Matematici

Nicolò Fontana (detto Tartaglia)

Il triangolo di Tartaglia

La disputa tra Tartaglia e Cardano

 

Nicolò Fontana (detto Tartaglia)

I babilonesi e gli antichi greci erano in grado di risolvere equazioni, e alla fine del periodo classico greco-romano si sapeva come risolvere alcune equazioni quadratiche, cioè equazioni in cui il termine di grado più elevato è ax2. Ma non si conosceva nessun metodo generale per risolvere tali equazioni, e nessuno era in grado di risolvere equazioni di grado più elevato (cioè con potenze di esponente superiore a 2: per esempio, equazioni contenenti un termine ax3).

La parola «algebra» deriva dalle prime due del titolo arabo di un libro scritto intorno all'825 a Baghdad: Al-jabr w'al-muqabala, di Muhammad ibn Musa al-Khuwarizmi. In questo libro - il primo importante sull'algebra - al-Khuwarizmi proponeva metodi di soluzione generali per le equazioni quadratiche. Nella notazione di Cartesio che si usa oggi, tali equazioni sono scritte nella forma generale:

ax2 + bx + c = 0

e ogni studente di scuola superiore conosce la formula generale che fornisce le due radici, o soluzioni.

Tuttavia nessuno sapeva come si potesse risolvere un'equazione di terzo grado:

ax3 + bx2 + cx + d = O

Questo rimase un mistero per altri sette secoli dopo al-Khuwarizmi, finché quattro italiani, in competizione fra loro, cercarono di venirne a capo.

Chi erano questi italiani impegnati nello sviluppo dell'algebra? Erano quattro matematici vissuti nel Cinquecento nell'Italia settentrionale, che Cartesio aveva visitato nel suo viaggio del 1623-24.

Niccolo Fontana (1499-1557), noto come Tartaglia, nacque a Brescia, allora parte della repubblica di Venezia, nel 1499. Orfano di padre, a tredici anni, nel 1512, rischiò di morire quando le forze francesi saccheggiarono la sua città e uccisero molti bresciani. Il ragazzo fu ferito gravemente al viso da un colpo di sciabola che gli tagliò la mascella e il palato, ma sua madre lo trovò e lo curò fino alla guarigione. Da adulto si fece crescere la barba per nascondere le cicatrici, ma riusciva a parlare soltanto con difficoltà, e questo gli procurò il soprannome di Tartaglia.

Tartaglia era un autodidatta in fatto di matematica. Ma, essendo straordinariamente abile, si guadagnava da vivere insegnando questa disciplina a Verona e a Venezia. Come insegnante, si fece una reputazione partecipando con successo a molte competizioni pubbliche.

A quanto si sa, il primo nella storia che sia riuscito a risolvere le equazioni cubiche era stato Scipione del Ferro (1465-1526), professore di matematica all'Università di Bologna. Non è noto come del Ferro sia giunto alla sua sorprendente scoperta, che non pubblicò e non divulgò a nessuno finché non fu sul letto di morte. A quel punto trasmise il segreto a un suo mediocre studente, Antonio Maria Fior. Poco tempo dopo si sparse la voce che Fior era in grado di risolvere le equazioni di terzo grado, il che era considerato un grande risultato dal momento che nessuno ci era mai riuscito, nonostante molti secoli di tentativi.

Il 22 febbraio del 1535 Tartaglia accettò la disfida matematica lanciata da Fior. Ognuno doveva proporre trenta problemi che sarebbe toccato all'altro risolvere. A quell'epoca, chi vinceva una simile competizione poteva aspettarsi di ricavarne denaro, prestigio e a volte una cattedra all'università.

Fior era sicuro che la sua capacità di risolvere equazioni cubiche sarebbe stata sufficiente a sconfiggere Tartaglia, ma del Ferro aveva mostrato a Fior come risolvere soltanto un tipo di equazione cubica, della semplice forma x3 = ax + b (in cui, cioè, il coefficiente di x3 è 1, e non c'è il termine in x2), e Fior si trovò impreparato dinanzi ai problemi che gli pose Tartaglia. Anche Fior propose a Tartaglia trenta problemi, certo che l'avversario non sarebbe riuscito a risolverli. Ma Tartaglia, nelle prime ore del 13 febbraio 1535, aveva scoperto un metodo generale per la soluzione delle equazioni cubiche - cioè equazioni del tipo assai generale: ax3 + bx2 + cx + d = 0 e fu in grado di risolvere in meno di due ore tutti i problemi di Fior. A tutti i presenti fu chiaro che Tartaglia era il vincitore della disfida.

A questo punto entra in scena un altro scienziato italiano, Gerolamo Cardano (1501-1576), medico e docente di matematica alle Scuole Piattine di Milano. Cardano era ben consapevole dell'importanza della soluzione delle equazioni cubiche e, quando sentì parlare della disfida avvenuta a Venezia, cercò di scoprire il segreto di Tartaglia, ma non ebbe successo. Qualche anno dopo, nel 1539, prese contatto con Tartaglia tramite un intermediario, dicendo al collega bresciano che voleva includere il suo metodo di soluzione delle equazioni cubiche in un libro che stava progettando di pubblicare quell'anno. Tartaglia declinò l'offerta, affermando che voleva pubblicare un proprio libro. Allora Cardano gli chiese se gli sarebbe dispiaciuto di mostrargli comunque il suo metodo, promettendo che lo avrebbe mantenuto segreto. Tartaglia di nuovo rifiutò.

