stomatognatico. Nonostante
la letteratura internazionale concordi sul fatto che la terapia implantare
osteintegrata se correttamente eseguita in osservanza dei protocolli
universalmente conosciuti sia caratterizzata da una percentuale di successo
veramente elevata, è altrettanto ammesso che in una minoranza di casi, pur nell’osservanza
dei suddetti protocolli, si possa ugualmente verificare un insuccesso clinico. Allo
stato attuale delle conoscenze si pensa che, dopo la guarigione primaria con l’avvenuta
osteointegrazione, l’insuccesso implantologico sia da ascriversi a cause
infettive, a sovraccarichi occlusali o all’azione combinata di questi due
fattori. Diventa quindi di fondamentale importanza stabilire come caricare
fisiologicamente gli impianti osteointegrati, modulando la norma per
l'attuazione della trasmissione dei carichi masticatori dai manufatti protesici
agli impianti e all’osso circostante. Inoltre si dovrebbe considerare
l'ipotesi che un biomateriale
diverso dal Titanio, possa migliorare le possibilità statistiche di durata del
complesso implantare. CARICHI
OCCLUSALI
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Nell’ultimo
decennio si è potuta osservare una notevole trasformazione del disegno
protesico nelle riabilitazioni implantari, con un progressivo distacco dai
dettami originari della Scuola svedese che prevedeva protesi fisse, per lo più
confinate alla regione anteriore della mandibola, con scarsa attenzione al
fattore estetico e alla gestione dei tessuti molli Attualmente
si è orientati all’allestimento di protesi su impianti del tutto simili a
quelle che da sempre sono effettuate sulla dentatura naturale, con una ricerca
scrupolosa dell’estetica, specie nei settori anteriori e con particolare
attenzione alla gestione dei tessuti molli affinché il manufatto non solo sia
osteointegrato ma sia soprattutto integrato nei tessuti parodontali. La tendenza
è di trasferire alla protesi su impianti quei principi strutturali e funzionali
della protesi tradizionale, provenienti da un'esperienza peraltro consolidata. E
ormai assodato che, anche se l’impianto si è inizialmente osteointegrato, è
possibile che lo stato dell’interfaccia si modifichi, per esempio a seguito di
un sovraccarico
occlusale. L’applicazione di un carico eccessivo o comunque non congruo può
comportare microfratture dell’osso e conseguenti micromovimenti dell’impianto. La
capacità riparativa dell’osso non è in grado di far fronte al riassorbimento
che si verifica intorno all’impianto e la riparazione avviene con l’interposizione
di tessuto fibroso. Il
protrarsi di questa situazione comporta la progressiva perdita dell‘osteointegrazione
dell‘impianto fino alla sua irreversibile mobilità. Diversi
studi clinici longitudinali hanno dimostrato perdite ossee perimplantari
significative dovute a sovraccarico occlusale, spesso in completa assenza di
reazioni infiammatorie a carico dei tessuti molli circostanti, quindi in un
ambiente di microflora normale.
Al
contrario, è altrettanto assodato che carichi masticatori fisiologici mediati
da una corretta riabilitazione protesica, promuovendo un normale turn-over dell’osso,
mantengono l’osteo-integrazione iniziale dell’impianto. La
principale differenza anatomica tra denti e impianti è la presenza attorno agli
elementi dentali del legamento parodontale, che funziona da ammortizzatore
viscoelastico, genera impulsi neuro-sensoriali, permette movimenti d'adattamento
dei denti ai carichi occlusali, limita la funzione masticatoria dei muscoli
elevatori e, infine, influenza il tragitto di chiusura della bocca. Queste
funzioni diminuiscono lo stress cui sono sottoposti i denti e promuovono
movimenti adattativi che impediscono di sovraccaricare singoli elementi dentali
in caso di carichi patologici e di riversare eccessive sollecitazioni all’interfaccia
osso-dente. Parfitt
stabilì che i denti naturali sottoposti ad un carico assiale possono spostarsi
apicalmente di 28 micron, mentre gli impianti soltanto di 5 micron . Una forza
laterale applicata ad un dente naturale genera uno spostamento di 56-108 micron
mentre in un impianto di soli 10-50 micron comportando una maggior
concentrazione del carico sulla cresta dell’osso circostante. Haraldson e
Carlsson hanno stabilito che non esistono differenze significative tra le forze
occlusali cui sono sottoposti denti naturali e impianti protesizzati. Le
componenti assiali dei carichi occlusali della dentatura naturale variano da 200
a 2440 N, mentre quelle registrabili su impianti sono dell’ordine di 40-412 N.
In assenza di un apposito apparato ammortizzatore, gli impianti sopportano,
quindi, un carico proporzionalmente maggiore rispetto ai denti e, di
conseguenza, uno stress maggiore è trasmesso alle strutture ossee contigue. Partendo
da questi presupposti, autori quali Misch
elaborarono una concezione occlusale di “impianto protetto”, al fine di
favorire la longevità delle riabilitazioni implanto-protesiche, proteggendo da
carichi sfavorevoli l’interfaccia impianto-osso. Secondo questa concezione, in
un’occlusione mista, denti naturali e impianti, le corone protesiche su
impianti sono alleggerite dal carico occlusale (di 0,50-0,80 mm), carico che è
fatto ricadere maggiormente sui denti naturali adiacenti. La
maggiore forza occlusale applicata sui denti naturali ha il risultato di
intruderli, portandoli alla stessa altezza delle corone degli impianti e
realizzando così una più equa distribuzione del carico occlusale su denti e
impianti. D’altra
parte, altri autori hanno messo in dubbio che tale schema occlusale possa essere
stabile nel tempo, considerando la possibilità che hanno i denti naturali di
estrudere e di realizzare un contatto occlusale stoppante anche sugli impianti.
Altre ricerche in vivo
hanno tuttavia dimostrato che, clinicamente, non sarebbero indispensabili
adattamenti della mobilità tra denti e impianti, perché il letto implantare e
l’osso sono deformabili elasticamente, perciò la risposta a carichi
fisiologici (masticazione, deglutizione) si verifica in condizioni d'uguale deformazione elastica tanto da rendere ininfluenti le differenze
anatomiche tra
denti e impianti. Tale differenza avrebbe però importanza clinica alla presenza
di carichi patologici e, soprattutto, alla presenza di parafunzioni, laddove l’entità
dei carichi, la direzionalità e il periodo d’azione sono spesso fattori
incontrollati. Nelle
riabilitazioni implanto-protesiche bisogna comunque prevedere una distribuzione
delle forze masticatorie agli impianti e all’osso circostante il più
favorevole possibile.
