I referendum di domenica e lunedì
non hanno raggiunto il quorum necessario a essere considerati validi. La
notizia è, ormai da giorni, sfumata, senza lasciare traccia. Sembra
un avvenimento tanto irrilevante, quanto lontano. Eppure vale la pena tornarci
su, per qualche considerazione, prima che tutta la pratica passi davvero
in archivio.
In primo luogo, a essere svilito,
è lo stesso istituto referendario, ormai ignorato dai più.
Sarà per i quesiti formulati in maniera cervellotica, sarà
per gli scarsi cambiamenti che hanno introdotto i precedenti (quelli recenti;
i primi - vedi quello sul divorzio e l'aborto - hanno introdotto importanti
novità nella società e nel costume italiano), sarà
per i timori che il loro esito suscita ai partiti e alla classe politica.
Cosicché qualcuno, appena fiutato il risultato probabile, si è
affrettato a defilarsi e a… invitare ad andare al mare.
Eppure non si può dire che
i temi fossero di secondaria importanza: la normativa sul lavoro e sull'ecologia
non sono materia su cui si possa soprassedere troppo facilmente. Il rischio
più diffuso è che la smania del profitto (di alcuni, pochi)
ed alcune necessità economiche (o presunte tali) passino sopra i
diritti (dei più) alla sicurezza sul lavoro e all'incolumità
da radiazioni nocive. I problemi sono, ovviamente, molto più complessi
della materia su cui i referendum proiettano il proprio cono di luce.
Ma, nel momento in cui si riaffacciano
emergenze drammatiche (come gli ingressi di massa di clandestini, in questi
giorni) e si avvicina la presidenza italiana all'Unione Europea, vorremmo
che i temi del lavoro, della salute, dell'accoglienza agli immigrati, fossero
messi in evidenza, e su di essi si giungesse finalmente a politiche comuni.
Che avessero, almeno, la priorità, rispetto a discussioni accademiche,
o alla progettazione di opere faraoniche, che sarebbero, appunto, soltanto
operazione di immagine. E' chiedere troppo?
piero agrano