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La Fisica classica

  Tutta la fisica classica era stata costruita sulla base del modello meccanicistico newtoniano dell'universo. Lo scenario dell'universo newtoniano nel quale avevano luogo tutti i fenomeni fisici era lo spazio tridimensionale della geometria euclidea classica; uno spazio assoluto, sempre immobile e immutabile. Tutti i mutamenti che si verificano nel mondo fisico erano descritti in funzione di una dimensione separata, chiamata tempo, anch'essa assoluta, che non aveva alcun legame con il mondo materiale e che fluiva uniformemente dal passato al futuro, attraverso il presente. Gli elementi del mondo newtoniano che si muovevano in questo spazio e in questo tempo assoluti erano le particelle materiali. Nelle equazioni matematiche queste venivano trattate come "punti materiali" e Newton le considerava oggetti piccoli, solidi e indistruttibili dei quali era costituita tutta la materia. Questo modello era del tutto simile a quello degli atomisti greci. Tutti e due erano basati sulla distinzione tra pieno e vuoto, tra materia e spazio, e in entrambi i modelli le particelle rimanevano sempre identiche a se stesse in massa e forma perciò la materia era sempre conservata ed essenzialmente inerte.

La differenza importante che c'è tra l'atomismo di Democrito e quello di Newton sta nella forza che agisce tra le particelle materiali: definita come forza di gravità che dipende solo dalle masse e dalla reciproca distanza tra le particelle. Si riteneva che le particelle e le forze che agivano tra esse fossero state create da Dio, e che quindi non si potessero sottoporre a ulteriori analisi. Nella meccanica di Newton, tutti gli eventi fisici sono ridotti al moto di punti materiali nello spazio, moto causato dalla loro reciproca attrazione, cioè dalla forza di gravità. Per esprimere in una forma matematica precisa l'effetto di questa forza su un punto materiale Newton dovette inventare i nuovi concetti e tecniche matematiche del calcolo differenziale. Le equazioni di Newton relative al moto dei corpi sono la base della meccanica classica.

Secondo Newton, all'inizio Dio creò le particelle materiali, le forze che agiscono tra esse e le leggi fondamentali del moto. In questo modo tutto l'universo fu posto in movimento e da allora ha continuato a funzionare, come una macchina, governato da leggi immutabili. La base filosofica di questo modo di pensare era la conseguenza logica della fondamentale divisione introdotta da Cartesio tra l'Io ed il mondo. Si riteneva pertanto che il mondo potesse essere descritto senza tenere conto dell'osservatore umano. Nel Settecento e nell'Ottocento si assiste a un enorme successo della meccanica newtoniana. Newton stesso applicò la sua teoria al moto dei pianeti e riuscì a spiegare le caratteristiche fondamentali del sistema solare. Tuttavia il suo modello planetario era estremamente semplificato - vi era trascurata, per esempio l'influenza gravitazionale tra i pianeti - cosicché ne risultavano alcune irregolarità che Newton non riusciva a spiegarsi. Egli risolse questo problema supponendo che Dio fosse sempre presente nell'universo per correggere tali irregolarità.

Il grande matematico Laplace perfezionò i calcoli di Newton, mostrando che le sue leggi del moto assicuravano la stabilità del sistema solare e trattò l'universo come una macchina capace di autoregolarsi perfettamente. I fisici applicarono le leggi del moto di Newton anche al moto dei fluidi e alle vibrazioni dei corpi elastici. Anche la teoria del calore poté essere ridotta alla meccanica quando si capì che il calore è l'energia associata a un complicato moto di "agitazione" delle molecole. Lo straordinario successo del modello meccanicistico fece nascere nei fisici dell'inizio dell'Ottocento la convinzione che l'universo fosse in realtà un enorme sistema meccanico che funzionava secondo le leggi del moto di Newton. Queste leggi furono viste come le leggi fondamentali della natura e la meccanica di Newton venne considerata la teoria definitiva dei fenomeni naturali.

Tuttavia, meno di cento anni dopo, il modello newtoniano evidenziò i suoi limiti, mostrando che nessuno dei suoi aspetti aveva validità assoluta. Lo studio dei fenomeni elettrici e magnetici, non poteva essere descritto in maniera adeguata, ma comportava l'introduzione di un nuovo tipo di forza.

Michael Faraday e Clerk Maxwell scoprirono la teoria dell'elettromagnetismo. Essi sostituirono il concetto di forza con quello di campo di forze, spingendosi per primi oltre i confini della fisica newtoniana, stabilirono infatti che ogni carica positiva e negativa anziché attrarsi (come si credeva fino ad allora), crea nello spazio circostante una "perturbazione", tale per cui un'altra carica, se presente, avverte una forza. Questa condizione dello spazio che ha la capacità di produrre una forza è chiamata "campo". Essa è generata da una singola carica ed esiste indipendentemente dal fatto che un'altra carica sia presente o meno e ne avverta l'effetto. Da questa teoria, chiamata elettrodinamica, si capì, che la luce non è altro che un campo elettromagnetico rapidamente alternante che si sposta nello spazio sotto forma di onda.

Oggi sappiamo che le onde radio, le onde luminose o i raggi X, sono tutte onde elettromagnetiche, cioè campi elettrici e magnetici oscillanti che differiscono soltanto nella frequenza di oscillazione, e che la luce visibile è solo una piccola frazione dello spettro elettromagnetico.

All'inizio del Novecento, dunque, erano due le teorie valide con cui i fisici spiegavano i fenomeni: la meccanica di Newton e l'elettrodinamica di Maxwell; di conseguenza, il modello newtoniano non costituiva più la base di tutta la fisica.

(Tratto da "Il Tao della fisica" di Fritjof Capra - Adelphi 1975)