Giampaolo Dossena "Mangiare
banane" Edizione Il Mulino
Recensione di
Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
Quando ho detto a mio figlio, allora
bambino, che nell'anno in cui sono nata la televisione in Italia non esisteva
ancora, per un momento mi ha immaginata a vivere in una caverna e ad andare
a scuola a cavallo di un dinosauro. Abbiamo soltanto vent'anni di differenza
ma non è stato facile fargli capire che vivevo in una casa, anche
se ancora senza termosifoni e lavatrice, senza automobile e con una radio
grande come un piccolo armadio e che avevo una bicicletta come mezzo di
trasporto.
Fino ad allora, salvo eventi traumatici
come guerre, terremoti o altri grandi disastri, il mutamento, in vent'anni,
era minimo. Poi c'è stata un'accelerazione che ha reso preistoria
tutto quello che era successo soltanto pochi anni prima. E questa velocità
nel mutamento è continuata da allora.
Giampaolo Dossena, autore di "Mangiare
banane", un viaggio nella memoria degli ultimi settant'anni, la sua storia,
riporta a storie che molti di noi ricordano (con la grande fortuna dei
cinquanta-sessantenni come me, di non aver conosciuto fascismo e guerra)
e che molti giovani troveranno quasi incredibili.
Le banane venivano vendute in speciali
negozi, perché erano ancora in regime di monopolio e carissime;
il grembiule come divisa scolastica si portava anche nelle superiori; le
nostre case erano riscaldate da stufe che servivano anche per cucinare.
È difficile, dopo così
pochi anni, anche per chi lo ha vissuto, ricordarsi di quando ci si scriveva
lunghe lettere perché i telefoni erano rarissimi e cellulari e computer
non esistevano ancora. Non tutto è bello da ricordare e spesso Dossena
sottolinea come la nostra memoria conservi ricordi che getteremmo volentieri
e chissà perché, invece, rimangono appiccicati senza speranza
di potercene sbarazzare.
Tra francobolli, monete, abitudini,
oggetti, giochi, libri, canzoni, negozi in via d'estinzione, sigarette
sfuse, materiali e ruoli superati dalla moderna tecnologia Dossena ci porta
a visitare un museo personale, quello dei suoi ricordi, dove ritrovarsi
e dove perdersi, tra la gioia di non dover più fare il bucato a
mano e il rimpianto per il profumo della colla di pesce, con mille stupori
e i nostri ricordi che riemergono a ogni pagina, in un libro di storia
che non racconta tutto ma riesce a toccare, in modo intelligente e delicato,
mille aspetti di un recentissimo ma già lontanissimo passato.
gabriella bona
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