Questo può essere fatto se si prevede che le forze occlusali siano concentrate
principalmente nella direzione degli assi implantari, riducendo al minimo le
forze laterali che creano dei momenti flettenti o di torsione. Per seguire
questa finalità occorre fare in modo che: lo stop centrico del dente
artificiale sostenuto da un impianto si trovi nella fossa centrale, oppure il
pilastro implantare si trovi al di sotto di una cuspide di centrica; l’impianto
sia posto in continuità con il vettore di forza dell’antagonista; l’ampiezza
della superficie masticatoria sia ridotta e i contatti occlusali siano
localizzati all’interno del diametro traverso dell’impianto; l’altezza
delle cuspidi protesiche sia ridotta al fine di diminuire i bracci di
leva. D’altra parte, è risaputo che, soprattutto nei distretti
latero-posteriori, la superficie radicolare di un impianto è inferiore rispetto
a quella dell’elemento dentale da sostituire; quindi, la “premolarizzazione”
degli elementi protesici si rende necessaria al fine di evitare sovraccarichi
dovuti a momenti flettenti, soprattutto quando ci si trova in condizioni di
spessore osseo perimplantare ridotto e quando il rapporto corona-radice
implantare non è favorevole : la distanza verticale tra la porzione
terminale dell’impianto e la superficie occlusale è un fattore che va
attentamente valutato in relazione alla lunghezza della fixture. Si
viene a costituire, infatti, una leva, nella quale l’aumento dell’altezza
della struttura protesica rappresenta l’aumento del braccio della potenza,
mentre la lunghezza della fixture osteointegrata rappresenta il braccio della
resistenza. A parità di carico, l’incremento della lunghezza della fixture
sottoporrà l'osso ad un minore stress con una migliore distribuzione del
carico. Per evitare sovraccarichi implantari e momenti flettenti indesiderati,
sarebbe buona regola evitare l’esecuzione di cantilever protesici, inteso
com'eccessivo off-set dlinguo-vestibolare delle corone su impianti. Quest’ultima
eventualità è la diretta conseguenza di un posizionamento scorretto dell’impianto,
che risulta eccessivamente lingualizzato in seguito al riassorbimento osseo
vestibolare post-estrattivo. Rinunciare
a tecniche rigenerative esita nella necessità di compensare protesicamente la
posizione eccentrica dell’impianto con flange vestibolari che ampliano la
superficie occlusale trasversalmente. Le
estensioni occlusali, oltre a rappresentare un ostacolo all’igiene orale, sono
origine di forze non assiali che gravano sulla superficie implantare con
conseguenze imprevedibili, specie nella riabilitazione del dente singolo. Per
quanto riguarda le estensioni dentali complete, nonostante la protesi su
impianti le abbia sempre previste soprattutto nei disegni tradizionali della
scuola svedese, e nonostante esista una fiorente letteratura che ha cercato di
razionalizzare la loro posizione e lunghezza (da 3 fino a 28 mm), esistono
studi che associano la presenza di cantilever alla progressiva perdita
d'osso perimplantare e studi clinici che consigliano, per la sopravvivenza delle
protesi su impianti, di utilizzare estensioni di lunghezza e larghezza minima
per non sovraccaricare occlusalmente gli impianti onde evitare fenomeni di
perdita dell’osteointegrazione. Uno
studio di Skalak suggeriva che la resina occlusale può fungere da
ammortizzatore delle forze d'impatto e, quindi, ridurre le sollecitazioni all’osso
sottostante. Altri autori hanno successivamente sostenuto la funzione
positiva di “stress-absorber” esplicato dalla resina a livello occlusale.
Studi successivi, pur confermando che le superfici in resina, in modelli
sperimentali in vitro, possono ridurre anche della metà le forze d'impatto
occlusali, hanno però messo in dubbio che tali risultati abbiano una reale
valenza in vivo. Il problema che presenta il maggior impatto clinico è,
probabilmente, la precisione d'accoppiamento fra travata protesica e impianti,
ossia il suo alloggiamento completamente passivo. La scarsa precisione di
fitting implanto-protesico crea stress a livello dell’interfaccia
impianto-osso, con un carico disomogeneo a livello dei pilastri implantari. Queste
forze anomale sono di tipo statico, ossia agiscono quando gli impianti non sono
caricati occlusalmente e quindi, mantengono uno stato di sollecitazione abnorme
e prolungato nel tempo. Inoltre, sono anche responsabili di fratture della
struttura metallica o delle viti di fissaggio o del loro allentamento.
Il problema del fitting passivo è maggiormente presente nelle protesi avvitate
rispetto a quelle cementate perché la forza di tiraggio delle viti, utilizzato
per far combaciare le superfici non competenti della protesi con l’impianto,
genera questa tensione continua. Risulta, quindi, fondamentale accertarsi della
completa passività della struttura protesica durante il suo alloggiamento. L’ideale
sarebbe poter usufruire di una protesi fatta con lo stesso materiale dell’impianto
e fissata per cementazione con un cemento della stessa natura tanto dell’impianto
che della protesi.
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MATERIALI E BIOCOMPATIBILITA’
I
materiali più usati in implantologia possono essere suddivisi
in tre distinti gruppi: metallici, metallici
rivestiti, non metallici.
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MATERIALI METALLICI Tra
i materiali metallici annoveriamo: acciaio, tantalio, titanio, oro e leghe a
base di cobalto cromo molibdeno o titaniocromo. L’acciaio
inossidabile VA extra (Krupp), Incrol D e Stainless D, si è dimostrato
perfettamente inerte, a differenza d'altri acciai eterogenei che, subendo un
processo di corrosione superficiale, cioè mettendo in libertà sali, hanno un
effetto citotossico sui tessuti con cui vengono a contatto. I pregi dell’acciaio
sono: un discreto peso specifico, una buona resistenza alla compressione, alla
flessione ed alla trazione. Tra
i difetti annoveriamo un modulo d'elasticità eccessivamente alta e le
proprietà magnetiche. Il
tantalio è un metallo scoperto nel 1902 dallo svedese Ekeberg. Sulla sua
bioinerzia esistono pareri discordanti. Alcuni
ricercatori (White, Preston, Schlaeffer) lo ritengono inerte, altri (Odiette e
Monegaux) hanno dimostrato una lieve citotossicità. Ha un peso specifico doppio
rispetto all’acciaio, ma ha caratteristiche di durezza, duttilità e
resistenza alla trazione, che lo rendono estremamente interessante quando si
debbano costruire manufatti di piccolissime dimensioni (fili, aghi,
miniplacche). Il
titanio è un metallo che possiamo trovare in diverse configurazioni: titanio
alfa, titanio beta, titanio alfa-beta e titanio C.P. (commercialmente puro).
