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GRAND TOUR
Gli inglesi e l'Italia
1. L' istituzione laica del Grand Tour in Inghilterra da Elisabetta a Cromwell
Il viaggio rappresenta nella mentalità anglosassone, tradizionalmente contraria alla cultura scolastica medievale, un sistema di conoscenza per rendersi conto con i propri occhi della realtà del mondo ; una ricerca della verità fondamentale per la formazione degli intellettuali moderni che rifiutano il dogmatismo del sapere, seguendo la scia di Copernico e Galileo.
Bacone, considerato il profeta, quasi il poeta del movimento scientifico in Inghilterra, fu tanto interessato al tema del viaggio che scrisse il trattato Of travel , un riassunto delle regole che bisogna adottare nell'intraprendere il viaggio di formazione. Affinché il giovane apprenda il più possibile deve conoscere qualcosa della lingua del paese, deve avere al seguito un servo o tutore come guida del paese, deve avere qualche libro di descrizione del paese deve tenere un diario e non deve rimanere troppo a lungo in un paese o in una città.
Alla fine del Seicento uno studioso, letterato o artista conosciuto, poteva facilmente ottenere una borsa di studio dal Governo per intraprendere il viaggio di perfezionamento all'estero di questo tipo (il Lassels nel suo trattato fu il primo a designarlo con il nome francese di Grand Tour), in quanto solo all'estero si potevano acquisire quelle conoscenze estetiche, storiche, artistiche e archeologiche necessarie all'uomo virtuoso. In un primo momento gli intellettuali inglesi furono contrari a questa pericolosa avventura in Italia che ancora nel Cinquecento non era ammirata per i suoi tesori artistici: questo viaggio era considerato pericoloso per il corpo e per l'anima perché " l'Italia era la patria di Machiavelli e quindi degli atteggiamenti politici cinici e sovvertitori; ed era infine una minaccia costante della fermezza religiosa dei protestanti, esposti sempre al pericolo di rimanere abbagliati dagli splendori artistici della Chiesa controriformista ". Secondo il Goldsmith al viaggio può derivare "una maggiore apertura, l'abbandono dei pregiudizi nazionali e l'attitudine di guardare con ironia alle peculiarità nazionali"; tuttavia, osserva John Moore, una tale educazione potrebbe far nascere nel giovane "altri pregiudizi, forse altrettanto ridicoli, e molto più dannosi". Nonostante ciò, a partire dal Seicento, divenne pratica diffusa il costume del viaggio in Italia per apprendere le maniere del buon vivere (il Cortegiano del Castiglione era assunto a modello anche in Inghilterra), per lo studio delle istituzioni politiche, dell'arte della guerra e del fabbricare fortificazioni.
Il giovane aristocratico inglese era attirato in Italia non solo dal fascino artistico e culturale ma soprattutto dal desiderio di luce, di sole, di natura rigogliosa, quegli aspetti naturalistici selvaggi che emergono nei diari dei viaggiatori adulti che non temono controlli o censure dei governor. L'Italia era una terra pericolosa che eccitava la fantasia degli inglesi e il loro gusto d'avventura come si vede dalla fluviale, anche se poco attendibile produzione memorialista.
Il Tour comprendeva Francia, Italia ed un ritorno attraverso la Germania e i Paesi Bassi con un breve passaggio per le Alpi svizzere. In Italia l'arrivo era previsto per settembre e subito si visitava Genova o Torino, tappa successiva era Firenze (passando per via costiera Genova-Pisa o per via interna Torino-Milano-Bologna). Da Firenze si passava a Siena, Viterbo e quindi, a novembre, si giungeva a Roma, considerata la meta principale. Da Roma si faceva un'escursione a Napoli e nei dintorni e quindi si tornava a Nord per arrivare a Venezia (passando da Padova, famosa per la sua Università).
