Il viaggio di Amedeo sulla via Francigena da Buonconvento a Bolsena Breve Storia della via Francigena Equipaggiamento per questo viaggio Puoi esprimere le tue opinioni e fare i tuoi commenti sul Blog di Radiciemergenti (Clicca Qui) |
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Breve storia della Via Francigena
Nel Medioevo si sviluppa un fenomeno sociale a grande scala: mettersi in marcia per recarsi in visita ai grandi luoghi di Fede e di culto come Roma, Santiago de Compostella, Gerusalemme, come atto di devozione, di purificazione, di sacrificio, sofferenza e penitenza; per redimersi. Tutti i pellegrini erano uniti in questo spirito e nello stesso abbigliamento che era loro consegnato e benedetto prima della partenza (rito dell’investitura) e consistente nel petaso (cappello con falda grande, rialzata nella parte anteriore e legato sotto il mento), la pellegrina (largo mantello con cappuccio), il bordone (bastone), la scarsella (borsa in pelle). Il diverso ceto sociale tra i viandanti era evidenziato dal fatto che i più abbienti potevano permettersi il lusso di cavalcare un cavallo, gli altri marciavano a piedi. L’importante, comunque, era partire, mettersi in marcia, pur consapevoli dei pericoli, delle insidie, del brigantaggio sempre in agguato, degli ostacoli naturali di allora. Il tasso di mortalità era molto elevato; tanti non sarebbero mai giunti a destinazione. Tutti partivano coscienti di questo e, prima di farlo, redigevano un testamento nel caso del loro mancato ritorno. La Via Francigena con il suoi 1800 km. da Canterbury a Roma era la Via Maestra atta a soddisfare le esigenze dei viandanti di allora, con il ramo principale che conduceva a Roma e altre diramazioni che indirizzavano verso altri luoghi dì Fede. E’ la strada di Sigerico. Il fu Arcivescovo di Canterbury si trovò costretto a recarsi a Roma nell’anno 990 (a cavallo e a piedi) per ricevere dal Papa Giovanni VI l’investitura ovvero il Pallio Arcivescovile, una veste di lana ornata della croce. Al suo ritorno l’Arcivescovo descrisse in una sorta di diario approssimativo il tragitto percorso ed i luoghi di rifornimento e stazionamento (submansiones). Questo documento di base risulterà in seguito prezioso per ricostruire con sufficiente precisione l’antico tracciato di questa Via una volta in disuso (quando i traffici commerciali s’indirizzarono verso altre arterie alternative e così i pellegrini) e una volta perse le tracce con il passare del tempo.
Chiunque decide di percorrere questa Via ha le proprie motivazioni ed aspirazioni. Personalmente la ritengo un percorso di Fede, di pellegrinaggio, da compiersi cercando di entrare in simbiosi con la moltitudine di pellegrini che l’hanno percorsa negli anni condividendo con loro, idealmente, gioie e dolori, fatica e sopportazione, pace e serenità. Da solo, perché solamente in questo status riesco ad entrare in una dimensione più profonda, in una condizione mentale che induce alla riflessione e che certamente non manca nei lunghi chilometri di sterrati percorsi in completa solitudine. Da solo, per imparare a cavarmela in ogni situazione, per verificare la mia preparazione mentale, i disagi, la fatica, l’abilità nel risolvere potenziali problemi meccanici al veicolo, l’orientamento; per capire fino a che punto posso contare sulla mia forza di volontà. La Francigena, inoltre e non da ultimo, è un modo per godere di tanta natura incontaminata, di tanta aria buona da respirare forte, di tanti borghi e cittadine incantevoli da visitare, per liberare, altresì, lo spirito di avventura che è in me.