Quest’ultimo è il più usato in implantologia. I pregi del titanio sono,
oltre alla mancanza di citotossicità, una buona resistenza ai carichi, un
modulo d'elasticità simile a quello delle ossa umane, l’amagnetismo, una
bassa conduttività elettrica e termica, una quasi immediata passivazione che
gli conferisce qualità di superficie sovrapponibili a quelle dei materiali
ceramici. Un'altra
importante caratteristica è che consente di effettuare saldature endorali. Per
queste caratteristiche in quest'ultimo trentennio si è avuto un incremento del
suo uso in campo implantare.
BIOCERAMICHE
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Tra i materiali non
metallici comunemente usati in implantologia troviamo le bioceramiche : biovetro,
apatite, idrossiapatite, allumina, zircone ittriato. Le
bioceramiche sono caratterizzate da una grande stabilità chimico-fisica,
isolamento termico ed elettrico, elevata durezza superficiale, resistenza alla
compressione, bassa resistenza alla trazione e fragilità alla flessione, il
loro uso, nell'ambito medicale, si può avere in campo odontoiatrico,
implantologico, e ortopedico. Il
biovetro e l’idrossiapatite sono utilizzate ancora oggi come rivestimento su
un core in titanio, mentre l'allumina e lo zircone ittriato sono usati come
fixture. Biovetro I biovetri sono
stati i primi materiali bioattivi ai quali è stata riconosciuta la capacità di
formare legami chimici con l'osso. Essi
sostituiscono una parte della silice dei vetri convenzionali con calcio, fosforo
e sodio, tutti componenti dell'osso naturale. Non sono tossici,
flogogeni né allergizzanti, possono presentare il problema di indurre una
crescita ossea veloce e, quindi, caotica. Sono costituiti da silico-fosfati con
introduzione di ossidi alcalini; una componente sempre presente è l’ossido di
silice (in percentuale tra 30 e 55%), altri componenti maggiori sono l'ossido di
sodio (da 0 a 30%), l'ossido di calcio (da 0 a 33%), fosfato (da 0 a 7%). L’uso dei biovetri
per impianti dentali ha fornito dei risultati deludenti a causa della bassa
resistenza alla flessione; sono stati ottenuti invece buoni risultati quando
utilizzati come rivestimento di impianti metallici. Apatiti
Si
trovano in natura come costituenti delle rocce vulcaniche, nello scheletro di
alcuni coralli, nello scheletro e nello smalto dei mammiferi. Nell’osso maturo
svolgono una funzione di tipo meccanico, di stabilità strutturale dello
scheletro ed una funzione metabolica quale deposito per calcio, fosfati
inorganici, sodio, magnesio. Sono
dei composti con formula chimica :
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A = catione alcalino terroso (Ca, Sr, Ba)
X = sostituente caratterizzante il tipo di apatite Il catione
normalmente è il Ca, X può essere
: OH (idrossiapatite), F (Fluoropatite),
Cl (clorapatite), ½
CO2 (carbonatoapatite). Idrossiapatite.
E' l’idrato del
fosfato di calcio, può anche essere considerata come monoidrossifosfato di
pentacalcio. Le percentuali dei vari elementi sono : Ca = 39,89 % ,
H = 0,2 %, O = 41,4 %,
P = 18,5 %. I fosfati di calcio
posseggono proprietà definita osteofilia o osteoconduttività. Tali materiali
costituiscono una impalcatura che fa da guida alla crescita di neotessuto osseo
con caratteristiche biologiche ed istologiche, proprie della normale fisiologia
del tessuto. Tutti i biomateriali
di fosfato di calcio possono essere classificati come ceramiche policristalline
dal momento che la loro struttura deriva da cristalli singoli di una sostanza
altamente ossidata, che sono stati fusi mediante un processo chiamato
sinterizzazione. Le bioceramiche di fosfato di calcio in commercio possono
presentare una struttura compatta o porosa. Quelle porose, sono
simili all'osso spugnoso, con porosità regolari, costituendo un’impalcatura
guida valida ed omogenea per la neocrescita ossea. In implantologia
dentale, date le sue scarse proprietà meccaniche, l’idrossiapatite viene
utilizzata come rivestimento di impianti in titanio. La tecnica di rivestimento
maggiormente utilizzata è il plasma-spray. Allumina
Si tratta di un
composto stabile ed inerte, che non manifesta alcuna interazione con i tessuti
biologici può presentarsi in forma monocristallina o poli cristallina.
E' generalmente
utilizzata in ortopedia per le protesi d'anca. Ha una buona
biocompatibilità, un’alta resistenza all’usura ed alla compressione, ma ha
un modulo di elasticità molto basso con un alto rischio di fratture. Gli impianti dentali
in allumina, dovrebbero avere un diametro minimo di 4,75 mm. L’allumina si
ottiene dalla bauxite Al(OH)3 nella reazione: 2Al(OH)3
à
Al2O3 + 3H2O + calore
Zircone ittriato Lo zirconio
parzialmente stabilizzato con ittrio è una ceramica policristallina il cui
utilizzo nell’implantologia dentale è ancora in fase di studio. Possiede un’alta
resistenza alla frattura in virtù della sua capacità di assorbire energia
durante la trasformazione martensitica dalla fase tetragonale a quella
monoclinica. E' un materiale biocompatibile, policristallino, prodotto mediante
sinterizzazione. La
polvere di ossido di zirconio è compattata e sottoposta ad un trattamento con
calore seguito da un secondo ciclo termico. La ceramica prodotta è poi lavorata
e pulita, quindi uniformemente mescolata con ossido di ittrio per favorirne la
stabilizzazione dei cristalli di ossido di zirconio per poter essere utilizzata
come fixture. -
Le proprietà salienti
di questi materiali sono l'amagneticità, la cattiva conduzione elettrica e
termica, il basso peso specifico, un’ottimaresistenza alla compressione;
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Per ovviare a questo
limite, sono stati introdotti i materiali metallici rivestiti. Il più usato per
le sue ottime caratteristiche di base è il titanio rivestito di idrossiapatite.