Cardano non si arrese, e questa volta scrisse a Tartaglia di aver discusso della sua ingegnosità con il governatore militare di Milano, Alfonso d'Avalos, che era uno dei suoi potenti protettori. Tartaglia abboccò: era un insegnante di matematica malpagato e la prospettiva di conoscere un personaggio influente e ricco che potesse aiutarlo lo attirava. Così accettò l'invito di Cardano, che gli prometteva di combinare un incontro a casa sua con d'Avalos.

Il 25 marzo 1539 Tartaglia partì da Venezia per Milano. Quando fu a casa di Cardano, scoprì con costernazione che d'Avalos non era lì come gli era stato promesso. Cardano, però, gli offrì cibo e vino e tentò in ogni modo di convincerlo a rivelare il suo segreto. A tarda notte, dopo abbondanti libagioni e dopo che Cardano gli ebbe giurato che non avrebbe mai divulgato il segreto, Tartaglia gli svelò la sua formula mediante dei versi.

Nel 1545 Cardano pubblicò il suo libro oggi famoso Ars magna, che conteneva le soluzioni dell'equazione cubica basate sulla formula segreta di Tartaglia, e anche le soluzioni delle equazioni quartiche (cioè di quarto grado), che erano state ottenute dal suo allievo Ludovico Ferrari (1522-1565). Nel suo libro Cardano ringraziava Tartaglia. Ma era venuto meno alla parola data, al giuramento di non rivelare mai il segreto.

Comprensibilmente Tartaglia era furibondo e continuò per anni a scrivere lettere contro Cardano a tutti quelli che conosceva. Rese pubbliche anche la conversazione avvenuta fra loro a Milano e la promessa infranta. Ma il libro di Cardano, l'Ars magna, ormai ne aveva fatto un matematico di primo piano, e gli attacchi di Tartaglia non ebbero effetto. E Tartaglia non ebbe mai occasione di incontrare il ricco mecenate da cui sperava di ricevere aiuto. Dopo un breve magistero universitario, tornò a Venezia al suo posto di insegnante, che mantenne fino alla morte.

Oggi Tartaglia è ricordato insieme a Cardano per la formula risolutiva delle equazioni cubiche. Scrisse anche un testo divulgativo di aritmetica, e nel 1543 tradusse e pubblicò per la prima volta in italiano gli Elementi di Euclide. Pubblicò anche edizioni in latino delle opere di Archimede.

Il triangolo di tartaglia

Il nome di Tartaglia è legato al famoso triangolo di Tartaglia che permette facilmente di calcolare i coefficifienti numerici di uno binomio elevato all'ennesima potenza.

Se si osservano le note formule per lo sviluppo del quadrato e del cubo di un binomio e la regola per la potenza con esponente nullo e con esponente unitario dello stesso binomio, ossia:

(a + b)0 = 1
(a + b)1 = a + b
(a + b)2 = a2 + 2ab + b2
(a + b)3 = a3 + 3a2b + 3ab2 + b3

si nota che ciascuno dei quattro sviluppi precedenti si presenta come un polinomio omogeneo dello stesso grado della potenza e ordinato secondo le potenze decrescenti di a e crescenti di b.

Tale osservazione consente di prevedere la parte letterale dei monomi che costituiranno lo sviluppo della potenza n-esima (con n intero e positivo) del binomio stesso. Per esempio, la quarta, la quinta e la sesta potenza del binomio avranno come parti letterali rispettivamente le seguenti:

a4, a3b, a2b2, ab3, b4
a5, a4b, a3b2, a2b3, ab4, b5
a6, a5b, a4b2 , a3b3 , a2b4, ab5, b6

mentre la decima potenza del binomio:

a10, a9b, a8b2, a7b3, a6b4, a5b5, a4b6, a3b7, a2b8, ab9, b10

Pertanto i coefficienti numerici incogniti si ricavano facilmente dalla seguente triangolo:

cer la cui costruzione basta ricordare che:

  • al vertice compare il numero 1;
  • ogni riga inizia e termina con il numero 1;
  • ogni altro numero si ottiene sommando i due numeri soprastanti della riga precedente (per esempio, il 15 presente nell'ultima riga si ottiene sommando 5 e 10).

    Si è quindi in grado di calcolare anche i coefficienti (oltre alle parti letterali) dello sviluppo della potenza n-esima del binomio. Ad esempio per la potenza 10 vale:

    (a + b)10 = a10 + 10a9b + 45a8b2 + 120a7b3 + 210a6b4 + 252a5b5 + 210a4b6 + 120a3b7 + 45a2b8 + 10ab9 + b10

    In alternativa si può utilizzare la formula di Newton:

    che scritta in maniera più coincisa è:

    (Tratto da "Il taccuino segreto di Cartesio - Amir D. Aczel - 2005 Mondadori)