Lunedì 20 ottobre ’08. Trasferimento da Porto S. Stefano ad Orbetello Scalo
E’ buio quando inizio a pedalare, mancano pochi minuti alle 6. 13 km. per trasferire la bicicletta da Porto S. Stefano alla Stazione ferroviaria di Orbetello Scalo dove ho appuntamento con un treno che mi condurrà a Buonconvento, punto di partenza del mio viaggio di due giorni sulle strade della Via Francigena fino a Bolsena. 13 km. di pedalata che vivo con un senso di inquietudine. Le forature sono sempre in agguato e, sostituire una camera d’aria alla luce di una lampadina e con la bicicletta carica di bagagli come un mulo, significherebbe perdere dei minuti preziosi che potrebbero causare la perdita del treno. Fortunatamente non si verifica alcun imprevisto. Il treno parte in orario alle 6,52 previste. Durante il tragitto approfitto per sistemare nelle borse ciò che mi è servito per la pedalata in notturna (lampada frontale, manicotti rifrangenti, cintura rifrangente con fanalino a led intermittenti), per visionare ancora una volta il road book che mi sono preparato, per scrivere alcuni appunti sul diario del viaggio, per rilassarmi. Intanto dal buio si passa gradualmente al chiaro. Spirit è parcheggiata di fronte a me ed insieme godiamo dei paesaggi che velocemente scorrono dal finestrino come le immagini di un film. (foto 01)
Lunedì 20 ottobre ’08. Tratto Buonconvento – Radicofani
Buonconvento è un piccolo borgo con poco più di 3000 abitanti attraversato dalla Via Francigena. Il suo nome deriva dal latino Bonus Conventus che significa luogo felice, fortunato; spero sia di buon auspicio. E’ una stupenda giornata di sole con l’aria fresca e frizzante; condizioni ideali per pedalare. Dalla stazione (foto 02 e 03) mi reco alla vicina Caserma dei Carabinieri per l’apposizione del primo timbro sulla Credenziale del Pellegrino (Charta Peregrini). E’ il primo tassello di un più ampio mosaico che spero di completare nel tempo. Ripongo la Credenziale nella borsa anteriore come fosse una reliquia e, dopo aver pedalato un poco per le vie del paese imbocco la via maestra, la Cassia, con direzione Roma. Anche se il traffico veicolare è modesto dopo circa 7 km.. dall’uscita di Buonconvento svolto a destra per immettermi in un tratto di campagna dove percorro uno sterrato per qualche centinaio di metri. La strada inizia a salire e lo sterrato diventa tratturo di campagna. Il terreno è scavato dal transito dei trattori e visibili sono le impronte lasciate dalle ruote degli stessi. Inoltre, non è compatto bensì soffice e con l’aggiunta di breccia e sabbione. Riesco a pedalare ancora per un centinaio di metri dopodiché mi fermo (foto 04). A causa della pendenza della salita e del peso contenuto nelle borse posteriori, la bicicletta ha la tendenza ad impennarsi e anche se sposto il peso del corpo in avanti per mantenerla a terra procedo poco e a fatica. Il pneumatico posteriore appena dentellato slitta sul terreno friabile e sempre a causa del peso che grava sopra tende ad infossarsi; procedere diventa problematico. Decido di spingere la bicicletta a braccia e lo faccio per circa 100, 150 metri con grande difficoltà e fatica. Le scarpe perdono in aderenza, la bici è pesantissima, fa caldo e sono sudato. L’intento è di arrivare sulla sommità della collinetta dove scorgo un casolare, per verificare l’andamento del terreno ed il suo stato e per decidere se continuare oltre o, eventualmente, tornare indietro. Accavalletto la bicicletta per procedere a piedi ed arrivato sulla sommità ho visione della parte opposta. Il terreno non muta la sua morfologia quindi reputo saggio tornare indietro per imboccare nuovamente la Cassia che mi condurrà fino a Torrenieri. In questo borgo Sigerico, nel viaggio di ritorno da Roma verso Canterbury, fece la dodicesima sosta (foto 05 e 06) e nel suo diario lo indica con il nome di Turreiner. Attraverso la cittadina e sosto di fronte la Chiesa di S. Maria Maddalena, Patrona della Via Francigena (foto 07 e 08); ne approfitto per scattare qualche foto e visitare la Chiesa. Riprendo il viaggio indirizzandomi verso S. Quirico d’Orcia, pedalando tra campi coltivati e tanta natura (foto 09). Arrivo alle ore 11,20 (foto 10) dopo 7 