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IL TITANIO
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Il
titanio è un elemento largamente presente in natura sotto forma di ossidi ed è
contenuto in diversi minerali. È addirittura il nono elemento in ordine di
diffusione ed il quarto tra i metalli per abbondanza, preceduto solo dall’alluminio,
dal ferro e dal magnesio. Ciò nonostante la sua estrazione, alquanto
-
I
principali minerali dai quali è possibile estrarre il titanio sono il rutilo
(TiO2) e l’ilmenite (FeTiO3). La prima fase di produzione consiste nella
trasformazione del minerale in tetracloruro di titanio e nella sua successiva
riduzione in tetracloruro di magnesio (processo Kroll) o di sodio (processo
Hunter). Il
metallo prodotto si presenta in forma d'agglomerato detto “spugna” o “granuli”
che sono separati dai sottoprodotti mediante lisciviazione o distillazione sotto
vuoto. Successivamente il metallo grezzo è -
Caratteristiche
del titanio : A
temperatura ambiente, il titanio presenta una struttura esagonale compatta
chiamata fase " a " che
si trasforma in fase " b " cioè in struttura cubica a corpo centrato
oltre la soglia degli 882,5°C. Questa caratteristica influenza notevolmente l’intero
ciclo di lavorazione del titanio nel laboratorio odontotecnico. (Fig.Tp1) Il
titanio è da sempre famoso per la sua biocompatibilità ovvero per la sua gran
resistenza alla corrosione, inoltre è l’unico a presentare una corrosione del
tutto insignificante e ciò grazie al fenomeno della passivazione con la quale
le sue superfici sono rapidamente ricoperte da una sottilissima pellicola
d'ossido che isola il metallo dall’ambiente esterno. Per
questa sua peculiarità, il titanio è molto ben tollerato sia dal tessuto osseo
sia dai tessuti molli dell’organismo, presenta un livello di tossicità
estremamente basso e non produce allergie. Poiché
il titanio cosiddetto “commercialmente puro” contiene comunque delle
impurità, è stata creata dall’ASTM (American Society for Testing and
Materials) una classificazione in 4
gruppi detti rispettivamente grado 1, grado 2, grado 3 e grado
4. Per ciascuno di questi gruppi è stato definito il contenuto massimo d'azoto,
carbonio, idrogeno ossigeno e ferro nonché i valori minimi d'alcune
caratteristiche meccaniche (Tabella Tp1; Tp2; Tp3). Vantaggi
offerti dal titanio :
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L’assoluta
biocompatibilità: sono stati condotti vari test per quantificare l’eventuale
perdita di metallo per effetto elettrochimico in soluzioni fisiologiche. In
nessun caso è stata osservata distruzione di tessuto nelle zone contenenti
titanio. Esperimenti
molto accurati hanno dimostrato l’assoluta biocompatibilità del titanio a
confronto con altri metalli. L’uso
del titanio come materiale nelle riabilitazioni protesiche è ormai una realtà
consolidata. Il titanio è l’unico elemento puro con cui è possibile la
realizzazione di ponti, corone, intarsi, sovrastrutture, scheletrati ed
impianti. Il
paziente può essere cioè “trattato” utilizzando un solo metallo,
eliminando le possibili reazioni chimico-fisiche che molto frequentemente
accadono quando, nel cavo orale, sono presenti elementi diversi. L’armonia dei
materiali utilizzati, l’impianto in titanio da un lato e la sovrastruttura
sempre in titanio dall’altro, assicura la massima biocompatibilità. Fra
le leghe per protesi dentarie, il titanio è nettamente il metallo più leggero.
Con un peso specifico di soli 4,5gr/cm³, una struttura in titanio è quattro
volte più leggera di un'identica in lega aurea. È quindi possibile costruire
protesi che il paziente quasi non avverte. La
cosa che più meraviglia l’odontoiatra è l’assenza di tensioni e quindi la
gran precisione presentata dalle strutture in titanio. La bassissima contrazione
di questo metallo è all’origine dell’estrema precisione mostrata da corone
e ponti. È
possibile ottenere una gran precisione di chiusura a livello cervicale, che per
il paziente si traduce in una protesi completamente integrata e molto
confortevole. La bassa durezza delle superfici: le superfici delle fusioni in
titanio presentano una durezza Vickers di 210 N/mm², paragonabile, quindi, a
quella di una normale lega aurea. Ciò significa mantenere le proprie abitudini
per ciò che concerne la fase di tiratura delle strutture in titanio,
utilizzando gli strumenti consueti. La
bassa conducibilità termica: con un valore di 22 Wm-1K-1 il titanio presenta
una conduttività termica 3,2 volte inferiore a quella delle leghe in CrCo e
addirittura 13,5 volte inferiore a quella dell’oro. Ciò permette di evitare l’irritazione
della polpa dentale, possibile invece con altre leghe.
-
Il
paziente può quindi gustare bevande e cibi caldi o freddi senza accusare il
disagio di sbalzi troppo elevati di temperatura. L’assoluta mancanza di
sapore: il sapore dei cibi o delle bevande assunte dal paziente non viene in
alcun modo alterato dalla presenza in bocca di questo metallo.
-
Massima
adattabilità alle differenti metodiche protesiche poiché il fine ultimo dell’atto
odontoiatrico è restituire alla sua funzione l’apparato stomatognatico, sono
state studiate innumerevoli soluzioni protesiche per risolvere altrettanto
diverse soluzioni. Per questo motivo l’impianto ideale dovrebbe adattarsi sia
a casi di monoedentulismo sia a casi d'edentulia totale, comprendendo tra queste
due forme di patologia, le infinite combinazioni intermedie e rispettando i
canoni di cosmesi dentale e gnatologica. Ci serviremo, per ottenere lo scopo, di
protesizzazioni inamovibili, amovibili, oppure miste, e ciascuna di queste
soluzioni avrà necessità di supporti idoneamente differenziati. Parliamo delle
mesostrutture indispensabili per distribuire uniformemente sugli impianti le
forze masticatorie, oppure per ottenere semplicemente il parallelismo dei pivot.
