Pino Marchi "Italia spray"
Protagon Editori
Recensione di
Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
Un giorno dello scorso settembre
sono rimasta bloccata alla stazione di Chivasso: il treno per Milano è
stato annunciato con dieci minuti di ritardo che, di dieci in dieci, sono
diventati un’ora. Nel frattempo l’altoparlante echeggiava di altri ritardi
e informava i signori viaggiatori che un altro treno era stato soppresso.
I passeggeri si guardavano intorno, smarriti e sempre più nervosi.
Poi è sopraggiunto un treno: le prime carrozze erano coperte di
disegni, belli, colorati, dai contorni netti e precisi, pieni di allegria,
seguiti da quelli su cui i writer non erano ancora arrivati: grigi, tristi,
con la vernice scrostata. Sono momenti in cui ci si chiede perché
decorare i treni sia un reato e lasciarli brutti e sporchi sia invece la
normalità.
Il libro di Pino Marchi - produttore
televisivo, regista e autore di spot pubblicitari – sembra fatto apposta
per rendere ancora più difficile una risposta alla nostra domanda.
Tra i murales artistici e gli scarabocchi, tra l’ironia e la peggiore volgarità,
tra “un vandalo imbrattatore e un raffinato writer-pittore”, il libro “Italia
spray” offre al lettore più di 2000 fotografie e una raccolta di
più di 4000 scritte raccolte qui e là, in Italia e all’estero.
Parlano di amore, di sport, di politica, di vari argomenti di attualità,
animano enormi muri lasciati completamente e tristemente vuoti, soprattutto
nelle zone periferiche, imbrattano importanti monumenti, esprimono il senso
artistico dei loro autori, sono espressione di violenza e di sfregio alla
cosa pubblica. Fatti con gessetti, penne biro, pennarelli, pennello e vernice,
bomboletta spray, con l’aiuto di stencil, raccontano le storie più
incredibili, fissano momenti nella memoria.
“Questo libro non vuole assolutamente
essere un manuale di incitamento a scrivere, a imbrattare i muri, a deturpare
i monumenti, a sporcare le città indegnamente. È solo una
documentazione fotografica della realtà, oltre che un modo per far
riflettere chi dovrebbe salvaguardare il patrimonio pubblico e privato”,
avverte l’autore all’inizio del libro, anche se non è possibile
non notare come certe frasi, certi disegni abbiano divertito lui prima
di noi.
Non tralascia di sottolineare come
siano state le stesse istituzioni a prodursi nell’imbrattamento dei muri,
con quelle scritte che, dai tempi del fascismo, spesso non siamo ancora
riusciti a cancellare o come il desiderio di lasciare una traccia si sé
e del proprio pensiero non sia usanza moderna se tracce sono state trovate
sulle rovine di Pompei: “Avvisi elettorali, anche allora in ‘nero’ e ‘rosso’,
notizie di furti, saluti di innamorati, disegni e, come oggi, offese e
parole non proprio educate”.
Ci sono anche i volantini, appiccicati
ovunque, e una galleria di banconote da mille lire con le più varie
scritte (perché nessuno affida i propri pensieri e sentimenti agli
euro? si chiede l’autore).
Errori, lettere mancanti, scritte
lasciate a metà, manifesti pubblicitari ed elettorali rivisitati,
pubblicità che si ispirano ai writer: troviamo di tutto in questo
libro che pone domande senza suggerire risposte, ci racconta una realtà
lasciandoci liberi di interpretarla.
“Siamo alla frutta!” esclama l’omino
del disegno che illustra la copertina. Forse, chissà?
gabriella bona
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