km. di salita con pendenza costante che tiene le gambe sempre sotto sforzo. E’ la dodicesima tappa del viaggio di Sigerico. Sono sudatissimo e sento bisogno di trovare un luogo tranquillo per rifocillarmi un poco e per cambiarmi le maglie; l’Horti Leonini, un giardino realizzato intorno al 1580 sembra adatto allo scopo (foto 11, 12, 13 e 14). In seguito mi dirigo nel centro storico dove si trova la bella collegiata romanica che visito e fotografo (foto 15 e 16). Di nuovo in marcia con direzione Vignoni. Le indicazioni stradali mi aiutano ad uscire dal paese e poco dopo inizia lo sterrato dove noto i segnali di colore bianco e rosso della Via Francigena; sono i primi che vedo. Vignoni mi accoglie con la sua torre (foto 17). Poco oltre Vignoni alto, una manciata di case caratteristiche tutte in sasso, pietra e muratura (foto 18). All’interno del borgo non esiste la segnaletica stradale poiché, a causa della ristrettezza dei vicoli, il transito veicolare è inesistente. Per le vie non c’è nessuno (foto 19), solo qualche gatto all’inizio del paese. Calma, pace e serenità sono le sensazioni che provo. Silenzio assoluto e aria pulita mi circondano. Adesso, di fronte a me la Porta est (foto 20) e, a sinistra, l’antica Chiesa di S. Biagio che non posso visitare perché è chiusa (foto 21). Torno indietro per raggiungere sullo stesso sterrato lasciato prima, Bagno Vignoni. La discesa è ripidissima e, nonostante cerchi di modulare la frenata, la bici sbanda continuamente. Spirit, bicicletta da turismo, dimostra tutta la sua inadeguatezza su questi terreni. I suoi pneumatici, stretti e dal profilo prevalentemente stradale, fanno fatica a reggere su terreni sterrati sia in salita dove arrancano poco sia in discesa dove hanno poca presa (specie quando devono sopportare un forte peso). Conseguentemente la fatica si riflette su chi guida, sempre in tensione per mantenerne il controllo e non cadere rovinosamente per terra. Ad ogni modo vado avanti. Bagno Vignoni, anch’essa con case identiche a quelle di Vignoni Alto, è nota per le sue terme. Nella Piazza delle sorgenti, la grande vasca termale (foto 22 e 23) Ciò che noto subito è la grande quantità di locande, osterie e trattorie, una di seguito l’altra, e una moltitudine di turisti che le riempiono (foto 24).
Gallina è sei chilometri più a sud (foto 25). Approfitto di una panchina all’interno dei giardini pubblici per riposare un poco e per mangiare; un buon caffè al bar e poi nuovamente in sella. Tra qualche chilometro so che troverò il bivio per Radicofani dove inizia la salita; la…. “famosa salita di Radicofani. Durante il tragitto ripenso alle parole di Don Elia, il Parroco di Radicofani, amico dei pellegrini, che avevo contattato qualche giorno prima della partenza per ricevere ospitalità presso lui. “Sai che abbiamo otto chilometri di salita?” mi dice – “lo so” rispondo; “e lo sai” continua “che abbiamo dei tratti con il 20% di pendenza?”. Accidenti, questo non lo sapevo davvero non avendo avuto modo di visionare le altimetrie. Spero che Don Elia abbia esagerato, che la salita non sia poi così tanto dura, che abbia pietà di un povero pellegrino che ha già alle spalle 57 km. tra salite e sterrati e con al seguito diciotto chili di equipaggiamento. Ecco, ci siamo, imbocco il bivio e poco dopo, davanti a me, la strada inizia subito a salire. L’affronto con un senso di timore e rispetto. Mi pongo degli obiettivi: pedalare per un chilometro e mezzo, massimo due, per poi riposare tanto non mi corre dietro nessuno…. La salita è dura, veramente difficile e non smentisce le parole di Don Elia. Sono stanco, il respiro affannoso, le gambe intorpidite e quasi non me le sento più. Eppure continuano a pedalare, ad andare avanti, a macinare metro dopo metro. Mi fermo dopo 6 km. perché sono veramente esausto. “E’ da 6 km. che ti sto rincorrendo e ancora non ti ho raggiunta” grido indirizzandomi verso la torre che mi guarda dall’alto. A meno di un chilometro dalla fine la sosta è d’obbligo perché lo scorcio da fotografare era troppo interessante (foto 26 e 27) e poi, finalmente, il cartello stradale che indica l’inizio del centro urbano di Radicofani (foto 28). Dio sia lodato, ce l’ho fatta.