Ideale è un impianto che ci offra un pivot di ridotte dimensioni, e facilmente
adattabile, cioè secondo le esigenze, si possa ridurre con una normale fresa,
sia diamantata sia al carburo di tungsteno, che si possa parallelizzare anche
solo piegandolo, senza però perdere la qualità di resistenza, che si possa
saldare o unire meccanicamente, per la formazione delle mesostrutture di
sostegno. Avendo queste possibilità, il successivo impegno protesico risulterà
più facile e saremo in grado di offrire al paziente un lavoro semplice, robusto
e funzionalmente idoneo. Il Titanio negli impianti
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Gli
standard attuali prevedono che la superficie del titanio sia lavorata e
decontaminata. Particolare cura è posta nella progettazione del punto
d'emergenza degli impianti, dove deve essere preparata la connessione della
protesi. Questa zona è spostata ora sotto ora sopra la corticale ossea, a volte
è spostata ben sopra il margine gengivale, forse seguendo quella che appare una
moda del momento. -
In
effetti non è così, perché gli autori ed i progettisti si avvalgono di una
serie d'esperienze e di studi a livello microscopico, microbiochimico,
macromolecolare, che di tanto in tanto sconvolgono tutto quello che si riteneva
fino ad allora si riteneva giusto.
In realtà sappiamo che in medicina e chirurgia non esiste niente di assoluto, e
la verità scivola fra le dita come l’acqua del mare. -
Vediamo
allora quali sono i capisaldi che appaiono tuttora incontrovertibili.
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I
primi impianti in titanio, una volta che si erano abbandonati (ma non del tutto)
tutti gli altri materiali, erano lisci all’esame obbiettivo. Visto che erano
ottenuti per fresatura e tornitura di barre prefuse di metallo, erano chiamati
“as Machined” (Fig. T1
Impianto as Machined). Una
volta che è stato stabilito che è proprio all’interfaccia fra titanio ed
osso che, a livello microstrutturale, avviene un'integrazione, le ricerche sono
state indirizzate verso il miglioramento di quest'integrazione, mediante l’aumento
della superficie d'interfaccia. -
Ma non era solo quello il problema, in quanto il titanio è un metallo molto reattivo e facilmente contaminabile da qualsiasi agente sia microbico che d'altra natura. Oltretutto la sua robustezza dipende in maniera determinante dall'integrità, o quantomeno dalla situazione micromeccanica, della superficie. Questo implica che gli esiti della meccanizzazione devono assolutamente essere rimossi o compattati altrimenti ne deriverebbe una mancata sintesi, nella zona interessata, con le strutture biologiche dell’osso. I
primi tentativi d'irruvidimento della superficie degli impianti sono stati fatti
mediante la sabbiatura degli stessi. Questa tecnica è detta “sottrattiva”,
(Fig.T2) in quanto le particelle sparate ad alta velocità impattano la
superficie e ne asportano microparticelle.
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Anche
quì esistono molti problemi, derivanti dalla natura delle particelle usate per
la sabbiatura, come anche dalla loro dimensione.
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Infatti
ossidi metallici che dovessero intervenire ed influenzare la superficie dell’impianto,
si è visto che danneggiano la capacità d'osteointegrazione dello stesso.
Clamoroso il caso determinato dall’uso di sferette d'alluminio che
comportarono l’incorporazione d'ossido d'alluminio sulla superficie degli
impianti, e da qui l’immediato trasferimento delle particelle nel sistema
reticolo-endoteliale degli impiantati.
-
In
ogni caso la tecnica sottrattiva, magari implementata con la mordenzatura acida
della superficie corrugata, presenta sempre vantaggi di tipo biologico (migliore
controllo delle contaminazioni) rispetto al metodo additivo, mediante il quale
materiali disparati sono fusi sulla superficie della vite.
-
La
tecnica più usata è il plasma spray, mediante la quale un gas nobile è scisso
in ioni ad alta temperatura. Le particelle da saldare alla superficie sono
veicolate da un ugello e da un altro gas intorno ai 15-20.000 C°.
-
Il
problema di questa tecnica è il cattivo controllo delle contaminazioni e la
possibilità che dalla superficie dell’impianto avvenga distacco di particelle
oltre che diffusione di ioni metallici.
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Un’altro
aspetto molto dibattuto, ed il dibattito è ancora accesissimo ed in corso,
riguarda la stratificazione di altri materiali diversi dal titanio. -
In un famoso congresso mondiale tenuto a Toronto nel 1987, Albrektsson, Carlsson et al. misero in guardia la comunità scientifica circa l’uso di idrossiapatite ed i suoi derivati per rivestire gli impianti. Infatti
i loro studi tendevano ad affermare che: "era possibile la progressione
batterica lungo le fratture del rivestimento di idrossiapatite, e questo
rivestimento non si rivela stabile nel tempo, potendo trasformarsi rapidamente
in fosfato tricalcico rapidamente riassorbito". -
In
realtà gli impianti rivestiti di questa maniera s'integravano immediatamente,
facilitati dalla presenza di calcitite ed altro, ma poi la percentuale
d'insuccessi poteva diventare intollerabile nel tempo.
-
Ogni casa costruttrice ha imposto un suo nome al procedimento di messa a punto dell'interfaccia impianto-osso, e questo ha contribuito a peggiorare notevolmente il disordine merceologico. Lungi dal poter essere esaustivi, passiamo ora ad illustrare alcuni esempi che possono fungere da guida comparativa. Shoot
peening.
-
Messo
a punto all’Università di Catalunia dal prof. Xavier Gil Mur, è un sistema
interessantissimo con il quale vogliamo illustrare come sono state affrontate
alcune problematiche non di poco conto.
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Abbiamo
già affermato che la superficie macchinata degli impianti risulta piena
d'imperfezioni, fessure, fratture.
-
Queste
sono la causa dei distacchi delle particelle e della cattiva integrazione di
alcune zone degli impianti ma, fatto ancora più importante, sono le zone dalle
quali partono le fratture da stress che determinano gli insuccessi degli
impianti a lungo termine.
-
In
pratica i cicli masticatori stressano la struttura degli impianti, ed il lavoro
maggiore è concentrato lungo le faglie attraverso le quali lo sforzo non può
essere trasmesso in maniera uniforme lungo la struttura del metallo.
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Per
ovviare a questo si è visto che il bombardamento della superficie dell’impianto
con microsfere di vetro di dimensioni controllate produceva un compattamento
della superficie, che cessava di presentare così i minus che potevano produrre
spiacevoli inconvenienti. In aggiunta a ciò formava tutta una serie
-
Nella
Fig.T3 vediamo l’esito di una
prova di trazione sull’osso all’avvenuta integrazione dell’impianto
trattato con lo shoot peening, nella Fig. T4 la superficie come appare dopo il
trattamento.