2. Il viaggio come avventura: Thomas Coryat, un pioniere.
Nel 1611 Thomas Coryat pubblica il suo trattato Crudities dove descrive il suo viaggio in Italia: dalla teoria si passa alla vita vissuta. Descrive dettagliatamente le città che ha visitato, iniziando dal territorio e dal contesto, passando alle mura, all'urbanistica dei quartieri fino ad arrivare ai monumenti, ai palazzi, alle chiese e alle istituzioni più importanti. Immune dai pregiudizi dell'epoca preferisce il Duomo di Milano alla Cattedrale di Amiens ed é il primo a parlare nel suo libro del Palladio con ammirazione, oltre che apprezzare Sansovino, Sammicheli, lo Scamozzi, il Veronese, Tiziano e il Tintoretto. Coryat non era uno storico dell'arte o un collezionista ma piuttosto uno spirito inquieto, desideroso di avventura tanto che il suo viaggio continuò in Oriente fino all'India dalla quale non fece più ritorno.
3. L'officina dell'arte: i viaggi di Arundel, Inigo Jones e John Evelyn.
L'architetto inglese Inigo Jones considera l'arte italiana come un mare da cui attingere e da cui attingerà: intraprende ben due viaggi nel nostro Paese a distanza di dieci anni l'uno dall'altro. Compie il secondo viaggio al seguito del Conte di Arundel che inaugura l'usanza di avere al seguito un cicerone, non una semplice guida, ma uno specialista. Per Arundel l'Italia rappresenta un mercato d'arte senza fine tanto che approfitta del suo viaggio per crearsi una vera e propria collezione. Il viaggio di Arundel e Inigo Jones si ferma a Napoli e le tappe privilegiate sono Vicenza, Venezia, Firenze e Roma ricalcando itinerari precedenti. Sulla scia di Inigo Jones altri architetti inglesi compiranno un viaggio analogo, come Nicholas Stone (che privilegia la Firenze di Michelangelo), sir Roger Pratt e Lord Burlington.
Bisogna attendere un intellettuale umanista dai molteplici interessi come John Evelyn per vedere rivalutata l'Italia nelle sue meraviglie paesaggistiche e naturalistiche. Evelyn sa apprezzare il rigoglio dei giardini, la ricchezza dell'ambiente naturale e la diversità dei paesaggi tanto che nel suo trattato Fumifugium (1661) contro lo smog di Londra ricorderà il profumo dei fiori d'arancio, i limoni e il gelsomino. Evelyn é anche un attento critico dell'aspetto artistico del nostro Paese: Roma gli appare dominata dalle rovine antiche come il Tempio della Pace, si indigna nell'osservare l'inglobamento del Teatro di Marcello per costruire le case dei Savelli e nell'osservare il degradamento dei marmi dai monumenti classici. Evelyn rivaluta il Rinascimento di Michelangelo e Raffaello e assolda il Maratta per farsi disegnare le opere che l'appassionano.
Nelle descrizioni delle città sono privilegiate le parti dedicate alle attrezzature pubbliche come gli asili e gli ospedali di Roma o l'Arsenale di Venezia, della Serenissima lo affascinano in particolar modo le deliziose contrade del quartier delle Mercerie. Dunque con Evelyn il viaggiatore inglese mostra di aver scoperto una realtà italiana più complessa, non più meramente culturale o artistica ma anche naturalistica e paesaggistica, carattere che attirerà l'intellettuale romantico.
4. Le memorie dell'antico nel viaggio di Joseph Addison
Il giovane poeta Addison scrive Remarks on Several Parts of Italy, memorie del suo viaggio del 1701-1703 in Italia finanziato dalla Corona. Addison, viaggiatore colto ed erudito, filtra le sue esperienze italiane attraverso la cultura letteraria classica riempiendo le sue memorie di citazioni che vanno da Orazio a Virgilio a Lucano, influenzando il suo giudizio sul paese visitato. Se rimane deluso dal Duomo di Milano, rimane stupefatto dal passaggio sul Rubicone e rimane meravigliato da Miseno, dai Campi Flegrei e dal Circeo, topòi evocati nell'Eneide. L'uomo é schiacciato dalla sua cultura classica, tanto che Walpole scrive che "l'Addison viaggia attraverso i poeti e non attraverso l'Italia" o almeno che l'Italia dell'Addison é ormai letteraria o immaginaria. Tuttavia nei suoi "Remarks" l'autore descrive le Alpi come uno spettacolo naturale di per sé pauroso che grazie alla descrizione artistica può divenire piacevole, teoria che prelude all'estetica del sublime di Edmund Burke.