Ospitalità, cordialità e disponibilità è il profumo che aleggia tutto intorno a me e la signora Zaira vince in questo. Trova una collocazione per la bicicletta, mi apre le porte dell’Ospitale (foto 29, 30 e 31), mi illustra i vari servizi, si intrattiene a conversare con me, si prodiga ancora affinché mi senta perfettamente a mio agio. E’ l’accoglienza che la gente di Radicofani riserva ai pellegrini di passaggio ed, in cambio, un unico pegno da pagare: un sorriso, una stretta di mano vera, un…. “arrivederci….”. Grazie veramente.
Dovrei sentirmi stanco ed invece non è così. Evidentemente l’adrenalina che finora mi ha consentito di vincere le difficoltà della giornata odierna continua ancora la sua efficacia. Sono freneticamente impegnato e quasi non me ne accorgo. Dopo la doccia esco in paese per l’approvvigionamento di acqua e qualche genere alimentare. In seguito, nell’Ostello, la preparazione della cena (foto 32), abbondante e che letteralmente divoro, la preparazione del sacco a pelo per la notte (foto 33), la sistemazione delle borse per il giorno dopo, la trascrizione di alcuni appunti sul diario di viaggio, un ulteriore sguardo al road book. Sono solo nell’Ospitale e questa solitudine la vivo positivamente giocando con la moltitudine di pensieri che, a vicenda, si alternano nella mente. Penso alla mia famiglia che ho sentito poco prima al telefono, a Don Gino, il Parroco del mio paese, mentre recita la preghiera del pellegrino benedicendomi il giorno prima della partenza, a quanto siamo fortunati noi pellegrini “moderni” con tutte le facilitazioni a cui possiamo fare affidamento rispetto a quelli di “una volta” che, invece, dovevano far fronte a tanti disagi e a tante insidie naturali e non. Anche il tanto bagaglio che trasporto nelle borse forse è in contrasto con lo spirito di essenzialità del pellegrino che, confidando nella generosità altrui, portava con se nella borsa di pelle il minimo indispensabile e che era sempre pronto a condividere con altri pellegrini.
Su consenso di Don Elia, sentito precedentemente al telefono, appongo sulla Credenziale il timbro che attesta il mio passaggio. Si trova sopra un tavolo posto in una della stanze dell’Ospitale (foto 34). La struttura è stata inaugurata con una funzione celebrata da Don Elia in data 29 giugno 2007, in occasione della festività di S. Pietro e Paolo ed è gestito dal personale della locale Confraternita della Misericordia. Precedentemente la sua apertura era lo stesso Parroco ad ospitare i pellegrini di passaggio nei locali della parrocchia ed è per questo che è amico di tutti i viandanti; ospitalità povera ma cordiale.