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La
superficie, per completare il trattamento, è stata poi mordenzata con acido
fluoridrico ed acido nitrico per eliminare le asperità che avrebbero potuto
provocare un risentimento da parte delle strutture biologiche coinvolte nella
riparazione cicatriziale post-intervento.
-
Tioblast
. -
Appare
evidente dall’illustrazioni (Fig. T5;T6;T7;T8;T9) che la tecnica Tioblast si
avvale anch’essa di una metodica ablativa oltre che compattativa. Questa
tecnica consiste in un procedimento volto a migliorare le caratteristiche del
titanio mediante sabbiatura
realizzata con granuli di biossido di titanio in condizioni controllate,
producendo una deformazione plastica della superficie e creando degli
avvallamenti di forma e dimensioni regolari (1-5 micron).
-
Visto
che questo è un procedimento trade mark d'Astra, non ci stupirà il ritrovarlo,
magari con poche differenze di poca sostanza, sotto altro nome e sotto altri
marchi, sostanzialmente immutato. Comunque è annunciata una forza
d'interconnessione tra osso ed impianto tre volte superiore a quella che si
ottiene con un impianto standard, con un aumento della superficie di circa il
15%.
-
Osseotite
-
Anche
questo termine è un marchio registrato. Questa volta la differenza nasce dal
fatto che la superficie dell’impianto (Fig.T10) è
mordenzata con (HCI/H2SO4).
-
Da notare che il termine potrebbe anche trarre in inganno, visto che ci si potrebbe aspettare, dato il nome, una superficie ricoperta d'osso o materiali simili e non una superficie trattata con acidi mordenzanti. Nella
Fig. T13 vediamo qual è il risultato finale del trattamento sull’impianto. -
Uno studio al microscopio illustra quali sono le condizioni della superficie degli impianti sottoposti a tre diversi trattamenti, in modo da dimostrare che quest'uso di due diversi acidi crea una superficie più uniforme, ed i risultati sono nelle immagini (Fig. T11 Sabbiatura ; Fig.T12 HFNO3 ; Fig.T13 Osseotite) Nel
confronto con le tre metodiche diverse: si notano in Fig.T11
la presenza di crateri, In Fig.T12 la
superficie ottenuta con HFNO3 ;
In Fig.T13 si evidenzia la superficie uniformemente rugosa ottenuta
con HCI/H2SO4. superficie
che prende il nome d'Osseotite.
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Laser -
Con
il laser ad eccimeri è possibile incidere la superficie del titanio per
ottenere una rugosità mirata. Questa tecnica permette di avere una superficie
controllata con microritenzioni calibrate quali non possono ottenersi con le
tecniche plasma spray e sabbiatura. (Fig.T14;T15;T16) La
regolarità della superficie ottenuta non ha confronto con le altre tecniche,
anche se resta da vedere se il procedimento ha una validità merceologica oltre
che biologica (costo-beneficio).
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Calcitite
(idrossiapatite)
-
Questo
poterebbe essere un capitolo controverso, ma è in linea con quanto riportato da
Albrektsson, Carlsson, Weinlander, Johson, Krauser, Rams et Al.
-
Spiekermann,
molto direttamente afferma che, rispetto agli impianti in titanio puro, la
stratificazione con idrossiapatite sembra determinare un'accelerata guarigione
ossea sia un generale miglioramento dei rapporti di contatto con l’osso
circostante. Moltissime ricerche dimostrano che questo tipo di stratificazione
dà buoni risultati in un lasso di tempo di 5 anni, con una percentuale di
successo del 95%. -
Ma
dal 92 si consiglia una certa attenzione nella loro utilizzazione clinica in
quanto, anche se gli impianti stratificati con idrossiapatite per la loro
superficie bioreattiva determinano una più veloce guarigione ossea, tale
superficie ha un effetto negativo a medio e lungo termine proprio per la sua
bioreattività che ne determina un'instabilità.
-
Su
impianti così confezionati ed espiantati sono state osservate fratture e
perdita totale del rivestimento nonché aumento della colonizzazione da parte
dei microrganismi del cavo orale.
-
TESSUTO OSSEO
Tessuto
osseo è caratterizzato da un elevato contenuto di sali minerali e strutturato
in modo da risultare compatto e resistente e, al tempo stesso, leggero; è
considerato un tipo di tessuto connettivo, per la sua organizzazione basata su
cellule disperse in un’abbondante sostanza intercellulare (matrice); si forma
da uno scheletro cartilagineo attraverso un processo detto ossificazione, e
forma organi rigidi, le ossa, che svolgono funzioni di sostegno e
movimento. Il tessuto osseo è
formato da cellule, gli osteociti, disperse in una matrice intercellulare in cui
è presente una notevole quantità di fibre collagene (si considera almeno il
20% del peso secco), e inoltre glicoproteine (macromolecole organiche composte
di proteine legate a zuccheri) e mucopolisaccaridi (complessi polimeri derivati
da zuccheri semplici). Nella matrice vi è
anche una componente inorganica, costituita da sali minerali, principalmente
fosfato di calcio e carbonato di calcio (che nell’adulto raggiungono il 60-65%
del peso secco del tessuto osseo). Per la presenza di
questi minerali, il tessuto osseo si definisce calcificato. Nel tessuto osseo
sono presenti anche altri tipi cellulari, gli osteoblasti, che rappresentano una
fase immatura degli osteociti, e gli osteoclasti, deputati al riassorbimento di
tessuto invecchiato. ISTOLOGIA
E FISIOLOGIA OSSEA -
Nell’embrione dei
mammiferi, uomo compreso, e in tutti gli altri vertebrati, le fibre collagene
della matrice intercellulare s'intrecciano o si dispongono in fasci che
decorrono paralleli (tessuto osseo non lamellare). Nei
mammiferi e nell’uomo adulti, invece, il tessuto osseo è organizzato in
lamelle, ovvero in piccole strutture appiattite nelle quali si dispongono le
cellule, le fibre collagene e la matrice intercellulare (tessuto osseo
lamellare). Queste lamelle
possono avere un diverso orientamento reciproco e, collegandosi tra loro,
costituire una struttura d'aspetto spugnoso (tessuto osseo spugnoso o
trabecolare); oppure, possono disporsi parallelamente, una accanto all’altra,
e formare una struttura compatta (tessuto osseo compatto). Nel tessuto osseo
compatto si distinguono strutture che, osservate in sezione trasversale,
appaiono di forma tondeggiante e formate da lamelle molto ravvicinate tra loro e
disposte in modo concentrico. Tali strutture prendono il nome di osteoni, e al
centro sono attraversate dai cosiddetti canali di Havers. Vi sono altri canali di
calibro inferiore, i canali di Volkmann, che attraversano il tessuto in modo
obliquo o trasversale, collegandosi in alcuni punti ai canali di Havers. Tra i
diversi osteoni, vi sono altri gruppi di lamelle, disposte in modo più
irregolare, che costituiscono il sistema interstiziale. Tra le lamelle, vi sono
anche lacune ossee, ossia cavità appiattite che si aprono tra fasci di lamelle.
