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GRAND TOUR
I francesi e l'Italia
1. Fascino dell'antico da Phillibert De l'Orme a Montaigne
Philibert De l'Orme, il geniale architetto mediatore della tradizione medievale indigena, soggiorna in Italia tra il 1533 ed il 1536; questo viaggio ebbe degli esiti non trascurabili per lui per quanto riguarda la sua architettura e per tutta la cultura artistica francese. Giunge a Roma e si dedica al rilievo di alcuni dei maggiori monumenti romani maturando così la sua vocazione di teorico dell'architettura e diviene parte di quella tradizione umanistica che sarà essenziale tra la cultura transalpina e l'Italia. Egli dedicò i suoi interessi anche alle opere postclassiche e medioevali come la porta di Santa Sabina, le colonne tortili dell'altare maggiore di San Pietro e alle opere contemporanee come il tempietto di San Pietro in Montorio di Bramante e le scale elicoidali del Belvedere in Vaticano.
Nel libro IX del trattato sull'architettura(1567), dedicato a Caterina de' Medici, De l'Orme parla della sua visita a Firenze dove seppe apprezzare gli interni michelangioleschi della Biblioteca Laurenziana. Roma fu il centro del suo viaggio poi andò a Firenze per passare a Mantova, Venezia e Verona ed in fine a Milano. La grande architettura romano-lombarda del Cinquecento è la linea dominante del suo viaggio in Italia.
Per Montaigne, come per de l'Orme, il culto dell'antico costituisce la molla che lo spinge in Italia, per lui, "Bello vuol dire grande, maestoso e poi, in un secondo momento, anche ingegnoso e ricco". Alla fine di ottobre del 1774, dopo aver visitato la Germania, Montaigne raggiunge Bolzano dove notò vie più strette e nessuna bella piazza pubblica mettendo in evidenza un certo pregiudizio sfavorevole nei confronti dell'Italia confrontandola continuamente con la Germania. Critica Padova con le sue vie strette, sgradevoli e poco popolate mentre Venezia lo lascia quasi del tutto indifferente. Invece a Ferrara visitò varie belle chiese, giardini e case private, mentre Bologna è la città alla quale più s'interessa ed è colpito molto dalla numerosa presenza di portici spaziosi e dagli innumerevoli bei palazzi ed è proprio Bologna che risponde a quel gusto del bello di Montaigne. Proseguendo nel suo viaggio in Italia rimane colpito dalla campagna toscana e da Siena e poi avvicinandosi a Roma il paesaggio cambia infatti, oltre al continuo riaffiorare di rovine romane, Roma gli appare aspra: una terra spoglia senza alberi.
2. "Tout m'interesse, tout m'ètonne": il viaggio di Montesquieu.
Jean Ehrard ha descritto dettagliatamente il viaggio in Italia di Montesquieu analizzando ogni giudizio, ogni opinione del critico d'arte. Montesquieu é un fine amateur ben consapevole dei nuovi problemi della critica d'arte: pur restando legato al gusto classicista valuta positivamente le opere del Bernini e del Borromini.
Il critico Venturi ha da par suo lumeggiato i sentimenti del Montesquieu verso l'Italia, le ragioni che sottendono i suoi giudizi etico-politici, sulle popolazioni e i governi degli Stati che attraversa. Il Montesquieu é interessato alle grandi infrastrutture militari e commerciali, ai porti e alle fortezze, alle mura e ai rivellini: per questo la città lagunare lo attira e gli fa sentire il bisogno di approfondirne la conoscenza. Altro tema ricorrente nelle sue note é l'agricoltura, la coltivazione dei campi studiata prevalentemente dal lato economico.
Il suo procedimento nell'attraversare un territorio é simile a quello adottato per una città; dal generale al particolare per poi tornare a valutazioni complessive; tuttavia anche lui paga lo scotto al mito dell'Italia visto come paese del sole.
Il gusto del Montesquieu è dominato da un classicismo eloquente, da un'aspirazione a un razionalismo dei partiti compositivi e dalla nitidezza del disegno: l'incontrare a Venezia padre Carlo Lodoli (teorico del protofunzionalismo architettonico) fece maturare i suoi gusti.
3. Il Voyage d'Italie (1691) di Maximilien Misson
I due libri che meglio illustrano quale ruolo avesse l'Italia in questo grande viaggio e quali fossero i luoghi caratteristici che i viaggiatori visitavano nella penisola sono il Voyage d'Italie di Misson e il Voyage en Italie di Lalande. Tra i due testi vi sono profonde differenze dovute sia all'epoca in cui sono stati compilati, l'uno é pubblicato nel 1691 mentre l'altro nel 1769, sia dalla diversa interpretazione dell'opera: Misson é un diarista mentre Lalande crea una guida sistematica.
Maximilien Misson é un protestante ugonotto, poligrafo di vastissimi interessi, con una mediocre educazione storico-artistica e con una intelligenza volta a non trascurare nessun aspetto della realtà. Scrive quest'opera per ingraziarsi il conte d'Arran padre producendo un'opera a lui gradita. Importanti sono tre lettere (XVI, XVII, XVIII) dedicate interamente a Venezia.