Martedì 21 ottobre ’08. Tratto Radicofani – Bolsena
Mi alzo presto sentendomi perfettamente in forma. Dopo aver risolto un problema al freno posteriore sinistro e rimontato le borse sulla bici, finalmente ho il piacere di conoscere Don Elia. Mi racconta di Radicofani, della calma –desolante- che la circonda, della Chiesa, dei pellegrini. Il suo è un parlare dolce e calmo che infonde serenità in chi lo ascolta. E’ proprio come l’avevo immaginato; un amico da sempre anche se conosciuto pochi istanti prima. Mi consiglia inoltre di procedere verso Ponte a Rigo percorrendo direttamente la Cassia. Il tratto sterrato che indica e che si congiunge in quel punto non è adatto alle caratteristiche della mia bici. “Non cambia nulla allo spirito del viaggio”, aggiunge. Seguirò il suo consiglio. I saluti, una stretta di mano, un arrivederci. E’ una mattinata un po’ nebbiosa anche se la temperatura è mite. Dopo una passeggiata tra i vicoli del borgo (foto 35) visito la vecchia Chiesa di S. Pietro Apostolo (foto 36), di architettura romanico – gotico dell’Amiata, interessante per la varietà di opere d’arte che racchiude databili tra il 1400 ed il 1500. Poi la partenza e quasi mi dispiace perché stavo bene in questa condizione di assoluta calma e tranquillità desolante, per dirla con Don Elia. Ma il viaggio continua e tra circa 17 km lascerò la Regione Toscana per entrare nel Lazio, nell’Alta Tuscia che tanto adoro. La salita di Radicofani che ieri si era prodigata tanto nel farmi soffrire adesso è amica e mi ripaga, dalla parte opposta, con 9 km di discesa veloce. Mantengo invece una velocità moderata avvertendo, nella parte posteriore, dei piccoli sobbalzi; è un principio di ovalizzazione del cerchione, forse qualche raggio si è allentato. Proseguo. Altri 4 km. in piano e mai avrei pensato di incontrare ciò che è visibile nella foto (foto 37). Una fabbrica orrenda con le sue ciminiere che fumano chissà quali orrendezze nell’aria e nell’ambiente circostante. Volevo transitare oltre, scappare via, ma la tentazione di documentare è stata più forte. Pensavo che in queste zone, fatte di borghi antichi e di tanta natura incontaminata, il tempo si fosse fermato che la tecnologia avesse in parte risparmiato il suo quotidiano infierire sull’ambiente ma, evidentemente, non è così; peccato. Ponte a Rigo è senza storia (foto 38). La vecchia Cassia è laterale ed il paese rimane tutto alla sua sinistra. Vedo qualche fabbrica minore; continuo. In prossimità del ponte incrocio lo sterrato che partiva da Radicofani e, dipinta su un blocco di cemento, l’icona del pellegrino francigeno (foto 39). Le due strade, adesso, si congiungono con un’unica direzione: Acquapendente. La pedalata è piacevole, grazie alla natura che mi circonda, al transito veicolare modesto e al sole caldo che illumina, con i suoi raggi, la strada che percorro. Attraverso il fiume Paglia transitando agevolmente sul Ponte Gregoriano. Mi ricordo dei miei pensieri la sera prima a Radicofani. Per i pellegrini di un tempo l’attraversamento del fiume rappresentava, forse, il momento più difficile del viaggio e tanti furono coloro che morirono a causa dell’impeto delle sue acque. I viandanti defunti ritrovati venivano seppelliti nella vicina Chiesa di S. Giacomo. Fu il Papa Gregorio XIII ad ordinare la costruzione di un ponte intorno all’anno 1578 che permettesse ai pellegrini l’attraversamento del fiume senza conseguenze mortali. Il ponte costruito prese il nome dal Papa che lo aveva voluto. Poco oltre un antico cippo indica le direzioni per Acquapendente a sinistra (foto 40) e per Proceno a destra (foto 41). E’ visibile, inoltre, la segnaletica della Via Francigena e del “Sentiero dei Briganti” che mi attira molto (foto 42) Arrivo all’ormai vicina Acquapendente per una strada alternativa alla Cassia immersa nel verde più assoluto (foto 43 e 44). Conosco la cittadina che attraverso