Il sistema di canalicoli è attraversato da piccoli vasi sanguigni e da nervi e
permette la nutrizione delle cellule presenti nel tessuto osseo. Nel tessuto osseo
trabecolare o spugnoso, le lamelle sono disposte in modo da creare un reticolo
di trabecole, ricco di piccole cavità che danno al tessuto stesso l’aspetto
di una spugna. In questo caso non vi sono canali come quelli di Havers o di
Volkmann, pertanto la nutrizione del tessuto è affidata al sangue che scorre in
piccoli vasi nel rivestimento connettivale (endostio) che protegge le cavità
interne ossee. Il tessuto osseo
rappresenta il fondamentale costituente delle ossa, ovvero d'organi rigidi che
sostengono le diverse parti corporee e ne permettono il reciproco movimento, e
che proteggono gli organi interni; si trova anche nei denti, dei quali forma la
dentina e il cemento. Il tessuto osseo, inoltre, svolge un ruolo essenziale nell’omeostasi
del calcio, essendo il principale “serbatoio” dell’organismo in cui questo
minerale si accumula, e dal quale può essere rilasciato in condizioni di
necessità. Il tessuto osseo è
soggetto ad un continuo rinnovamento per tutta la vita dell’individuo, e in
tal modo riesce a adattarsi alle esigenze meccaniche dell’individuo: ad
esempio, in caso di frattura il tessuto si auto-ripara, oppure può irrobustirsi
nel caso che il soggetto pratichi attività agonistica e sottoponga il suo
scheletro a notevoli sollecitazioni meccaniche. Il rimaneggiamento del tessuto
osseo è necessario per il fatto che, con il passare del tempo, esso tende a
rilasciare il calcio e a divenire più fragile. Come risposta a stimoli
ormonali, e in particolare per effetto della calciotonina prodotta dalla tiroide
e del paratormone secreto dalle paratiroidi, il tessuto osseo riassorbe o
rilascia calcio dal sangue; gli osteoblasti ricostruiscono nuovo tessuto, mentre
gli osteoclasti degradano quello invecchiato. Durante il processo fisiologico d'invecchiamento, i delicati equilibri che regolano i processi omeostatici, e
quindi anche il processo di rimaneggiamento osseo, possono divenire meno
efficienti, causando, ad esempio, patologie come l’osteoporosi. Il processo di
formazione del tessuto osseo (ossificazione) avviene secondo due modalità:
ossificazione intramembranosa, o mesenchimale, e ossificazione endocondrale. Le
ossa piatte del cranio e una porzione della mandibola si formano direttamente,
nel corso dello sviluppo embrionale, da un tessuto embrionale detto mesenchima;
da questo si differenziano gli osteoblasti, i quali, dopo avere secreto la
matrice intercellulare, si differenziano a loro volta in cellule ossee mature,
gli osteociti. Alcuni osteoblasti divengono invece osteoclasti, cellule che nell’individuo
adulto sono coinvolte nel processo di rimaneggiamento del tessuto osseo. Il
processo d'ossificazione ha inizio in zone di mesenchima in cui le cellule
formano addensamenti (centri d'ossificazione) e sono riccamente irrorate da vasi
sanguigni. Alcune cellule non differenziate rimangono comunque anche nell’adulto,
a livello delle guaine di tessuto connettivo che rivestono le ossa (periostio ed
endostio), e possono differenziarsi in osteoblasti e osteociti, il che rende
possibile l’auto-riparazione delle fratture, ma anche l’insorgere di
processi tumorali d'ossificazione a carico d'altri tessuti, come le pareti delle
arterie.
-
MODALITÀ
E TEMPI DI GUARIGIONE
-
Secondo
tale modalità di ossificazione, il tessuto osseo si forma su un modello di
cartilagine, che viene in seguito distrutto e sostituito. L’ossificazione
endocondrale riguarda il tessuto osseo delle ossa degli arti, del bacino, della
base del cranio e della colonna vertebrale. Durante lo sviluppo fetale, nell’embrione
si formano ossa di cartilagine ialina. Nella parte centrale d'esse, si
differenzia un centro d'ossificazione, in cui le cellule cartilaginee (condrociti)
diventano ipertrofiche, cioè s'ingrandiscono, mentre nella matrice inizia la
deposizione di calcio; le cellule della cartilagine quindi degenerano, non
riuscendo più ad assorbire sostanze nutritive a causa della calcificazione del
tessuto, e lasciano spazi sempre più ampi. Nelle ossa lunghe, per il confluire
di cavità dovute alla degenerazione della cartilagine, si forma la cavità
midollare. La parte centrale dell’osso embrionale viene man mano invasa da
vasi sanguigni e da cordoni di tessuto connettivo, in cui vi sono cellule del
mesenchima dalle quali si differenziano gli osteoblasti. Questi depongono
matrice ossea, che progressivamente sostituisce il tessuto cartilagineo. L'inserimento
di un impianto deve essere considerato a tutti gli effetti come “un’aggressione”
all’integrità dell’organismo, che,
di conseguenza, reagirà secondo modi e tempi suoi propri individuali.