L'autore, pur di visitare la città lagunare, sopporta le avverse condizioni climatiche, il cibo scadente, le vetture scomode senza esitazioni. Egli trascrive in primo luogo i caratteri geografici generali, poi si addentra in una descrizione della laguna nei suoi aspetti naturali e funzionali. In seguito Misson scrive, opponendosi ad un testo veneziano che attribuiva alla città cinquantatre piazze, che di vera piazza ne esiste solamente una ed era la famosa Piazza San Marco di cui ammira l'attenta progettazione e l'architettura ben ornata e regolare. Apprezza inoltre la bellezza dei suoi mosaici e lo stile prettamente bizantino. L'ultimo giudizio che Misson esprime nella prima lettera é che Venezia, con molta probabilità, é la città d'Europa dove i giovani pittori possono studiare meglio la bella natura.
Nella seconda lettera Misson esprime tutta la sua ammirazione per il noto Ponte di Rialto del quale studia la costruzione su un unica immensa arcata e la funzionale organizzazione delle botteghe disposte in fila lungo il ponte. Il viaggiatore passa poi ad osservare il Canal Grande e nota che su di esso si elevano i più bei palazzi di Venezia anche se nota con rammarico come la bellezza sia solo della facciata in vista. Il resto dell'edificio é infatti mal sistemato e sgradevole a vedersi. Misson chiude la sua seconda lettera con una notazione di costume. Egli rimprovera alla società veneziana di essere chiusa nei confronti degli stranieri in visita. Questa chiusura impedisce quindi ai visitatori di conoscere in modo completo le usanze della città.
Nella terza ed ultima lettera Misson parte dall'osservazione delle chiese dedicate ai santi non canonizzati per arrivare ad affrontare più in generale il problema del ruolo della Chiesa come proprietaria di immensi beni e di opere d'arte, come committente e mecenate e in qualche modo come potere autonomo anche se con una componente di spiccato nazionalismo. Si conclude la trattazione di Venezia con la descrizione delle maggiori isole della laguna, tra le quali spicca la bellezza e la grandezza di Murano.
Interessante per capire lo spirito con cui Misson e più in generale il viaggiatore seicentesco affronta il Grand Tour é il quarto tomo della sua opera in cui il francese affronta gli argomenti più disparati: informazioni minute sui mezzi di trasporto e sul loro costo, sugli alberghi migliori, sui periodi più adatti per visitare certe città e inoltre l'accoglienza che si riceve in queste.
In conclusione la fama ed il successo ottenuto da quest'opera sono dati dal fatto che Misson guarda questa esperienza del Grand Tour senza condizionamenti esterni, riportando tutto ciò che ha colpito i suoi sensi. Egli non si limita a verificare l'aspetto urbanistico delle città o le caratteristiche delle chiese visitate, il suo, seppur con tutti i limiti e le carenze culturali, é un tentativo di riportare un'esperienza totale, pensando anche a coloro che intraprenderanno questo mirabile viaggio in futuro.
4. Le lettere di Charles De Brosses.
Charles De Brosses scrive cinquantotto lettres familieres e crites d'Italie, delle quali solamente una decina furono scritte realmente in Italia. Il suo inseparabile compagno di viaggio é il "Voyage " di Misson. Egli visita le città più importanti tra le quali Napoli, Milano, Bologna, Venezia e Roma.
Per quanto riguarda Napoli, De Brosses dice che questa città merita d'essere una capitale per il movimento, l'affluenza del popolo e il rumore continuo delle vetture. Napoli é inoltre da preferirsi per il clima, per la baia tanto ben formata e per la sua posizione di centro di quell'arcipelago dell'antico costituito da Ercolano, Cuma, Baia e Pozzuoli, città sulle quali De Brosses scrive numerose pagine sullo stato degli scavi, sulla quantità e la qualità dei rinvenimenti.
Durante la sua visita a Milano egli rivela che il suo ideale estetico rimane il classicismo infatti, di fronte al Duomo, confessa tutto il suo dissenso verso lo stile gotico.
Nel viaggio verso Venezia il viaggiatore si sofferma ad ammirare la bellezza delle campagne venete che, da sole, valgono il lungo viaggio. Arrivato a Venezia egli esprime subito il suo disappunto per la tanto celebrata Basilica di San Marco e infatti nel suo commento parla di questa come di una chiesa di uno stile greco, bassa e impenetrabile alla luce, di un gusto misero tanto all'esterno quanto all'interno.
Egli considera una struttura interessante i portici e in particolare quelli di Bologna: questi sono eccezionali per il fatto che sono slanciati e sorretti da colonne e da pilastri di tutti gli stili possibili. In San Petronio "la cosa più interessante" è la linea meridiana tracciata sul pavimento dall'astronomo Domenico Cassini. Brosses ha di questi interessi e guarda con religiosa attenzione quella linea la quale "rappresenta la seicentomillesima parte della circonferenza della Terra".
Quando arriva a Firenze, De Brosses rimane deluso dall'architettura rustica, piatta e uniforme; a questo punto dichiara tutta la sua preferenza per colonnati e pilastri e quindi per Bologna.
De Brosses arriva a descrivere Roma, Napoli e i suoi dintorni; le sue lettere si arricchiscono di ampie citazioni e informazioni dettagliate, infatti il mondo antico esercita sull'autore un fascino particolare.
L'ultima parte della sua opera è dedicata alla figura del viaggiatore dal momento che troppo spesso questa esperienza che pur dovrebbe essere un'avventura dello spirito è divenuta un costume o, peggio, una moda a cui il viaggiatore sottostà senza alcun entusiasmo. Spiega infatti il De Brosses che ormai quasi tutti i viaggiatori sono persuasi del fatto che sia un disonore vedere qualcosa che non sia bello, perciò esaltano tutto ciò che incontrano rinunciando a giudicare secondo il loro gusto.
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