seguendo sempre le attente e precise indicazioni della Via Francigena fino ad arrivare nel piazzale antistante la Basilica del SS. Sepolcro (foto 45). Foto e di nuovo in sella. Esco dal paese e, dopo aver percorso qualche centinaio di metri, bivio a sinistra per Torre Alfina. La pedalata fino a Bolsena, transitando per S. Lorenzo Nuovo, la vivo con un senso di nostalgia che mi porta indietro nel tempo di due anni quando, nell’ottobre del 2006, era il 17, la pedalai per la prima volta. Rivivo le stesse sensazioni ed emozioni, ritrovo la stessa natura incontaminata e ascolto lo stesso silenzio che mi da modo di riflettere e pensare (chissà dove sarà, adesso, quel ragazzo francese con lo zaino….?). Ripercorro gli stessi sterrati con le medesime difficoltà e mi incanto nuovamente alla vista del lago. Pedalo, mi fermo, mangio, pedalo ancora, in un susseguirsi di scariche adrenaliniche che mi fanno sentire “carico”; la stanchezza non so cosa sia. Potenzialmente, da questo punto in poi, potrei dirigermi verso tutti i luoghi del mondo, attraversare strade, sterrati, deserti, ghiacciai, montagne pedalando per migliaia e migliaia di chilometri senza fermarmi mai, andando avanti sempre e comunque, fino a sbriciolare i copertoni, a polverizzare i cerchioni a continuare a piedi con la bicicletta in spalla se necessario. Andare avanti sempre perché il viaggio continua; -sempre-. Il tragitto si compie senza incidenti alcuno fino ad arrivare di fronte la Basilica di S. Cristina. Spirit ed il suo conducente, a distanza di due anni esatti, sono nuovamente li, nello stesso punto, di fronte il portale della Collegiata; che soddisfazione e che emozione (foto 46). Un ulteriore timbro sulla Credenziale è la conclusione di un capitolo di un più vasto romanzo, intitolato “La Via Francigena”, che spero di continuare a leggere con il tempo. Come in passato mi perdo a vagare tra le navate della Basilica, all’ingresso delle catacombe, nei mille punti santi di questa opera religiosa che mi affascina, di fronte l’Altare maggiore dove, raccolto, recito una preghiera di ringraziamento alla Madonna per il felice esito del mio viaggio. Come in passato Spirit, impaziente, aspetta il mio ritorno. Bolsena, cittadina calma e tranquilla, è troppo bella per non perdersi a pedalare nei vicoli del suo centro storico. E allora, di nuovo in sella. E poi la ciclabile che costeggia il lago con le panchine che t’invogliano a sederti. E’ proprio su una di queste, mentre mi rifocillo un poco, che sento ancora di più l’attrazione per questo borgo dove abitualmente mi reco in vacanza con la mia famiglia e dove abiterei volentieri. Avverto una calma assoluta intorno a me rotta, ogni tanto, dal leggero sciabordio delle placide acque del lago che accarezzano la riva e che mi fanno compagnia. Adesso pedalo nuovamente sulla Cassia, a ritroso questa volta, per giungere dopo circa tre chilometri all’Agriturismo “Dolce Vita” ospite della signora Romina che lo gestisce e nel quale mi reco da anni in vacanza (foto 47 e 48). L’accoglienza, come sempre, è semplice e cordiale. Il silenzio e la pace che regna in questa struttura non ha eguali e sono le condizioni appropriate alla mia persona, al mio carattere e che cerco sempre più con il passare degli anni. Inoltre, in questo momento, sono l’unico cliente presente quindi sono nella solitudine più completa che non mi spaventa; anzi. Sono un Lupo Solitario, lo so, ma sono momenti dei quali sento la necessità per caricarmi, per pensare e riflettere. Come già accaduto a Radicofani la sera precedente, non avverto la stanchezza. Per prima cosa tolgo le borse posteriori per alleggerire il peso sul cerchione che soffre un poco; fortunatamente l’ovalizzazione è rimasta invariata. Poi una bella doccia che mi tonifica, la cena, la trascrizione sul diario della giornata odierna con le emozioni che rivivo e una bella dormita completano il tutto.