Addirittura l’osteointegrazione può rappresentare una sorta di reazione da
corpo estraneo, con la formazione
reattiva di una struttura ossea da
processo anchilotico con esclusione del ripristino del
legamento parodontale. Di
primaria importanza è il controllo del continuo ed adeguato raffreddamento del
tessuto esposto al fresaggio. La soglia per il danno all’osteocita è di 47°
C ed anche la sua densità gioca un ruolo importante. Qualora questa sia
elevata, la torque da usare dovrà essere molto piccola, mentre se questa è
bassa, osso friabile, il fresaggio dovrà essere molto accurato, per evitare
un'eccessivo allargamento del neo-alveolo, che comprometterebbe ritenzione
primaria dell’impianto. Il
modellamento, così come il rimodellamento e la riparazione, sono regolati da
fattori ormonali sistemici e da fattori locali che esercitano il loro effetto su
osteoclasti e osteoblasti, provocando: replicazione e differenziazione di
cellule indifferenziate, reclutamento di cellule, diversificazione delle
funzioni cellulari. I principali fattori locali sintetizzati dalle cellule
scheletriche includono: fattori di crescita, citochine e prostaglandine. I
fattori di crescita (growth factors, GFs) sono polipeptidi che regolano la
replicazione, la differenziazione, l'attività e la morte cellulare. Il tessuto
osseo è una ricca fonte di fattori di crescita, in grado di regolare la
formazione e il riassorbimento osseo. Tali fattori possono essere sintetizzati
dalle cellule ossee, sebbene alcune citochine siano secrete da cellule stromali
e da cellule del sistema immunitario ed emopoietico, poi messe in circolo nel
microambiente osseo di conseguenza i GFs esercitano il loro effetto su
cellule della stessa classe (fattori autocrini) o su cellule di classe diversa,
nell'ambito dello stesso tessuto (fattori paracrini) . I
GFs sono inoltre presenti nella circolazione sanguigna e possono agire come
regolatori sistemici del metabolismo scheletrico. La loro attività locale
risulta modulata da cambiamenti nella loro sintesi e concentrazione,
attivazione, relazione con recettori e proteine. Per capire come i fattori di
crescita intervengono nel processo di riparazione ossea, è necessario esaminare
il meccanismo della guarigione tessutale. La guarigione è un processo complesso
e dinamico che si conclude con il ripristino della continuità anatomica e
funzionale. Qualora si verifichi una lesione s'innesca una cascata d'eventi che
porta all'iniziale deposizione di fibrina e alla formazione di un coagulo
ematico. Le
piastrine rappresentano la componente più importante in questa fase iniziale.
Il reticolo di fibrina non solo intrappola le cellule sanguigne e arresta il
sanguinamento, ma lega anche vari fattori di crescita e citochine che promuovono
la risposta di guarigione. Nelle
prime ore le cellule che accorrono sono soprattutto neutrofili. Poi si
riscontrano prevalentemente macrofagi . In questa fase avviene la maggiore
attivazione di segnali chimici, rappresentati da citochine e fattori di crescita
(50). Si assiste infatti alla liberazione di numerosi GFs, tra cui PDGF (platelet-derived
growth factor) e TGFb (transforming growth factor beta). Questi GFs, per esempio, controllano l'afflusso di fibroblasti
nel sito ove si è verificata la lesione. Altri fattori di crescita coinvolti
nel processo possono essere le interleuchine, FGF (fibroblast growth factor),
TNFa (tumor necrosis factor lalfa), IGF (insulin-like growth factor), EGF (epidermal
growth factor). Dopo alcuni giorni si ottiene la riparazione del danno e la
riepitelizzazione (Diegelmann, 1997). Nel
caso della riparazione del tessuto osseo, le piastrine rilasciano numerosi
mediatori chimici, tra cui TGFb che, durante l'iniziale fase infiammatoria del
processo di guarigione ossea, dà inizio alla formazione del callo osseo. In
questo modo, alla fase di formazione dell'ematoma come immediata risposta alla
lesione, può seguire una fase di formazione intramembranosa e/o
un'ossificazione di tipo
endocondrale, con ricostituzione della continuità del
tessuto (Bostrom, 1998). Tali fenomeni includono complesse interazioni che si
stabiliscono tra numerosi fattori regolatori locali e sistemici, quali fattori
di crescita e differenziazione, ormoni, citochine, e componenti della matrice extra-cellulare . Vista la notevole importanza rivestita dai fattori di crescita
nei processi d'osteogenesi e riparazione ossea, in una prima parte esamineremo
le varie classi di GFs, delineando le loro caratteristiche principali. Sarà effettuata una revisione della letteratura con lo scopo
di riportare i recenti progressi della ricerca di base e della sperimentazione
clinica nell'utilizzo dei GFs per promuovere la guarigione e aumentare la
quantità di tessuto osseo nel caso che essa sia insufficiente. In una seconda
parte la trattazione si rivolgerà soprattutto all'ambito dei tessuti del cavo
orale, e in particolare all'impiego dei GFs nella rigenerazione parodontale. I
fattori di crescita e il loro ruolo nella riparazione ossea di polipeptidi che
si legano selettivamente al substrato che loro compete, con un'affinità
variabile. I
recettori per i GFs sono principalmente chinasi transmembranose, che agiscono
come segnali attraverso la formazione di complessi eteromerici, che comunicano
con il nucleo e regolano l'espressione di proteine determinanti per la funzione
cellulare. I
recettori per IGF, PDGF, FGF, EGF ed altri GFs appartengono al gruppo delle
tirosin chinasi. La
superfamiglia TGFb, incluse le BMPs (bone morphogenetic proteins), si lega
invece a serin-treonin chinasi.
La
superfamiglia TGFb, incluse le BMPs (bone morphogenetic proteins), si lega
invece a serin-treonin chinasi. -
Tutti
i fattori di crescita sono regolati da un meccanismo di feed-back, nel senso che
la quantità di fattore rilasciata influenza la produzione dello stesso in
maniera positiva o negativa, secondo le necessità -
Durante lo sviluppo, la concentrazione e la diversificata
espressione dei GFs determina la varietà e la molteplicità delle loro azioni.
I GFs hanno dimostrato di svolgere attività pleiotrofiche nella riparazione
tissutale di pressoché tutti i tessuti, compreso il parodonto. I principali mediatori chimici implicati nella guarigione ossea sono rappresentati dagli IGFs, dalla superfamiglia TGFb, dai FGFs, dai PDGFs, ma non bisogna dimenticare il ruolo d'altri GFs e citochine coinvolti, anche se in maniera minore, nel metabolismo osseo. -
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Per nessun motivo questi appunti possono venire utilizzati ne interpretati come dati medici con i quali formulare diagnosi ne cercare cure per potenziali pazienti. Le nozioni indicate possono risultare incomplete e anche INESATTE e non devono essere considerate in nessun modo come mezzi diagnostici "fai da te" perché potrebbero indurre a errori di interpretazione. Le diagnosi possono essere fatte solo da laureati in medicina abilitati alla professione medica o da specialisti delle varie materie. |