5. Come viaggia un aristocratico inglese: Lord Burlington sulla rotta di Palladio.
Lord Burlington é un ricco uomo colto, appassionato collezionista d'arte che diverrà poi architetto di talento. Sebbene il suo diario sia andato perduto ci rimane il suo account book che testimonia tutte le sue tappe e le sue spese.
Il nobile gentiluomo é soprattutto interessato all'arte veneta del Palladio trascurando, come farà Goethe, il patrimonio artistico fiorentino. Burlington é un viaggiatore pigro tanto che non compie la rituale visita a Napoli ma si sposta da Roma solo per andare a Frascati nella Villa Aldobrandini e nella Villa Mondragone.
Successivamente al Burlington venne pubblicato il trattato The Grand Tour di Nugent che rappresenta il fondamentale cambiamento dell'organizzazione dei viaggi degli inglesi: infatti Nugent scrive una vera e propria guida.
6. Rivelazione del Sud: George Berkeley.
Per George Berkeley l'Italia era il paese dell'utopia, dell'equilibrio tra storia e natura, dove i miti delle civiltà antiche rivivevano nel contesto di un ambiente che era all'apice della sua creatività. Nei primi giorni di novembre del 1713 Berkeley partì per il suo primo soggiorno in Italia visitando i maggiori monumenti di Torino, Genova e Livorno. Sulla via del ritorno, scrive che anche dopo aver visitato Pisa, Lucca, Pistoia e Firenze non ha visto niente che gli facesse desiderare di trascorrere la vita fuori dall'Inghilterra o dall'Irlanda.
Nel suo secondo viaggio, Berkeley subirà effetti ben più rilevanti per quanto riguarda la sua formazione culturale. I suoi interessi scientifici e naturalistici verranno sollecitati, consentendogli di acquisire una buona conoscenza della storia dell'arte e dell'architettura che si dimostrerà preziosa nella sua futura attività di progettista (come nel collegio delle Bermuda) e nella sua attività di consulente nella ristrutturazione di dimore nobiliari. Sarà proprio in Italia che troverà l'ispirazione ed i modelli da cui trarre una nuova esperienza intellettuale. Berkeley, a contatto con la civiltà del meridione, mostra un'intelligenza libera giungendo ad un'autonomia di giudizio rara: fu proprio questa parte dell'Italia che gli fece provare le grandi emozioni che invece non erano emerse dalla visita alle celebri bellezze di Firenze, Pisa, Genova e Livorno. Secondo Berkeley Lecce è "la più bella città d'Italia" caratterizzata da strade ampie e tortuose da pianure immense ed é affascinato dal diffuso tessuto decorativo in pietra che adorna ogni edificio della città e si rende conto che da quando viaggiava non era mai stato colpito così tanto come dalla infinita ricchezza degli altorilievi leccesi e dalla loro perfetta esecuzione; Lecce gli appare grande come Firenze, ma le case sono più basse, la pietra é splendida e di un colore molto bello e, secondo Berkeley , in nessun'altra parte d'Italia si trovava un gusto così compatto di forme architettoniche e si ha proprio qui l'impressione che gli architetti e gli scultori abbiano ereditato lo spirito e l'ingegno dei Greci che anticamente avevano abitato tali zone.
Il classicismo di Berkeley ha connotati del tutto originali dove il bello artistico non aderisce ad un modello o ad una tipologia, ma è un elemento di equilibrio. L'ideale estetico di Berkeley si esprime nel suo continuo andare dalla natura al mito e dal mito alla natura, egli scopre il paese reale, senza farsi condizionare dai luoghi comuni. Ignora Venezia e trascura Firenze ma ha l'intraprendenza di andare al tacco d'Italia scoprendo i più nascosti angoli per scoprire costumi, abitudini e paesi sconosciuti o dove pochi erano stati capaci di "aprire gli occhi".
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