(N.B.: volutamente nel tratto Acquapendente – Bolsena non ho scattato foto perché già fatto due anni prima e la trattazione del percorso e stata solo a livello emozionale. Il lettore che volesse visionare qualche foto e leggere il racconto più dettagliato del percorso, lo può fare sempre su questa rubrica dove è presente il resoconto della Francigena del 2006).
Mercoledì 22 ottobre ’08. Da Bolsena a Porto S. Stefano. Rientro a casa.
E’ una stupenda giornata di sole caldo; la mia Francigena è terminata ed oggi si ritorna a casa con una bella pedalata di circa 100 km. Parto presto e con il cuore in gola. Mi sarebbe piaciuto proseguire verso Montefiascone e Viterbo ma so con certezza che avrei fatto del male alla mia bici che non è adatta per quel tipo di strade dove è d’obbligo una mtb con ruote grasse e, magari, meno bagaglio. Saluto il lago e mi dirigo verso Gradoli (foto 49), un bello strappo di circa 5, 6 chilometri in salita e poi salita e ancora salita con tornanti difficili verso Pitigliano. L’acido lattico accumulato incomincia a farsi sentire ma le gambe procedono bene; nulla le spaventa ormai dopo aver affrontato e vinto Radicofani. Lascio Pitigliano alla mia destra (foto 50) 7 km. prima per imboccare un bivio a sinistra che mi condurrà verso Manciano La strada è più agevole, in piano, falsopiano e, a volte, in leggera discesa, con un bel panorama che mi circonda fatto di tanta natura. Dopo aver attraversato il ponte sul fiume Fiora, la strada s’impenna “dolorosamente “; altri 8 km. di salita dura che affronto e porto a termine senza mai fermarmi in una strada costruita dentro un bosco che lo taglia in due e del quale respiro forte i profumi. Manciano (foto 51) è meritevole di una visita approfondita però, non avendo molto tempo a disposizione, preferisco filare via nella lunga discesa che mi si apre davanti e che cerco di terminare il prima possibile per non vedere più lo scempio e la violenza perpetrata nei confronti della natura. Praticamente la strada per chilometri e chilometri è tutta un cantiere edile. Stanno “raddrizzando (!!!)” le curve (sic) per cui tutto ciò che prima era campagna o verde adesso è stato tutto spazzato via per predisporre nuovi asfalti e muri di contenimento in cemento. Vedo, inoltre, tantissimi tubi, penso in acciaio, e dalle notevoli dimensioni; la strada è polverosa per il continuo transito dei camion delle ditte appaltatrici dei lavori; che disastro. Finalmente lascio la zona alle mie spalle ed arrivo a Marsigliana. Preferisco proseguire oltre visto che manca solo 25 km. all’arrivo e tutti pianeggianti; uno scherzo. Il traffico veicolare è, come al solito, intenso e buona parte di questo è pesante; dopo la “mia” Francigena stò rientrando nella “mia” quotidianità, purtroppo. Durante il tragitto incontro alcuni amici ciclisti con le loro bici da corsa leggerissime. La mia, invece, è gia pesante in quanto attrezzata per i viaggi e ancor di più per tutto l’equipaggiamento al seguito; come li invidio, ma come sono soddisfatto per quello che ho fatto. Alcuni di loro si accostano, vogliono sapere ed io racconto. L’arrivo a casa, l’abbraccio ed il calore della mia famiglia, il racconto del viaggio è l’ultimo atto di una esperienza avvincente che mi ha coinvolto tantissimo, sia fisicamente che mentalmente e che a livello emozionale ha lasciato dentro me una traccia che non sparirà mai. Il mio viaggio è terminato e domani si riprende la vita di sempre anche se …… “il viaggio continua” …… Amedeo |
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