Le recensioni on line di Gabriella
 
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    Massimo Tornabene "La guerra dei matti"Edizioni Araba Fenice
    Paolo Teobaldi "Il mio manicomio"Edizioni e/o
     
     Recensione di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
        
    Erano tanti i modi per finire in manicomio, non sempre legati a una vera e propria malattia: spesso matti lo si diventava per motivi famigliari, sociali, politici, per la fame e la paura, per una mentalità chiusa che preferiva rifiutare piuttosto che capire. 
    Massimo Tornabene con "La guerra dei matti" e Paolo Teobaldi con "Il mio manicomio" ci portano a conoscere luoghi in cui, per qualunque motivo ci si fosse finiti, non si vedeva altro che tristezza, dolore e spesso violenza e indifferenza. 
    "La guerra dei matti" racconta il manicomio di Racconigi tra fascismo, guerra e lotta di liberazione. Anni in cui l'Italia ha conosciuto la guerra, contro la Francia, la Russia, in Jugoslavia, in Grecia e in Africa, fino alla seconda guerra mondiale, fame, bombardamenti, dittatura, campi di concentramento e il ritorno in paesi e città devastate, parenti e amici morti e dispersi. Abbastanza per creare problemi di origine psicologica e morale. Abbastanza per vedere centinaia di persone varcare, volontariamente o in modo coatto, i cancelli del manicomio. Tornabene, attraverso la ricostruzione delle varie fasi che si sono succedute, le diverse scuole psichiatriche ma anche attraverso documenti e lettere, riapre quel cancello e ci porta a conoscere la vita di quelle persone, di quelle stanze, di quel dolore. 
    "Trascorro le giornate chiuso in casa - scrive Nuto Revelli in "Le due guerre" - prigioniero dei miei ricordi. Ho i nervi scossi. Sento sulle mie spalle il peso dei morti, dei dispersi in Russia [...] Rivivo i combattimenti e grido 'spara, spara' e allora accorrono mio padre e mia madre a svegliarmi, a calmarmi". La maggior parte dei pazienti ricoverati a Racconigi sapeva appena leggere e scrivere, come dimostrano le lettere riportate nel libro, e la mancanza di cultura e l'impossibilità di scrivere e di elaborare i propri problemi non può che ingigantire una situazione già drammatica. Spesso il manicomio ha offerto ospitalità, non denunciando coloro che si erano rifugiati dopo l'8 settembre. Ma, come scrive Renzo Segre, ospitato a Villa Turina di San Maurizio Canavese con la moglie Nella, "non ho più bisogno di fingere di stare male, perché le ansie, le preoccupazioni, le angustie portate da sempre nuove difficoltà, le notizie dei giornalieri fatti di sangue che avvengono attorno a noi, mi hanno prostrato in modo incredibile". 
    "Il mio manicomio" di Paolo Teobaldi è un romanzo, la storia di Matilde, l'infermiera dei matti. Attraverso la sua narrazione conosciamo quarant'anni di storia, dal 1938, quando diciottenne entra a lavorare nel Parchetto dei Duchi della Rovere, antica e nobile costruzione divenuta manicomio, fino al 1978, anni in cui, grazie alla legge Basaglia, i manicomi vengono chiusi. Matilde è attenta, sensibile, anche se la sua educazione si è fermata alla scuola elementare, e dall'interno della struttura osserva e racconta, di matti e di medici, di infermiere e di suore, di terapie, di elettroshock, di docce scozzesi, di laboratori di ergoterapia, degli agitati e dei tranquilli, di donne e di uomini che soffrono, dei cervelli e dei disegni di Lombroso e Frigerio conservati al Parchetto dove avevano lavorato. In quegli anni ha visto passare tanta gente e individuato le cause principali di quella follia: "Le cause in fondo erano sempre quelle: la miseria, la pellagra, la guerra, la spagnola, le botte, le umiliazioni". 
    Nonostante la poca considerazione per gli infermieri del manicomio rispetto a quelli dell'ospedale civile ("la gente diceva in giro che quelli del manicomio erano più materiali, meno professionali, metà infermieri e metà carcerieri"), Matilde resiste e rimane a curare i suoi matti, con dedizione e tenerezza, con mille attenzioni per tentare di alleviare, almeno un poco, la loro vita grama. 
           
    gabriella bona 
      
 
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