Crisiano De Majo – Fabio
Viola "Italia2" Edizione minimum fax
Recensione di
Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
Esiste un’Italia, quella di tutti
i giorni, dove viviamo e dove sono vissuti i nostri antenati, talmente
familiare che quasi non la vediamo più e un’altra Italia, quella
che dà il titolo al libro di De Majo e Viola, “Italia 2”, quella
che nel sottotitolo viene definita il “paese che abbiamo inventato”, quella
in cui i luoghi diventano qualcosa di diverso, un logo, un appuntamento,
un pezzo di quel parco a tema che affianca il paese reale e che è
nato dalla logica della pubblicità e dello spettacolo.
I due autori hanno attraversato
il paese da nord a sud, cercando di capire, riuscendo a raccontare, anche
se non sempre a spiegare perché tante delle cose che hanno visto
una ragione non ce l’hanno proprio, o è talmente lontana che diventa
inafferrabile. I luoghi sono suddivisi, a gruppi per qualche verso omogenei,
nei vari capitoli e, anche dove sembrano lontanissimi tra di loro, si percepisce
un’affinità che spesso spaventa. Il mulino bianco, rappresentazione
in una nota pubblicità del ritorno alla natura e della pace famigliare,
e diventato meta di turisti che si ritrovano però di fronte a una
costruzione di mattoni circondata da una terribile puzza che il televisore
non poteva trasmettere, è nel primo capitolo, con la villetta di
Cogne – in quella cittadina di montagna che doveva diventare simbolo del
“turismo dolce”, per famiglie alla ricerca della tranquillità e
della natura ed è diventato invece “il luogo del delitto” – anch’essa
meta di giornalisti, turisti e curiosi alla ricerca di una verità,
di un ricordo, di una foto, nella logica della spettacolarizzazione a ogni
costo.
Vicinissimo a noi, nelle colline
del Canavese, il tempio di Damanhur, con tutti i suoi misteri. Nato dal
nulla in pochi anni ma, secondo i fondatori, con radici antichissime, dove
gli autori si sentono “sopraffatti dalla confusione e dalla vaghezza delle
informazioni”, di fronte a “qualcosa di totalmente inedito”. Lontano, in
Puglia, ma nello stesso capitolo, San Giovanni Rotondo, un paese diventato
uno dei più ricchi della regione, un concentrato di alberghi e negozi
di souvenir, “la Las Vegas dei pellegrinaggi”, come la definiscono gli
autori, affetto da gigantismo, lontanissimo dalla fede.
La Risiera di San Sabba e Predappio:
a San Sabba costruzioni nuove (lontane dalle ricostruzioni realistiche
di altri campi di concentramento) fatte per suscitare sentimenti che subito
si scontrano con il martellare della musica house che esce da una vicina
palestra, impedendo di entrare nello spirito che la scenografia propone.
A Predappio i neofasciti, i neonazisti e tanti vecchi nostalgici percorrono
via Matteotti (spesso senza neppure sapere chi era e quale coraggio ha
avuto l’amministrazione comunale che ha deciso di intitolargli la via principale)
comprando tranquillamente oggetti proibiti dalla legge italiana e tentando
di ricreare per un giorno l’Italia del ventennio, con le divise, i saluti
romani, distintivi e gadget di varie fogge.
E poi c’è il Luna park Italia:
quell’Italia ricostruita per i turisti, dove “i centri storici si trasformano
in quadri pittoreschi e disabitati”, perché qualcuno ha voluto “fare
in modo che le nostre città siano luoghi da visitare, rendere questa
funzione prevalente sulle altre”: Venezia che è “riuscita a diventare
il parco a tema del Settecento”, Roma con i suoi finti gladiatori, Matera
con quei Sassi che nel 1950 De Gasperi definì “la vergogna” e che
oggi, dopo essere stati svuotati, ristrutturati, essere diventati Patrimonio
dell’Umanità, sono un’attrazione turistica, il posto più
ricco della città, oltre a un continuo set cinematografico.
L’ultimo capitolo è dedicato
a Sanremo, più festival che città, una città per tre
giorni all’anno, piena di giornalisti che guardano lo spettacolo in televisione
e lo raccontano a un’Italia che sogna di essere all’Ariston, in quel mondo
sfavillante e scintillante.
Attenti, ironici, spesso sarcastici,
gli autori ci portano a spasso per un paese, e soprattutto una mentalità,
quella della spettacolarizzazione, quella che spesso rasenta la truffa,
che gioca sui sentimenti per fare affari. Un paese finto che impedisce
di vivere serenamente, di provare sentimenti veri, di vedere dietro alle
quinte.
gabriella bona
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